“Mi presento: sono una calciatrice di una squadra di Eccellenza. Gioco a calcio per passione e per divertirmi, un po’ come tutte le ragazze che militano in questa categoria. È una domenica come tante altre e ho appena finito di disputare una partita di campionato, scontro al vertice. Abbiamo preparato questa partita minuziosamente tutta la settimana per arrivare pronte a questa sfida importante, perché non importa la categoria, quando sei su quel rettangolo verde non cambia che tu stia giocando all’oratorio o la finale di Champions: le emozioni del gioco del pallone sono le stesse per tutti. È vero, cambia la mole di pubblico e la posta in gioco, ma la magia del calcio è anche questa. A proposito di pubblico, abbiamo preparato la partita, ma non eravamo pronte ad affrontare questo tipo di pubblico. Mi spiego meglio: siamo uscite sconfitte da questa partita, sono stati 90 minuti combattuti ma loro sono state più brave di noi. E su questo niente da dire, chapeau!

Vi scrivo questa lettera di sfogo perché mentre 22 giocatrici si davano battaglia in campo, in modo pulito, rincorrendo quel pallone che tanto ci fa gioire e soffrire, fuori dal rettangolo era presente una cornice di pubblico locale che ha deciso di passare la propria domenica ad insultare le giocatrici della squadra avversaria, continuamente, senza sosta, senza pesare la durezza degli insulti. Gioco a calcio da tanti anni, ho giocato anche a livelli più alti e sono abituata ai tifosi avversari che decidono di sostenere la propria squadra affossando la controparte. Fa parte del calcio, purtroppo, e chi lo segue lo sa. Niente di nuovo. Oggi però, a mio avviso, è stato superato il limite. A fine partita, mentre la squadra vincente esultava, i loro tifosi (non tutti, per fortuna, ma una buona parte) invece che gioire ed applaudire l’impresa delle loro ragazze, hanno pensato di inveire contro le sconfitte, riempiendole di insulti e sfottò, toccando la sfera personale, offendendo i genitori, senza preoccuparsi tra l’altro che alcune di noi i genitori non li hanno più. Io lo trovo inaccettabile.

Vorrei dire alle società che leggeranno di educare i propri tifosi, alle ragazze di educare i propri genitori (so che sembra un paradosso ma a volte è necessario), e se qualcuno si riconosce in queste righe di riflettere prima di dire, prima di inveire contro altri esseri umani solo perché hanno una divisa diversa da quella delle vostre figlie. Perché questo è il principio della guerra, perché questo è il principio dell’odio, e il calcio, soprattutto quello dilettantistico, con tutto questo non dovrebbe avere a che fare. Perché quelle che state insultando potrebbero essere le vostre figlie, perché insultare una giocatrice per il suo aspetto fisico è body shaming, perché dire ad una ragazza che ha perso il padre e ha una maglia per ricordarlo, “vai a chiamarlo” non è solo ignoranza, è cattiveria, è crudeltà. Perché se la domenica dovete venire nei campi a sfogare le vostre frustrazioni su altre persone, vi consiglio, per il bene di tutti, di stare sul divano a guardare la televisione. So che probabilmente questa lettera non arriverà a nessuno, ma non potevo stare zitta davanti a questo scempio e avevo bisogno di sfogarmi.
Da una ragazza qualunque, che gioca in una squadra qualunque”.

Non ho mai provato a svuotare tutta l’acqua del mare con un secchiello né tantomeno proverò a stigmatizzare quanto accaduto alla ragazza ed alle sue compagne con la solita aria fritta.
Le parole se le porta via il vento e allora sprechiamone il meno possibile.
Il triste e condiviso sfogo della ragazza della lettera ci riporta per l’ennesima volta ad avere a che fare con persone povere dentro e piene di paura in realtà verso sè stessi, capaci di nascondere la loro innata pochezza solamente attaccando chi la faccia la mette ad ogni partita con prestazioni eccellenti o meno, non è importante, ma con il coraggio di essere anziché di sembrare.
Il mondo che ci circonda, ancor di più in questo periodo, ci sta insegnando un solo paradigma: vincere a prescindere. Piuttosto che scendere a compromessi, far vincere la ragione e risparmiare vite umane, ci si indebita fino al collo per avere la meglio sull’avversario. C’è chi si spinge ancora più in là e oltre a vincere vorrebbe addirittura giocare da solo senza più antagonisti, magari spazzando via pure l’allenatore e lo staff,
i tifosi ed i parenti dei tifosi oltre allo speaker ed ai fotografi…
Con tutto ciò giustifico chi si è permesso di mortificare quelle giocatrici? assolutamente no, ma quelle persone sono frutto di questo sistema.
Ho avuto il piacere in quel di Vinovo, di assistere per sei anni alle partite casalinghe delle Juventus Women assieme ad un gruppo organizzato di tifosi, i JWS che, come primo comandamento avevano quello di sostenere sempre le proprie ragazze e di non insultare mai né le giocatrici né i tifosi avversari che si giocasse in casa o in trasferta.
Quel gruppo è stato più e più volte motivo di orgoglio da parte delle giocatrici bianconere durante le interviste.
Il piccolo impianto sportivo con la sua unica tribuna era ideale perché permetteva alle due tifoserie di stare per forza di cose assieme.
Condividere gli stessi spazi porta a conoscersi e a stemperare qualsiasi sciocca intenzione oltre a capire che in realtà si è tutti la stessa cosa, dipinta solo con colori diversi.
Ma invece di mutuare ovunque questa bellissima realtà, da quest’anno ho rivisto le divisioni e le tribune destinate agli ospiti, ben lontane dagli altri in settori del campo a dir poco scomode se non imbarazzanti.
Non per niente ho cominciato a risentire negli stadi quei cori beceri e frustrati che almeno nel calcio femminile speravo fossero impossibili.
Se almeno nel femminile si abolisse il concetto di dualismo sugli spalti forse non assisteremmo più ad episodi come quelli narrati nella lettera. E’ cosi difficile ?
Cara ragazza, la cultura parte sempre dal basso e si espande nella società, non l’ho mai vista proposta da un Re.