Un grande entusiasmo ha circondato la finale della Champions League femminile di calcio, disputata da Olimpique Lyonnais e Wolfsburg allo stadio Città del Tricolore di Reggio Emilia. Un’occasione importante per il nostro Paese per conoscere uno sport che dalle nostre latitudini è circondato da un’attenzione minima da parte di tutti: addetti ai lavori, responsabili della comunicazione, tifosi. Sarà l’occasione giusta per rilanciare il calcio femminile in Italia?

“Accogliere questa prestigiosa partita nel nostro Paese ci dà una grande opportunità per far sì che i nostri progetti per lo sviluppo del calcio femminile possano allungare il passo e ispirare sempre più ragazze a unirsi a questo gioco”. Parole di Carlo Tavecchio, presidente della Federcalcio, riportate sulla guida ufficiale distribuita allo stadio di Reggio Emilia in occasione della finale di Champions League. Alla quale non ha preso parte nessuna squadra italiana, nonostante il dignitosissimo cammino compiuto dalle fresche campionesse d’Italia del Brescia, eliminate ai quarti di finale dalle tedesche del Wolfsburg.

La verità è che vedere una squadra italiana lottare per un traguardo così prestigioso oggi è un’autentica chimera. È sbagliato ridurre il calcio a una mera questione di investimenti e strutture, ma la verità è che l’Italia paga un gap enorme nei confronti degli altri Paesi europei, nei quali il calcio femminile ha grande considerazione, grande seguito e, di conseguenza, grandi investimenti su cui contare.

Come in ogni campo della vita, anche nel calcio i risultati raggiunti sono frutto delle scelte che vengono compiute a monte, in questo caso dalle Istituzioni che governano il mondo del pallone. Per restare alle parole del numero uno della FIGC, auspicare che il calcio femminile possa allargare il numero di tesserate e possa cogliere l’attenzione dell’opinione pubblica non basta. Servono idee, pianificazione e investimenti e, possibilmente, il serio e fattivo coivolgimento delle principali squadre della serie A maschile e politiche che spingano i club a credere nel calcio femminile.

Più facile da dirsi che da farsi, in verità. Eppure la finale di Champions League ospitata a Reggio Emilia può e deve essere uno stimolo per parlare di calcio femminile, per spingerlo a superare gli ostacoli che oggi ne fanno uno sport di nicchia, di promuoverlo affinché diventi popolare come quello giocato dagli uomini. Con tecnica, fisicità e dinamiche diverse – è naturale – ma con la stessa passione di chi ci gioca e di chi lo segue.

Se c’è un insegnamento che la finale del Città del Tricolore può dare a tutti è proprio questo: le giocatrici di Lione e Wolfsburg che si sono sfidate per la conquista del prestigioso trofeo in palio hanno tutte una storia da raccontare, fatta di sacrifici, sforzi, infortuni, di forza di volontà, di gioie e dispiaceri. Storie che meritano di essere narrate, conosciute, apprezzate. Spesso la differenza sta tutta qui.

Viviamo in un Paese che si infiamma per i particolari dell’ultima storia di gossip del calciatore famoso di turno ma che non sa apprezzare le belle e vere storie sportive, comprese quelle che riguardano il calcio al femminile. Con giocatrici che oltretutto sono costrette a fare il doppio degli sforzi e della fatica rispetto alle loro colleghe che giocano nel resto d’Europa semplicemente perché in Italia il calcio femminile non rientra tra gli sport professionistici e coloro che vogliono giocare sono costrette a farlo come secondo lavoro.

Dunque ben venga la finale di Champions League degnamente organizzata e promossa in Italia (doverosi complimenti alla città di Reggio Emilia per la promozione effettuata, 20.000 persone presenti allo stadio sono il frutto di un capillare lavoro che ha portato ottimi frutti), ma che non resti una vetrina di cui farsi belli, in cui stringere mani, far scattare i flash delle macchine fotografiche e di cui poi dimenticarsi appena il sipario viene calato, magari spostandosi in fretta e furia a Milano, dove sabato sera andrà in scena l’ultimo atto della Champions League maschile.

Da questo punto di vista la prestigiosa sfida ospitata al Città del Tricolore deve essere il punto di partenza a cui devono seguire fatti concreti, mirati ad aumentare gli investimenti economici e mediatici che permettano di accendere un faro sul calcio femminile e lo tengano ben acceso finché la gente non si accorga di quanto sia interessante questo sport. Non per 90′ (anzi, per 120′, visto che sono serviti i calci di rigore per determinare la vincitrice), ma per intere stagioni, in modo da spingere il maggior numero di persone a seguire le partite. Perché è seguendo le partite e conoscendo le storie che le persone si possono davvero appassionare e divertirsi. Provare per credere!