Stefano Serami, allenatore della ASD Femminile Juventus Torino, squadra di Eccellenza, si racconta in un’intervista esclusiva con la redazione di Calcio Femminile Italiano. La sua carriera da allenatore tra le panchine delle squadre femminili comincia nel 2010 con il Torino Women di Roberto Salerno, squadra nella quale giocavano le allora giovanissime Barbara Bonansea, Cecilia Salvai e Martina Rosucci.

Ciao Stefano, cosa ti ha motivato a scegliere di allenare l’ASD Femminile Juventus Torino?

“Non servono motivazioni. Quando fai l’allenatore prendi delle decisioni. Sono andato alla ASD Femminile Juventus Torino per via di amicizie interne e sono con loro da 8 anni. È una società nata nel 1978 e che ha rinunciato a fare Serie B e Serie C perché purtroppo diventa difficile fare calcio ad alti livelli senza sponsor e senza qualcuno che abbia la passione di seguire la squadra. Il presidente Andrea Ranieri e il direttore sportivo Tobia Giordano sono due persone splendide che seguono il calcio dal ’78. Si gioca in Eccellenza, ma tutto ciò per me è come se fosse il Real Madrid”.

Come ti sei trovato all’inizio della carriera di allenatore nel femminile?

“Sai, il primo anno che ho fatto nel femminile, mi sono trovato un attimo disorientato all’inizio. Però, per quel che riguarda i lavori, sono tutti identici, perché cambiano solamente a livello di forza, a livello di velocità e di coordinazione. Gli insegnamenti che trasmetti sono sempre gli stessi. Cerchi di portare le ragazze prima di tutto alla professionalità. Devi fargli capire che fanno un certo tipo di lavoro perchè sono delle professioniste. Quindi, cerchi di insegnargli le cose che possono essere utili nella vita, al fine di raggiungere degli obiettivi che loro hanno sicuramente in mente. Io gli auguro sicuramente di giocare in squadre di categorie più alte e, in primo luogo, di trovare delle persone che sappiano insegnargli qualche cosa a livello calcistico e umano. Soprattutto che non lascino mai gli studi, perché è la cosa principale su cui puntare davvero, perché poi gli servirà per proseguire nella loro vita”.

E, concentrandosi sull’aspetto dello spirito di squadra all’interno dello spogliatoio femminile:

“Bisogna imparare a gestirle, a seguirle, sempre, giorno dopo giorno, dargli degli incentivi giusti. Hanno tanta voglia di imparare. Noi siamo un gruppo di giovanissime, all’interno della mia squadra ci sono giocatrici che si sono laureate da poco, qualcuna che studia e altre che lavorano. Però, bisogna sempre proporgli qualcosa di nuovo per far sì che stiano là sul campo a seguirti. E questo si è sempre fatto. Nel calcio gli allenamenti sono tutti simili, non si inventa l’acqua calda, ma bisogna variarli spesso per renderlo meno pesante a livello mentale”.

Le giocatrici come gestiscono gli impegni extra calcistici?

“Noi ci alleniamo la sera proprio perché se qualcheduna studia o lavora non puoi fare allenamento al pomeriggio e quindi la maggior parte vanno a scuola, sono giovanissime, altre lavorano, altre studiano. Gestiscono gli impegni nel miglior modo possibile, cercando di essere sempre presenti. La maggior parte delle ragazze non ha mai mancato allenamento, lo saltano quando proprio o non stanno bene o hanno un impegno lavorativo o di studio. Quindi non c’è neanche bisogno di motivarle più di tanto perché si motivano da sole, hanno proprio voglia di apprendere. La donna, a differenza dell’uomo, ha voglia di imparare nelle ore che trascorre al campo”.

Quindi può essere una motivazione in più avere un impegno che sia parallelo al calcio?

“Quando vengono agli allenamenti sicuramente ti seguono di più. In quel momento là, però, è più stancante. Non è come andare a giocare alla Juventus o alla Roma (o, in generale, in Serie A) dove fanno le professioniste, hanno uno stipendio e si gestiscono la vita fuori dal campo come vogliono loro. Sicuramente c’è gente che si laurea anche in quelle categorie là e io ce ne ho avute tante. Quando allenavo in Serie A, Salvai era tra queste, così come Bonansea”.

