«Che vengano sempre loro, per favore!». Al bar del Mapei di Stadium di Reggio Emilia, quello in cui gioca il Sassuolo in Serie A e che quindi ospita anche Juventus, Milan e via dicendo, sono sicuri di non aver mai venduto tanto e anche in biglietteria la stessa cosa. «Nemmeno per le partite di campionato con le big si riempie così» spiegano. Confermano i vigili urbani: in una serata di maggio hanno fatto lavoro extra perché in 19mila sono andati a vedere a giocare a calcio le donne. Sì, loro sono le donne, quelle che Sinisa Mihajlovic, neo allenatore del Torino, ha detto poco più di un mese fa che di pallone non dovevano nemmeno parlare.

Non donne qualunque, ma le finaliste della Champions League femminile ospitata nello stadio reggiano, per la prima volta in Italia, con due giorni di anticipo rispetto all’ultimo atto del torneo maschile di San Siro fra Atletico e Real Madrid. Qui ci sono Olympique Lyonnais e Wolfsburg. O meglio francesi e tedesche. Più semplice dire così per tanti allo stadio, la maggior parte degli quali a vedere una partita di calcio femminile non ci erano mai andati. E tutti, compresa chi scrive, si sono pentiti subito di non averlo fatto prima.

«Non è come vedere gli uomini – dice una signora – è meglio, c’è più armonia nel gioco, meno falli. Vedo cose peggiori alle partite di mio figlio che ha nove anni». È venuta con il marito e il figlio appunto. Perché? «Per le frecce tricolori (sono passate sopra lo stadio prima del fischio d’inizio n.d.r), perché avevamo sentito la pubblicità, ci sembrava una cosa diversa dal solito e costava poco». Sarebbe meglio dire che costava pochissimo. 10 euro per la tribuna, 7 per le curve. Giusto per fare un paragone i biglietti per la finale a Milano di sabato sera costavano ufficialmente fra i 70 e i 440 euro, ora li hanno in vendita solo alcuni siti e si parte da 1500 euro.

Economicamente parlando il calcio è fra gli sport dove la parità è un’utopia anche dove le giocatrici sono professioniste, cosa che non accade in Italia. Agli ultimi Mondiali, la Germania ha avuto 35 milioni di dollari di premio per il titolo maschile, le donne statunitensi appena 2. La francese Necib, in campo ieri, considerata una novella Zidane, ne guadagna 95mila l’anno. Fosse un uomo ci sarebbero molti più zeri. Allo stadio però forse non si sarebbe stata la ola, 4 volte, applausi a ogni bella giocata e neanche un fumogeno.

L’emozione e i commenti guardando la partita sono però gli stessi. Gli «oh» quando si sbaglia un gol fatto e gli applausi per una bella giocata. «Che fisico!» si lascia scappare un ventenne in tribuna, ma aggiunge anche «sembra Pirlo al femminile», perché i termini di paragone sono tutti maschili. A tutte le età. «Tu ne conosci delle bambine che giocano a calcio?» chiediamo a un bambino di sette anni venuto con il papà e lo zio. Lui sgrana gli occhi e dice un no come se fosse impossibile e come se non stesse guardando delle donne che giocano a pallone.

Gran parte degli spettatori italiani sono ragazze che praticano questo sport. E allora si chiede un commento tecnico: come giocano? «Meglio di noi» dice ridendo un gruppo di Bergamo che spiega: «per chi non lo ha mai visto è un gioco meno fisicorispetto agli uomini, ma ci si arriva con la corsa, la tecnica e gli schemi». Queste giocatrici erano andate anche a vedere la nazionale a Verona l’anno scorso. «Era gratis e c’era la metà della gente». Non se ne aspettavano tanta nemmeno a Reggio Emilia, ma c’è chi è venuto da lontano come le ragazze della Nocerina e quelle di Arezzo la descrivono come l’unica occasione di vedere «chi fa il nostro sport ad altissimo livello». Le più emozionate sono le bimbe di San Marino. Hanno fra 7 e i 12 anni, giocano a calcio e hanno accompagnato in campo le finaliste.

Ci sono i tedeschi e i francesi ovviamente a seguire le squadre. Qualche pullman organizzato, ma anche tanti che hanno deciso di prendersi qualche giorno e fare un week end lungo. È il caso di Jerome, francese che vive nel sud della Germania. Ha preso la macchina e poi andrà anche a Firenze. «Sono sempre stato appassionato della squadra maschile, da qualche anno seguo anche le donne. Sono più avvicinabili, mi sembra uno sport più pulito, meno facile all’imbroglio». In Italia solo la Fiorentina, fra i grandi club ha una squadra femminile. All’estero questa è stata la strada per far avvicinare i tifosi al calcio donne e per permettere loro di allenarsi come lavoro non dopo il lavoro. Detto con le parole di Patrizia Panico, icona del calcio femminile azzurro: «Se la Juventus decidesse di avere una squadra di donne, l’impatto per il movimento sarebbe grandioso». I numeri sono lontani: in Italia le tesserate sono 22.564, in Germania 250mila, in Francia 170mila.

Chi, per la cronaca, volesse sapere chi ha vinto dovrebbe adattare una battuta dell’inglese Gary Lineker. «Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince». Per le ragazze funziona invece così: il calcio è un gioco semplice in cui 22 donne rincorrono un pallone per 90 minuti (1 a 1), più supplementari e rigori (5 a 4) e alla fine vincono le francesi. Non francesi qualunque. Il Lione ha vinto dieci campionati di fila e tre Champions League. La migliore in campo? Casacca lionese e nazionalità giapponese per Saki Kumagai, classe 1990, già campione del mondo con la nazionale del sol levante nel 2011.

Gli unici scontenti sono i venditori ambulanti di panini. Si trovano lontano dallo stadio, tornando alla macchina, lasciata non proprio a due passi perché i parcheggi, non grandi come quelli dell’Allianz Arena di Monaco, erano pieni. Le regole Uefa non hanno permesso ai loro mezzi loro di mettersi al solito posto vicino al campo. Hanno le facce lunghe anche alcuni tifosi tedeschi, ma non poi più di tanto quando mangiano la piadina consolatoria, superati dalle biciclette dei reggiani. La maggior parte allo stadio ci sono andati così.