Anna Danesi (Brescia, 20 aprile 1996) è una delle colonne della Nazionale Italiana di Pallavolo. Centrale di talento precoce, ha iniziato a giocare a cinque anni e ha scalato rapidamente le categorie giovanili, fino all’esordio in Serie A1 con il Club Italia. Da lì, una carriera costruita con pazienza e determinazione: scudetti, Coppa Italia, Supercoppe, una Coppa CEV, una Challenge Cup.

Capitana di una squadra azzurra che sta attraversando un ciclo vincente, ha contribuito a riscrivere la storia della pallavolo femminile italiana: oro Europeo nel 2021, oro alla Volleyball Nations League nel 2022, 2024 e 2025, bronzo Mondiale nel 2022, oro Olimpico a Parigi 2024 e oro Mondiale nel 2025.

Dietro alle medaglie e ai muri alzati a rete, c’è una ragazza che ha imparato presto a scegliere, a lasciare casa, e a credere in un sogno che è poi diventato realtà. In questa intervista per Caffè da Fuoriclasse, Anna si racconta senza filtri, parlando di sacrifici, di studio, di leadership, e di quel legame profondo con la pallavolo e con lo sport.

Quando ha capito che la pallavolo sarebbe diventata il suo futuro?

L’ho capito quando sono andata via di casa a 13 anni. Ogni estate salutavo gli amici, rinunciavo alla mia compagnia. È qualcosa che mi mancherà sempre. Questo è qualcosa che la pallavolo mi ha tolto, però ho capito che dovevo tralasciare qualcosa per far sì che il sogno si trasformasse in realtà. Anche lasciare la mia famiglia, a cui sono molto legata, è stato un po’ quello che mi ha fatto capire che sarebbe diventata un lavoro.

Essere capitana comporta responsabilità visibili e invisibili. Qual è l’aspetto più inatteso che ha scoperto nel guidare la Nazionale?

Sono un capitano silenzioso, con molta pazienza. Ho scoperto che anche un carattere tranquillo può guidare una nazionale forte e avere il rispetto di compagne, allenatori e federazione. La pressione? L’ho sentita quando Velasco me l’ha proposto, ma svanisce ogni volta che entro in campo. Più che un peso, è una spinta a fare meglio, perché ovviamente sento che io sono la ragazza, la giocatrice, che rappresenta tutte le 12-13 ragazze che giocano con me, ma che rappresenta anche un movimento intero.

Con un percorso così vincente, ha vissuto con il recente successo Mondiale emozioni che non aveva mai provato prima? 

Le emozioni con la maglia della nazionale sono amplificate rispetto al club, devo ammetterlo. In questi due anni una sensazione che ho provato indubbiamente è quella di orgoglio enorme verso le mie compagne, che conosco da molti anni, alcune dal 2016. Ho visto una trasformazione mentale incredibile, soprattutto nei momenti chiave: nel tie-break della finale eravamo sotto di due punti, e anni fa quella partita l’avremmo persa. Lo stesso vale per la semifinale contro il Brasile. Oggi c’è più unità, più pazienza. Vederle crescere insieme a me, raggiungere un livello di gioco e uno stato mentale così elevato, è la sensazione più forte che mi porto dietro da questo percorso.

Il calcio femminile sta attirando sempre più seguaci, anche grazie ai grandi eventi. Ha notato un’evoluzione simile nella pallavolo? Come vive il rapporto con i tifosi?

Dopo la vittoria alle Olimpiadi dell’anno scorso i palazzetti sono pieni di tifosi. Ogni società ha il suo gruppo che ci segue anche in trasferta. Ci fa molto piacere perche è il frutto del nostro lavoro in questi anni: vincere ha portato visibilità e ha fatto crescere il movimento.

Lo studio ha influenzato il suo approccio alla competizione?

Ho studiato scienze dell’alimentazione, e questo mi ha aiutato a gestire meglio la mia quotidianità da atleta: cosa mangiare prima e dopo la partita, come recuperare al meglio. Ho anche una laurea in scienze motorie. La mia tesi era sull’immaginazione mentale, una pratica che già usavo prima delle partite: immaginarmi durante un muro, visualizzare il gesto tecnico. Lo studio mi ha dato strumenti, ma anche conferme di ciò che già vivevo in campo.

Se domani non ci fosse una partita, dove la vedremmo? In aula, in un progetto sociale, in una nuova sfida?

Probabilmente in vacanza… a parte gli scherzi, mi piacerebbe fare la maestra di educazione fisica alle elementari o alle medie. Per ora mi vedo ancora in campo, a giocare. Il sogno di diventare un’atleta di Serie A l’ho realizzato, quello di insegnare è ancora lì. E chissà, magari un giorno cambierò idea e farò qualcosa di diverso.

Non serve alzare la voce per guidare, basta esserci, quando conta. Anna Danesi lo fa con pazienza, con presenza e con la forza che si costruisce negli anni e si riconosce nei momenti decisivi. La redazione di Calcio Femminile Italiano ringrazia Anna per la sua disponibilità e le augura un sincero in bocca al lupo per il suo cammino, dentro e fuori dal campo.

Le storie non finiscono quando si chiude un’intervista. A volte iniziano proprio lì. Se c’è un’atleta che vorreste conoscere da vicino, scrivetemi, magari sarà il prossimo Caffè da Fuoriclasse.

Roberta Faramondi
Studentessa di Comunicazione, Culture e Tecnologie Digitali all’Università La Sapienza, con un forte interesse per il calcio, in particolare quello femminile, e per il mondo della comunicazione sportiva. Questo interesse si unisce al desiderio di contribuire attivamente alla diffusione e al cambiamento di questo sport, seppur da una posizione esterna al campo da gioco.