L’ASD Juventus Femminile Torino vince per il secondo anno di fila la Coppa Piemonte. Con quali emozioni hai vissuto quella partita?

“È stata combattuta. In quel momento là eravamo la squadra da battere in finale, essendo le detentrici del titolo dall’anno prima. È stato bello vedere che le ragazze hanno provato a fare le cose che gli erano state chieste dal loro allenatore, le hanno messe in atto e siamo riusciti a portare a casa la vittoria e quindi e sono contento per quello che hanno fatto loro. Dico che il merito è sempre delle ragazze. L’allenatore le mette in campo, dà le delle idee e delle indicazioni. Ma poi c’è del loro che, se mancasse, non riusciresti a tirar fuori niente da quello che hanno effettivamente dentro, la fantasia, le giocate e tutto”.

Il mister ha degli ingredienti segreti per la sua ricetta vincente, considerato anche il primo posto in campionato?

“Il discorso di essere primi in campionato è perché sicuramente le giocatrici non mollano mai e ci tengono tantissimo. Però, torno a ripetere, puoi dirgli tutto quello che vuoi, ma la palla tu dalla panchina non la butti dentro. Devono essere loro a buttarla dentro e devono essere loro a non farla entrare nella propria porta. Quindi tu devi cercare di applicarti tutte le volte che fai allenamento per dargli un qualche cosa che gli serva poi alla domenica o al mercoledì, dipende quando si scende in campo, e poi tutto il resto lo fa la giocatrice. Hai bisogno degli aiutanti giusti, io ho uno staff che sicuramente devo ringraziare perché mi danno una mano a seguire le ragazze perché da solo diventerebbe difficile”.

Nella tua squadra non mancano i talenti, vero?

“Non voglio fare danni dentro lo spogliatoio, per me sono tutte talentuose. Mi auguro che le più giovani possano essere viste e individuate da qualche osservatore serio e che magari le porti a giocare in categorie diverse. Auguro a loro di arrivare veramente in serie A o a giocare all’estero. Però noi abbiamo perso giocatrici perché procuratori se le hanno portate all’estero, poi all’estero vanno a giocare una serie C o una serie B e potevano farla qua in Italia. Alcune giocatrici hanno giocato l’ultima edizione del Torneo delle Regioni con la rappresentativa del Piemonte. Ne avevo sei all’interno della rappresentativa e ne erano state convocate 9. Sono felice di questo, ma dispiaciuto che siano uscite ai quarti di finale. Per loro vale come la Nazionale”.

Per concludere, quale analisi elabori sulle nuove generazioni di giocatrici e sul calcio femminile in Italia?

“Se ci sono ragazze giovani è giusto che vadano in un centro sportivo dove ci sia il settore giovanile, dove soprattutto ci siano delle persone che insegnino loro a giocare a calcio. A differenza del maschio, difficilmente si trovano tre o quattro ragazze che si mettono a giocare a pallone in mezzo alla strada. Questo aspetto manca nel calcio femminile, il concetto del vecchio oratorio maschile dove imparavamo da soli a giocare a pallone. Il mio consiglio è di frequentare centri sportivi in cui ci siano tecnici che possano insegnare loro i principi fondamentali. Il livello del calcio femminile in Italia si è alzato, sicuramente, ma abbiamo solo dieci squadre professioniste in Serie A. Mi auguro che il livello professionistico femminile salga e si avvicini lentamente al livello di quello maschile. Il numero di tesserate è aumentato, ma il divario con il professionismo all’estero è ancora da colmare”.

La redazione di Calcio Femminile Italiano ringrazia Stefano Serami per questa intervista in esclusiva.

Niccolò Larocca
Nato il 6 agosto 1995. Laurea triennale in Lingue e letterature straniere presso l’Università degli studi di Milano conseguita nel 2019 e master di giornalismo multimediale presso la 24 Ore Business School completato nel 2024. Da sempre appassionato di calcio e sport, con le sue dinamiche e le sue storie da raccontare. Credo nei valori che accompagnano il calcio femminile e nella sua potenziale crescita.