Anni ’70. Il Monza gioca in serie C. La società brianzola è da sempre fucina di grandi giocatori e, anche se non ufficialmente, è un piccolo satellite del Milan. In quegli anni dalla Brianza sono passati personaggi come Terraneo, Patrizio Sala, Beruatto, Casagrande, Tosetto, Buriani, Antonelli, gente che poi riuscirà a sfondare nel grande calcio. Alla vigilia di un’importante trasferta a Trento, la primavera del Monza gioca un’amichevole. In quella squadra c’è un giovane regista appena arrivato dalla primavera del Milan.
Direttamente dalla sua voce ho raccolto il ricordo di quel momento “Arrivavo da un infortunio che mi aveva in pratica costretto a saltare tutta la preparazione. Mi ero allenato poco fino ad allora. Durante la gara ad un certo punto vedo il mio compagno che va in sovrapposizione, io senza pensarci due volte gli lancio il pallone sulla corsa e lo metto davanti al portiere e lui va a far goal. In tribuna c’era il direttore sportivo Vitali e la domenica successiva sono titolare in prima squadra”. Di anni ne sono passati e quel ragazzino oggi fa l’allenatore, più precisamente l’allenatore del Mozzanica e il suo nome è Elio Garavaglia.

Mister Garavaglia nasce nella cantera del grande Milan degli anni settanta. Ci parli di lei mister.
In realtà ho iniziato giocando nella squadra del mio paese, in seguito ho fatto il provino al Milan e mi presero subito. In rossonero ho fatto la trafila delle giovanili fino alla primavera, restando a Milano per 6 anni. Poi sono passato al Monza dove sono stato tre anni, conquistando una promozione dalla C alla B. Quindi Pro Vasto, Fanfulla e Voghera in C. Ero un numero 10 un po’ atipico. Non ero un Rivera per intenderci, ero un regista a tutto campo. La mia qualità principale era la visione di gioco e l’ultimo passaggio. Facevo il collante tra i reparti, potevo giocare sia davanti alla difesa che dietro le punte. Purtroppo a 26 anni mi sono rotto i legamenti e allora non c’erano molte opportunità di recupero come adesso per chi subiva un infortunio così delicato. Per continuare a giocare andai nei dilettanti, ma nel frattempo già allenavo i ragazzini.

Come ha maturato l’idea di diventare allenatore?
Ogni cosa che faccio per me è un’esperienza, senza chiedermi tanto in prima battuta dove voglio arrivare. Ho iniziato ad allenare in primis per capire se ero in grado di farlo e devo dire che mi è piaciuto subito. Ho sempre avuto un riscontro positivo dai giocatori. Con qualsiasi squadra mi sono sempre trovato bene. La mia squadra per me è sempre la più forte. Io credo nel mio lavoro e credo soprattutto nel fatto che da un giocatore puoi tirar fuori il meglio di sé. I giocatori vanno motivati e spinti sempre a migliorarsi.
Ricorda la sua prima squadra da allenatore?
Furono gli esordienti del Cuggiono. All’epoca avevo solo 22 anni, al pomeriggio allenavo i ragazzi e poi la sera mi allenavo io, poichè giocavo ancora in C. E subito sono riuscito a creare un rapporto con i ragazzi che è poi il motivo per cui mi sono innamorato di questo mestiere.

Lei ha lavorato con nomi importanti come Tassotti, Baresi, Sannino. Cosa ha ricevuto da loro?
Ho avuto anche contatti diretti con Leonardo, Ancelotti, Capello. Io credo che tutti in qualche modo mi abbiano dato qualcosa. Da tutti puoi imparare, ma soprattutto cerchi di apprendere ciò che ti interessa, tralasciando invece quello che non senti come tuo. Io nell’allenare parto da ciò che ho avuto e scarto quello che mi annoiava quando giocavo. Ad esempio non credo nel far correre a vuoto le persone senza palla.

Qual’è la sua filosofia di gioco?
Riuscire a fare risultati attraverso il bel gioco. E’ chiaro che non sempre puoi riuscirci. Io alle ragazze chiedo di cercare di imporre il proprio gioco, ma se non riesci ad avere la stessa intensità dell’avversario non puoi riuscirci. Serve avere la stessa intesità o più degli altri, ma con una migliore organizzazione. Anche in passato mi sono accorto che spesso tanti giocatori non conoscono alcuni principi basilari del gioco. Più riesci a far tuoi questi principi e più è facile che puoi esprimere bel gioco.

Perchè quest anno ha scelto Mozzanica e con esso il calcio femminile italiano?
Io amo fare esperienze diverse e ho raccolto quella del Mozzanica come una vera sfida. Quando lavoravo per i campi estivi del Milan ho girato molto all’estero e nei paesi anglosassoni o del nord Europa ho potuto allenare delle ragazze, per tanto non sono proprio del tutto nuovo al calcio femminile. Detto questo più conosco questo mondo e più mi affascina e sarebbe bello che la Federazione facesse davvero qualcosa per farlo decollare. Oggi vedo le società lasciate troppo a loro stesse. Le ragazze sono molto professionali. Si impegnano, ci tengono. E’ un mondo che può e deve migliorare.

4-3-3, 4-4-2, 4-5-1?
Numeri di telefono? Scherzi a parte non c’è un modulo migliore di un altro, l’importante è avere una filosofia di gioco. Io punto a creare un ambiente sereno tra squadra, staff e chiunque è coinvolto in questo progetto.

Chi è il migliore allenatore in circolazione oggi?
Io penso Guardiola, ma per una cosa molto semplice: ho letto di una sua dichiarazione nella quale diceva “lo scopo di un allenatore è far migliorare i propri giocatori”. Quando uno dice una cosa del genere è perché ha ancora dentro i principi del vero allenatore, quello che va al di là del sistema dove conta solo vincere. Il sistema generale tende ad appiattire tutti, mentre Guardiola è oltre il sistema.

Che cosa l’ha impressionata positivamente da subito di Mozzanica?
La passione e il rapporto che c’è all’interno della società: una vera famiglia. Certo tutti possono crescere, ma l’umanità in un gruppo societario è la cosa principale.

Dove possiamo arrivare?
Io non sono molto diplomatico, dico di solito quello che penso e oggi ti rispondo semplicemente che non so dove possiamo arrivare. Aspetto dei segnali della squadra, una volta che avrò questi segnali potrò anche dare una risposta. Sono solo le prime partite ed è ancora presto per darci un obbiettivo realistico.