Dopo lo scorso caffè, in cui avevo parlato con voi della strutture di gioco, ovvero gli stadi destinati al calcio femminile, mi sono giunti innumerevoli messaggi, sia di gradimento ma anche altri che mi esortavano a fare luce su quanto sia ancora difficile fare calcio femminile in certe parti d’Italia.

Se da una parte il nord, per molti aspetti e squadre di blasone presenti sul territorio, ha fatto sì che si catalizzasse maggior attenzione e dunque anche organizzazione verso il movimento femminile, a farne ancora le spese, alle volte anche per un retaggio di una mentalità retrograda e maschilista, paradossalmente è molto più difficile trovare spiragli al sud d’Italia dove il nostro amato calcio è ancora ad appannaggio degli uomini e di conseguenza si fa fatica a costruire attorno alla prima squadra femminile, dove si riesce ad allestirla, quelle che poi sono le basi per il famoso ricambio generazionale, ovvero le giovanili, che nel calcio femminile sono prioritarie per squadre che non sono dei top club o che non sono affiliate a nessuna altisonante, al fine di garantire negli anni la sopravvivenza della realtà in questione. Spesso, troppo spesso, queste squadre sono purtroppo già “parcheggiate” o mosche rare che poi non potranno proseguire il loro cammin,o perché con la crisi economica post covid che si è creata, non si possono permettere di sostituire le ragazze più datate che lasciano l’attività, con delle giovani di prospetto o semplicemente con delle altre ragazze che si possano inserire e prendere il loro posto.

Tutto questo in particolare avviene in diverse parti d’Italia ovviamente, e non solo nel calcio femminile ma anche nella pallavolo o in qualsiasi altro sport, ma quello che mi ha colpito in negativo delle decine di persone fra addetti ai lavori e giocatrici o aspiranti tali, è che questo grido d’allarme mi sia giunto in particolare dal sud Italia isole comprese.

Qui mi hanno raccontato che la mentalità spesso paesana di una ragazza che vuole giocare a calcio non è assolutamente allineata con quello di bello che viviamo e vediamo dai campi della serie A, B e C, spesso le famiglie non permettono ancora alle proprie figlie di giocare a calcio femminile per un fatto di costume e decoro, magari gli è concesso al massimo giocare a calcetto nei vari tornei amatoriali del CSI o UISP ma non a calcio a 11, sul quale ancora oggi, prevale il vecchio discorso di sempre, ovvero che le ragazze vengono marchiate come maschiacci o peggio ancora come omosessuali. E dire che per fortuna ci sono anche nei nostri campionati società importanti del sud che si battono con le unghie e con i denti al fine di portare avanti il nome di queste terre, basta pensare a Pomigliano che prima ha difeso il titolo di serie A da chi gli offriva soldi per subentrare e che ogni partita la gioca con il coltello fra i denti e ha anche un discreto settore giovanile, poi mi viene in mente il Napoli calcio, che anche lui non ha legami con il club maschile ma dopo la retrocessione in B ha allestito una grande squadra, poi via via ci sono: l’Apulia Trani, la famosissima Torres, il Cosenza, il Frosinone, il Lecce, la Salernitana ecc… solo per citare alcune squadre che in questi anni stanno facendo la storia del nostro movimento. Bene proprio a loro va il mio personale plauso, per aver portato con molto più sacrifici, visto i tanti messaggi arrivati su questo tema, il verbo della civiltà sportiva e dei diritti dell’emancipazione sportiva delle donne che in Italia sta passando anche tramite il pallone.

Quando ho preso questo incarico con Calcio Femminile Italiano non mi sarei aspettato di dover scrivere ancora di discriminazione cosi marcata e di una mentalità cosi arcaica e radicata nel passato. Ho citate solo alcune di queste realtà, ma invito da questo caffè a continuare a scrivermi in modo da tenermi informato sui piccoli o grandi miracoli che con pochi soldi state compiendo anche nei campionati di eccellenza ecc…

Perché sono consapevole che se questa volta abbiamo detto di qualcosa che ancora non va, prossimamente vorrei parlarvi di miracoli sportivi regalandovi i giusti riflettori, del resto mi ricordo che quando lavoravo nella Lega Volley Femminile ho visto delle frazioni come San Lazzaro di Savena arrivare a giocarsi la finale scudetto e la grande Novara che poi lo ha vinto nascere da una passione delle suore di Trecate, perché queste storie fanno bene al cuore non solo di chi le scrive ma spero anche di voi che leggete.

Alle giovani ragazze del pallone che hanno ancora problemi in generale con queste mentalità del passato, non dico nulla, perché so che siete forti e che siete sole a combattere questa battaglia, prima che calcistica, sociale.

Danilo Billi
Danilo Billi è un giornalista pubblicista da circa 20 anni. Nativo di Bologna, ha mosso i primi passi lavorativi nella città natale nell’ambito sportivo, seguendo dapprima la Fortitudo Baseball e poi la Pallavolo femminile di San Lazzaro di Savena in serie A1. Per gli anni a seguire ha collaborato con la Lega Volley Femminile, prima di approdare a Pesaro, dove è stato capo fotografo per oltre 10 anni dell’ex Scavolini Volley di A1 e redattore a Pesaro, dove attualmente vive, per il Messaggero, il Corriere Adriatico e Pesaro Notizie (web). Si è occupato del Bologna Football Club per diverse stazioni radio emiliane, come Radio Logica e Radio Digitale, dopo di che ha iniziato a scrivere per la fanzine Cronache Bolognesi e ha collaborato con altri siti e app che si occupano, tra l’altro, di calcio femminile, che negli ultimi anni ha rappresentato la maggior parte della suo impegno giornalistico. Ha scritto due libri di narrativa attinenti al calcio Bolognese e al suo tifo e uno lo scorso anno relativo alla stagione del Bologna calcio femminile edito dalla collezione Luca e Lamberto Bertozzi.