Così tanto non aveva mai giocato. Tredici gare su quindici, a difesa della porta gialloblù. Lei che finora, con la Fortitudo Mozzecane, aveva collezionato appena dieci presenze nella scorso campionato e otto nel 2014/15. Francesca Olivieri è autocritica per natura, la maturità dei suoi 18 anni si riflette ogni domenica tra i pali:
«Potevo partire meglio questa stagione, ma ora mi sto riprendendo».

Tra le mani, sa di avere l’occasione di essere un punto fermo per la prima volta in carriera:
«Scendere in campo con continuità è una soddisfazione, aiuta a crescere, ad avere più concentrazione e ad offrire prestazioni migliori. Alla lunga, i risultati si vedono».

Olivieri, come sta vivendo la sua prima annata da titolare?
«Con tranquillità. L’obiettivo è subire meno gol possibili ed essere di sostegno alla squadra. Nelle ultime due stagioni non ho avuto l’opportunità di giocare con costanza, sia per scelte tecniche sia per i problemi fisici dell’anno scorso che non mi hanno dato tregua, e così non è facile farsi trovare sempre pronte. Il mio campionato? Purtroppo le prime partite meritano un cinque in pagella: non essendo abituata a venire schierata tutte le domeniche, mi è mancata la sicurezza necessaria e ho avuto bisogno di qualche match per prendere confidenza. Con il passare del tempo, invece, mi sto meritando almeno la sufficienza».

Cosa si prova ad essere uno degli estremi difensori più giovani, per di più titolare, della serie B?
«Un orgoglio. Affronto una sfida alla volta e do il 100% ogni settimana: l’importante è rimanere serene e non porsi traguardi insuperabili. Naturalmente, avendo poca esperienza è molto più facile sbagliare rispetto ad altri portieri, però sono una che non si arrende e mi piacciono le sfide. Inoltre, considero la serie B un ottimo banco di prova e una categoria adatta per crescere».

La partita migliore e quella peggiore del suo campionato?
«Contro il Real Meda (3-3, ndr), in casa, non mi sono piaciuta per niente: è stata una giornata bruttissima, storta dall’inizio alla fine, in cui ho commesso errori grossolani che di solito non accadono in allenamento. Al contrario, nonostante la sconfitta (2-0, ndr), contro il Fimauto Valpolicella mi sono sentita bene, calma, e ho percepito, finalmente, di aver giocato bene».

La parata più difficile?
«Su una punizione a giro contro l’Azalee, a Gallarate: Valentina De Luca ha effettuato un gran tiro dal limite dell’area ma con la mano richiamo, di puro istinto, sono riuscita a deviare la palla in calcio d’angolo. Questo lo considero l’intervento più bello che ho fatto da quando sono a Mozzecane».

L’errore più grave?
«L’uscita avventata contro il Clarentia Trento all’andata: quello sbaglio ci è costato il 2-2 all’ultimo secondo e mi ha condizionato fortemente nelle gare successive. Per alcune partite non sono stata più lucida e avevo paura ad uscire».

Finora, ha mantenuto la porta inviolata contro Milan Ladies, Unterland Damen e Riozzese. Da quando è alla Fortitudo non era mai riuscita a terminare tre incontri, in un solo campionato, senza incassare gol. Un segnale di maturità?
«Certo. Non prendere reti è sempre importante: in tal modo trasmetti sicurezza alla difesa, a te stessa e all’intera squadra. Il mio preparatore Claudio Bressan ripete spesso: Se un portiere non subisce gol, di sicuro ha vinto la sua sfida».

Il Mozzecane visto da dietro?
«Una buona formazione, abbastanza ordinata e con notevoli potenzialità, forse maggiori di quelle che pensiamo. Purtroppo abbiamo tanti alti e bassi, paghiamo la giovane età della rosa (quasi vent’anni media, ndr) e l’inesperienza ci penalizza, però disponiamo di un organico molto valido e complementare: c’è chi è dotata tecnicamente, chi ha più grinta, chi se la cava bene di testa e chi è veloce».

Come si trova con le compagne della difesa?
«Mi fido delle mie compagne e spero che anche dall’altra parte ci sia stima nei miei confronti. Con la maggior parte di loro gioco da oltre due anni e l’intesa si è affinata nel tempo: ecco, forse dovremmo comunicare di più durante il gioco per sostenerci maggiormente».

In quindici match, la Fortitudo non ha subito reti solo quattro volte. Il motivo?
«Errori, tutti evitabili. Fossimo state più concentrate e attente a 360°, avremmo incassato meno gol. In alcune circostanze, però, si sono dimostrate brave le avversarie».

Serie A per anni, scudetti vinti e Nazionale: avere un tecnico come Fabiana Comin, ex portiere di alto livello, che effetto fa?
«È un vantaggio, senza dubbio. Grazie alla sua grande esperienza italiana e internazionale, Comin può capirmi meglio sotto certi aspetti, sia quando sbaglio sia quando mi comporto bene, e darmi consigli utili. Non solo: riesce a giudicare con obiettività una prestazione o una situazione specifica che posso vivere in partita, avendone lei provate parecchie in passato. Fabiana mi incita e la ringrazio per la fiducia».

