Sono una ragazza di 23 anni e gioco a Calcio. Sì, mi piace correre dietro ad un pallone. Il campo da calcio è sempre rettangolare, la porta è sempre larga 7,32 metri e alta 2,44 e la partita dura sempre 90 minuti. Proprio come nel calcio maschile. Spero siano ancora poche le persone che si pongono questi dubbi, ma meglio iniziare chiarendo subito le cose.

Voglio partire da questo giorno, 4 Aprile 2014: la Nazionale Italiana under 17 femminile ha ottenuto il terzo posto all’ultimo Campionato del Mondo Fifa ed è tornata in Italia con una storica medaglia di bronzo. Di questo successo se ne sono accorti proprio in pochi, nonostante nessuna nazionale giovanile di calcio avesse mai vinto prima una medaglia a un Campionato del mondo. Autorità sugli spalti per la semifinale? Nessuna. La notizia sui giornali? Relegata in poche righe. Il premio in euro per essere salite su un podio mondiale? Zero. “È stata una emozione perché in Italia a vederci giocare non ci sono mai più di 100 persone, lì invece c’erano 30 mila spettatori”. Queste sono le parole di Carlotta Cartelli, portiere della Nazionale under 17. Ecco, allora sì: esistiamo anche noi, o meglio dovremmo esistere anche noi.

Ho cominciato a giocare 17 anni fa quando dopo un saggio di ginnastica artistica decisi che dovevo percorrere un’altra strada e ora a 23 anni sono sempre più convinta che non potevo fare scelta migliore e la passione per il pallone continua incessantemente. Ho giocato con una squadra maschile della mia città, in Friuli, fino ai 14 anni e la mia fortuna è stata trovare un allenatore che valorizzasse la fisicità e la tecnica anche di una persona che all’apparenza era solo “una femmina che giocava a calcio”. Questo mi ha permesso di sentirmi sempre al posto giusto e allo stesso livello dei mie compagni crescendo molto da ogni punto di vista.

Dopo questa prima esperienza è iniziata la mia storia nel calcio femminile. Ho giocato prima nel Pasiano, poi nello Zoppola e da 4 anni a questa parte la mia carriera calcistica è proseguita nella città di Trieste, al Montebello Don Bosco. Il campionato di Serie C ormai sembra quasi una commedia teatrale, le squadre in regione sono dimezzate per i costi elevati e la mancanza di sponsor: quest’anno per esempio ci siamo ritrovate ad affrontare un campionato costituito da sole 5 squadre e a disputare ben quattro partite con ogni singola squadra. Se la finalità della Federazioni era demoralizzarci ci sono riusciti.

Ogni anno il nostro campionato, e tutto ciò che lo circonda, è portato avanti per gran parte dalle risorse economiche di noi giocatrici che dando il merito alla nostra forza di volontà continuiamo a crederci e a sperare che prima o poi qualcuno si renda conto che anche noi valiamo qualcosa. Purtroppo anche spostandosi a pochi chilometri da Trieste la realtà è molto triste poiché negli ultimi anni anche squadre di alto livello che militavano in Serie A sono state obbligate a chiudere i battenti perché il carico economico era troppo oneroso e ormai insostenibile.

Questa situazione non fa altro che scoraggiare giovani ragazze che vorrebbero iniziare ad avere familiarità con il pallone facendolo magari diventare il loro sport, poiché le condizioni nelle quali sopravvive il calcio femminile inducono la maggior parte di loro a percorrere altre strade. Magari starete pensando che finché si parla di squadre di Serie C il problema può anche essere sottovalutato visto che non siamo a livelli elevati; ma anche se saliamo alle categorie superiori, dove il confronto con la dimensione maschile è più lampante ed evidente, la situazione non cambia: anzi risulta ancora più vergognosa. Le giocatrici di serie A femminile non vengono considerate professioniste, le donne che giocano a calcio sono dilettanti. Scontato parlare degli stipendi minimi che percepiscono nonostante l’impegno totale che è richiesto. Scontato affermare quanto per la maggior parte di loro sia indispensabile svolgere anche un secondo lavoro, con la conseguenza di danneggiare proprio la qualità e il livello di gioco. Ci sono calciatrici che possiedono le caratteristiche del fuoriclasse ma che praticando questo sport in Italia rimangono in quella nicchia nascosta, mentre tutto il resto d’Europa è già nel domani potendo trovare squadre come il Paris Saint German o il Bayer Monaco che disputano semplici amichevoli di fronte a migliaia di spettatori.

Doveroso riferimento va a chi dovrebbe detenere il potere di scelta sul valore che deve ricoprire il calcio femminile in Italia, ma che invece finisce per urlare frasi come “basta dare soldi a quelle quattro Lesbiche”. Stiamo parlando, ahinoi, dell’ormai ex presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Felice Belloli. Queste sue parole sono il risultato di una mentalità retrograda e sessista che vuole solo evidenziare come il calcio femminile sia un grosso peso da portare sulle spalle. Un’affermazione del genere è inaccettabile e ciò che si vuole sottolineare è che si parla delle donne nel mondo del calcio molto più in riferimento al termine “lesbiche” al quale sono etichettate, rispetto al momento più degno di attenzione come è quello di una partita di Champions.

Queste umiliazioni finiscono al confine Italiano perché, ripeto, fuori di qui il mondo è totalmente diverso. Le altre squadre di calcio femminili europee hanno campionati professionistici: questa è la prima e fondamentale differenza. Per esempio, in Francia nella squadra del Paris Saint Germain le calciatrici si allenano almeno otto volte alla settimana, condividono spazi, osteopata, fisioterapista e tanto altro con il team maschile. Gli spot sui loro match vengono trasmessi sempre sui maxischermi durante le partite degli uomini; possono contare su uno stipendio e su una pensione e questo, prima di tutto, significa potersi dedicare totalmente agli allenamenti e offrire di conseguenza uno spettacolo migliore in campo.

Tutto ciò, per noi, in Italia, per ora rimane solo un sogno. Nel nostro paese si contano solo 11 mila tesserate, mentre in Francia hanno raggiunto le 80 mila e in Germania addirittura sono 250mila. Con gli anni questi confronti sono sempre più scomodi. C’è bisogno di crescere, partendo proprio dal numero di giocatrici coinvolte. Bisognerebbe dare la possibilità a tutte le bambine di scegliere, di scegliere tra tutti gli sport anche il calcio femminile, per ora così poco conosciuto e difficilmente avvicinabile per le poche società presenti. Bisognerebbe dare la possibilità di poter iniziare, senza troppe difficoltà, come avviene per tutti gli altri sport. Bisognerebbe dare la possibilità di amarlo e perché no la libertà di sognare da grandi uno stadio con migliaia di spettatori pronti a tifare davvero per il calcio femminile.