Ricordate il caso della squadra di calcio femminile che, in Calabria, fu minacciata dalla ‘Ndrangheta? Bene, dimenticatelo. Era tutto un bluff. Non proprio una burla ma una bella messinscena. Nessuna minaccia, nessuna intimidazione.
“E’ stata una montatura”, ha detto il procuratore capo di Locri, Luigi D’Alessio, dopo tre mesi di indagine e le prime pagine di tutti i giornali italiani. Il caso non esiste. “Tutto potrebbe essere stato montato proprio da chi ha denunciato.”
I quattro avvertimenti dichiarati dal presidente dello Sporting Locri (gomme tagliate, lettere minatorie) non danno luogo ad alcuna indagine. Autoprodotti? Non si sa ma le parole e il tono della dichiarazione del procuratore capo di Locri lo fanno intendere.
“Mai parlato di mafia – si difende adesso il presidente della squadra-. Abbiamo solo denunciato i fatti”.
Ma all’epoca di mafia si parlò, eccome. Si accesero i riflettori nazionali. Arrivò in Calabria il capo della Fgic, Tavecchio. Dichiarò disponibilità e sostegno, il presidente del Coni Malagò. Si mobilitarono indignati speciali, dichiaratori di professione, politici, giornalisti. Tutti con le ragazze di Locri, contro la ‘ndangheta. Perché è facile essere contro la criminalità organizzata quando la criminalità organizzata non ti pensa minimamente.  Che ci vuole?
Non sono i professionisti dell’antimafia ma i dilettanti. Chissà cosa ne penserebbe Sciasciache, anni fa, sul Corriere della Sera, dedicò un lungo articolo a chi è capace di “trarre profitto personale dalla lotta alla delinquenza organizzata”.
Un’analisi complessa, raffinata, che aveva un suo fondamento ragionato ma non demoliva ladignità di nessuno. Col tempo si è usata l’espressione “professionista dell’antimafia” come un insulto. Ma non lo era. Si segnalava solo il pericolo di costruire carriere facendo della dichiarazione di legalità un sostituto della propria stessa identità.
Dopo qualche anno, possiamo dire che Sciascia ci aveva visto giusto? Oggi siamo addiritturaoltre. Non la lotta alla mafia come elemento sostitutivo, totalizzante di sé, che supera ogni capacità, critica, valutazione,  ma addirittura il grande bluff, la finzione, il Truman show dell’antimafia.
Un capolavoro alla rovescia, peraltro. I dilettanti dell’antimafia sono il primo esempio diparassiti della criminalità: sono loro che sfruttano le mafie e non il contrario. Basta spedirsi un proiettile. Mandarsi una lettera di minacce. E si comincia a dichiarare ai giornali, alle tv, a costruire eventi, a diventare evento.
Forse è proprio questo il discrimine, l’elemento con cui, da oggi, possiamo imparare a riconoscere il vero dal falso, la minaccia autentica dal bluff. Chi è davvero sotto attacco non ne fa show. Odia la minaccia stessa. Non la vorrebbe, e non la esibisce. Come il mal di denti, finge di non averlo sperando di convincersene. Chi costruisce personaggi sulla minaccia, invece, recita, specula, approfitta.
Lo diceva Seneca:  “i dolori leggeri concedono di parlare, i grandi dolori rendono muti”. Quando hai paura, se parli troppo, non hai paura. Non sei sincero. Questo sì, ricordiamocelo.

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