Claudio Bressan?
«Mi trovo bene. È la seconda stagione che lavoro insieme a lui a Mozzecane e mi sento maturata: Bressan ha giocato per tanti anni, e gioca tuttora a livello amatoriale, pertanto è un pozzo di consigli. Un esempio? Una delle sue frasi tipiche è: In area i rimbalzi della palla devono essere dispari, e uno è già troppo. Claudio ha sempre il sorriso sulle labbra e questo riesce a fornirti una spinta in più: è una persona aperta e dialogo, difatti ci confrontiamo in continuazione sugli errori della domenica e sulle cose da migliorare».

Il rapporto con la collega di reparto, Vanessa Venturini?
«Buono. Io e Vanessa andiamo d’accordo e tentiamo di sostenerci al massimo a vicenda durante le gare, che scenda in campo l’una piuttosto che l’altra. Incoraggiarsi è fondamentale».

Si dice che i portieri abbiano un carattere particolare, un po’ «pazzo». Francesca che tipo è?
«In effetti, per fare il portiere occorre essere un po’ pazzi (sorride, ndr). Io, però, vado controcorrente: normalmente ho un carattere piuttosto riservato e tendo a stare per i fatti miei, mentre in campo cerco di trasformarmi e diventare esuberante: d’altronde, dovendo urlare le indicazioni alla difesa, incitare, chiamare la palla ed essere precisa nelle uscite, se fossi tanto timida non potrei ricoprire questo ruolo».

Prendere gol la fa arrabbiare?
«Molto. Anzi, troppo, soprattutto se è colpa mia. Gli errori poi me li ricordo e ci ripenso anche una volta finito il match, proprio per non ripeterli in futuro. Quando subisci una rete è importante non buttarsi giù, spronare te stessa o le compagne, reagire subito e tirare fuori ancora più voglia di rimediare».

Il suo punto di forza e il suo punto debole?
«Sui palloni alti e le uscite non ho mai avuto confidenza, e so di doverci lavorare, mentre la reattività e i riflessi tra i pali sono gli aspetti in cui mi sento sicura».

Durante un incontro, è meglio effettuare un paio di interventi, ma decisivi, o essere tanto impegnata?
«Non è una questione di preferenze: non venire mai impegnate e farsi trovare pronte all’improvviso è più complicato, perché se sbagli rischi di compromettere il risultato; se, invece, sei costantemente in azione sei più carico, caldo, e magari più efficace. Tuttavia, nel secondo caso è chiaro che la fase difensiva sta concedendo qualcosa all’avversario e non va bene».

Il portiere ha una responsabilità maggiore rispetto ad altri ruoli?
«Di sicuro ha una pressione particolare addosso perché, a differenza delle mie compagne, io alle spalle ho solo la porta e, se commetto un errore, subiamo gol. II portiere sa di dover rimanere sull’attenti per oltre novanta minuti, infatti a fine gara sono sempre esausta mentalmente».

La qualità per eccellenza di un estremo difensore?
«La concentrazione. Un’atleta può essere anche un fenomeno ma se non si impegna l’errore è dietro l’angolo».

Olivieri ha «assaggiato» pure la serie A, nel 2014, con la maglia del Fimauto Valpolicella: aveva da poco compiuto 16 anni e giocò sette minuti contro il Tavagnacco.
«Mi ricordo. Una sola presenza però da pelle d’oca. Stavamo perdendo 8-0, mister Antonella Formisano decise di buttarmi nella mischia per farmi provare la serie A e provai una fortissima emozione. Quel pomeriggio diluviava e affrontare una formazione di alto livello, come era il Tavagnacco di allora, è stato da brividi: ho toccato qualche pallone ma avevo le gambe che tremavano. Tornare nella massima categoria? Se ci fosse la possibilità non direi di no. Non è un’ossessione, chiaramente, però disputare una stagione da titolare in serie A sarebbe un traguardo pazzesco».

Anche la Nazionale si era accorta di lei in passato: tra il 2013 e il 2014 aveva partecipato a tre stage con l’under 17. Che emozione fu?
«Ero fiera di me. Non capita tutti i giorni di riuscire a farsi notare dai selezionatori della Nazionale e indossare la divisa azzurra è un orgoglio, ma purtroppo non avevo sfruttato al meglio le occasioni: avrei potuto dare di più e non mi ero piaciuta. Dopodiché, non sono stata più convocata: nelle ultime due annate ho giocato poco e forse questo ha influito. Treno passato? Probabilmente sì, però se continuerò a lavorare sodo e a dimostrare quello che so fare magari un giorno potrò realizzare questo piccolo sogno nel cassetto».

Olivieri è un portiere da sempre?
«No. Da piccola, quando giocavo con i maschi a San Giovanni Lupatoto, ero un difensore centrale. Poi, durante una partita il portiere si fece male a un dito e, visto che a me piaceva stare in porta, provai. Avevo dieci anni allora e, da quel momento, sono sempre stata tra i pali. Segnare un gol è fantastico, ma è spettacolare pure essere un estremo difensore: una parata ti dà una scarica di adrenalina incredibile e avere la possibilità di salvare il risultato è uno degli aspetti più belli».

Un modello di portiere?
«Stéphanie Öhrström (Fiorentina, ndr) è la migliore in Italia: ha molta esplosività, è reattiva fra i pali e brava fuori. In più ha un’ottima tecnica».

Domenica 12 febbraio è il suo compleanno: il regalo per i 19 anni?
«In primis, vincere la partita contro il Real Meda. In generale, invece, proseguire la stagione nel migliore dei modi, avanzare in classifica con la Fortitudo e aumentare il numero di gare senza subire gol».

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