Per la rubrica “A pranzo con l’Ospite” abbiamo avuto il piacere di intervistare in esclusiva Carolina Pini.
L’’ex calciatrice, che ha vestito la casacca della Nazionale per 28 volte con 3 reti,  è tornata sulla gara di Rotherham persa dall’ Italia contro la Francia:
“È sempre difficile analizzare partite del genere. Prendere tre gol nell’arco di neanche 10 minuti lascia pochi commenti. Le ragazze sono preparate bene, per alcune di loro è l’ultimo Europeo, per altre il primo. Le motivazioni per far bene ci sono ma il gap c’è e non lo si può eliminare con cuore e grinta. Ricordiamoci che già in Champions le francesi dominano da anni e arrivano quasi sempre in finale. Il Lione ha vinto quest’anno la sua ottava edizione della Champions, i successi non arrivano mai per caso”.
Il risultato, quindi, è figlio di un’attenzione diversa riservata negli anni scorsi al calcio femminile come sottolinea l’ex centrocampista:
“La Francia così come la Germania, e negli ultimi anni l’Inghilterra e la Spagna, hanno investito e reso il calcio femminile un sistema di altissimo livello e molto professionale  Il nostro campionato che comunque è migliorato tanto negli ultimi anni, non permette una preparazione mentale e fisica del genere. I miracoli si possono fare, ma non ogni giorno”.

Il passaggio al professionismo potrà quindi aiutare l’alzamento dell’asticella futura come precisa l’ex Bayer Monaco e Verona:
“Cambia moltissimo, è un passo enorme e non parlo di retribuzione effettiva. Fondamentale sarà mettere le fondamenta per far diventare il calcio un lavoro a tutti gli effetti letteralmente legale anche per le donne. Non è pensabile allenarsi ogni giorno, dare tutto allo sport e poi, una volta finita la carriera non avere i contributi pensionistici. Come in ogni lavoro, è giusto avere un contratto in regola, giorni di malattia, di maternità e versare i contributi e poter avere un adeguato sostegno assicurativo. Questo è quello di cui si parla con la parola “professionismo”. Far diventare il calcio, che dal punto di vista dell’impegno delle ragazze è già da decenni una professione, un lavoro vero e proprio”.


Pensando ai tanti sacrifici fatti la classe ’88 continua:
“I sacrifici in questi anni sono stati fatti da tutte le calciatrici, ognuna ha dato il proprio contributo in questo sviluppo. Ma un grazie con la G maiuscola va sicuramente a Sara Gama. È stata lei a portare avanti negli ultimi anni questa battaglia, lo ha fatto prima da sola, poi con altre persone. Forse prima o poi il professionismo sarebbe arrivato. Ma più poi che prima. Se oggi e non nel 2026 o nel 2030 si parla di professionismo lo si deve a lei”.
Tornando sugli Europei in Inghilterra l’ex calciatrice toscana aggiunge:
“Prima di tutto va detto che il livello di questi Europei è altissimo. Ai Mondiali è più facile riuscire a giocarsela ma qui si parla di tutte squadre fortissime. Io ovviamente mi auguro che le azzurre arrivino fino alla fine, molte volte poi è una questione di fortuna. Sullo 0-0, per esempio, fosse entrata la palla di Bonansea all’inizio avremmo sicuramente visto una partita diversa. Alle volte un episodio ti cambia completamente la partita e l’andamento di tutto il torneo”.

Sulla crescita d’interesse verso il calcio femminile, invece, la Pini chiosa:
“L’interesse mediatico è cresciuto in modo esponenziale e ne sono davvero contenta! Molto è stato anche agevolato dai social media da Facebook ad Instagram passando epr Tiktok, che hanno sicuramente contribuito a rendere più visibile il lavoro che svolgono le calciatrici e a farle conoscere al pubblico.
È stato emozionante vedere Cristiana, con cui sono cresciuta e ho giocato diversi anni, sul palco del Festival di Sanremo. Vuol dire che ci siamo, che siamo presenti, che il pubblico ci riconosce. Per noi tutte il più bel riconoscimento è vedere le bambine di oggi che hanno idoli nel calcio femminile. Questa è la nostra vittoria, essere un esempio per le nuove generazioni”.
La chiusura è sull’esperienza Azzurra vissuta dal 2006 al 2013:
“Il mio ricordo in questi giorni va al mio primo Europeo giocato, in Finlandia, nel 2009. Avevo appena 21 anni. Stadi semi-vuoti ma emozione da far venir la pelle d’oca, giocare e rappresentare il proprio Paese non ha prezzo. Ogni volta che sento l’inno, ancora oggi, sono brividi”.