“Ho iniziato a giocare nell’ Acf Genova a 15 anni, a 17 fui convocata per la prima gara storica della Nazionale Femminile a Viareggio contro la Cecoslovacchia”. A ricordarcelo è stata Maura Fabbri, ex calciatrice, che si è concessa in un’intervista ai nostri microfoni parlando della sua vita in campo e di Nazionale sulla quale ci dice: “Ogni partita con l’Italia ha generato in me ricordi e gioie. Vivere il gruppo, confrontarti, viaggiare in Spagna, Danimarca, Francia ed essere invitate dallo Scia di Persia e Farah Diba a Teheran per due incontri con la loro nazionale sono ricordi indelebili”.
La classe ’51, con 23 gare e 5 reti in Nazionale, di quel tempo poi ci confida: “Abbiamo abbattuto lo scetticismo, l’incredulità delle persone con il gioco con istintività, grinta e fantasia. Tutti ingredienti che portavano i tifosi allo stadio. Essere anche allenate da un gran signore quale Amadei è stato mitico. Eravamo agli inizi, una grande passione. Ci allenavamo alla sera sulle sponde del Bisagno dalle 20 alle 23 con pioggia, vento e freddo. Non ci fermavano, noi e l’allenatore”.
Tanti sacrifici per Fabbri e compagne sia nei club che in Nazionale come aggiunge la stessa intervistata: “Una squadra, pochi palloni, poche strutture tecniche. Noi ci arrangiavamo. Per poter fare il campionato facevamo delle amichevoli in Liguria e nel basso Piemonte, con gli incassi si pagavano le trasferte. Oggi le società sono strutturate con massaggiatori, allenatori e tutto uno staff che lo segue. Al tempo era invece tutto diverso”.
Fabri, nata a Genova, ripensa poi al calcio giocato degli anni ’70 dicendoci: “I sacrifici erano molti, anche il raggiungimento agli allenamenti serali non era semplice eravamo quasi tutte minorenni. Le trasferte in treno con un panino, acqua, un frutto erano stancanti. Ogni tanto una cena in una trattoria vicino alla stazione. Il primo aereo, un fokker ad elica, lo prendemmo invece per una trasferta a Cagliari. Come donna e sportiva non ho incontrato difficoltà alcuna. La capacità di giocare un calcio effervescente e istintivo ha demolito lo scetticismo dei tifosi”.
Il seguito non mancava e cresceva l’interesse anche degli scettici attorno al calcio femminile. A Genova, infatti, erano tanti i sostenitori assidui al seguito di Fabbri e compagne: “Avevamo un pubblico fisso di 3 mila tifosi nelle partite casalinghe con diversi giornalisti genovesi. Essere donna significa anche farsi rispettare e rispettare i valori del vivere in società. Aver avuto una famiglia che non ha condizionato il mio percorso è stato fondamentale. Erano i miei più accaniti tifosi”.
Nella carriera di Fabbri, schierata sia in difesa che a centrocampo, poi il passaggio giovanissima a Piacenza e Montecatini Terme: “Il dovere lasciare casa, per andare a giocare nell’ Acf Piacenza è stato un segnale di apertura mentale. I 18 anni di ieri non sono paragonabili a quelli di oggi. Purtroppo in quel periodo mancò mio padre, grande sportivo e di intelligenza sopraffina molto vicino ai giovani Andai avanti. Mi arrivò la proposta di trasferirmi a Montecatini Terme dove un gruppo di albergatori locali ed un petroliere della zona volevano formare una squadra vincente. Ragazze da tutte le società italiane, ma anche straniere. Arrivammo ai Falchi Astro, dove ci si incontrava il venerdì per le partite di campionato e direttamente al campo per le trasferte. Vincemmo un grande campionato”.
L’addio al calcio, invece, arrivò dopo tre scudetti vinto ed un campionato europeo raggiunto in 10 anni di Nazionale. “In quel periodo –conclude Fabbri- mi arrivò una seria proposta di lavoro da un’importante azienda genovese, conosciuta in tutta Europa. Accettai l’incarico e il mio tempo dedicato al calcio diminuì. Terminò con l’Acf Tigullio di Santa Margherita. Con l’esperienza lavorativa mi si aprirono grandi strade. Inizio così il mio percorso come direttrice commerciale che mi ha portato a girare tanto in Italia e a collaborare con tante aziende di primo ordine nel mondo. Non rimpiango nulla”.






