Beatrice Rigoni (Abano Terme, 1 agosto 1995) è una delle figure di riferimento del rugby femminile italiano. Ha iniziato a giocare da bambina e da allora non si è più fermata. Cinque scudetti con il Valsugana, una maglia azzurra conquistata giovanissima e il riconoscimento tra le 15 migliori giocatrici al mondo secondo World Rugby.

In questa intervista per Caffè da Fuoriclasse, Beatrice Rigoni racconta il suo rugby fatto di radici, legami e nuove sfide, tra campo e futuro.

Come nasce la tua passione per il rugby?

Sono nel rugby da sempre. Ho cominciato a giocare a sei anni, ma già prima respiravo quell’ambiente grazie ai miei fratelli. È stato un colpo di fulmine: li guardavo giocare e tutto mi sembrava incredibile. Ricordo che implorai i miei genitori di iscrivermi. Mi sono sempre sentita nel posto giusto.

Beatrice Rigoni, 5 anni, mentre parla con l’allenatore e un compagno di squadra di suo fratello.

Il debutto in Serie A prima dei 18 anni, poi la Nazionale appena maggiorenne. Cosa ti ha aiutato a gestire una crescita così rapida, dentro e fuori dal campo?

Ho avuto la fortuna di incontrare tante persone che hanno segnato il mio percorso, una su tutte Paola Zangirolami. Mi ha aiutato a capire cosa significa essere un’atleta professionista a 360 gradi e quali responsabilità comporta. Se non fosse per lei, non sarei la persona e l’atleta che sono oggi.

Il Valsugana Rugby ha segnato una parte importante del tuo percorso, quali tracce ha lasciato nel tuo modo di vivere il rugby oggi?

Venivo dalle giovanili del Petrarca, dove è sbocciato il mio amore per il rugby, ma giocando con i ragazzi non potevo vivere fino in fondo lo spogliatoio. Al Valsugana ho scoperto tutta un’altra dimensione di questo sport, creando legami profondi e indissolubili. Obe Giraudo e Nicola Bezzati sono stati allenatori fondamentali per la mia formazione. Vincere il primo scudetto con loro è ancora nella top tre dei miei ricordi rugbistici. Non è stato facile lasciare un posto così e ogni volta che torno, mi sento a casa. È famiglia.

L’esperienza con i Sale Sharks ti ha portata fuori dall’Italia, in un ambiente sportivo e culturale diverso. Cosa ti sta insegnando questo contesto?

Qui in Inghilterra il rugby è una professione e tutti si comportano di conseguenza. Gli standard si alzano e bisogna imparare a stare al passo. È sicuramente un ambiente stimolante, che ti mette costantemente alla prova.

Nel 2021 sei stata inserita tra le 15 migliori giocatrici al mondo da World Rugby. Come hai vissuto quel riconoscimento? Ti senti un punto di riferimento per le più giovani?

Non me l’aspettavo minimamente, e ancora oggi faccio fatica a crederci. È piacevole ricevere riconoscimenti personali, ma in uno sport come il nostro è sempre il frutto di un lavoro collettivo. Senza le mie compagne non sarebbe successo. Mi piace pensare che chi ci segue possa sentirsi ispirato a essere liberamente ciò che vuole.

Il rugby femminile sta crescendo, ma il salto sembra ancora lontano. Cosa manca oggi per compiere quel passo? E quanto conta il racconto mediatico?

Forse manca un po’ di interesse. Siamo ancora uno sport di nicchia, anche se di passi avanti ce ne sono stati tanti. Noi continuiamo a fare il meglio che possiamo, sperando che sempre più persone si avvicinino al rugby. Sperando che una bambina, nel momento in cui sceglie che sport fare, si senta libera di poter scegliere anche il rugby. E magari, un giorno, possa farne il suo lavoro.

Se domani non ci fosse né una partita né un allenamento, dove ti troveremmo? 

È una domanda che un po’ spaventa, perché non mi appartiene pensare al futuro. Cerco di godermi il momento, ma so che gli anni passano per tutti. Mi piacerebbe rimanere nel rugby, anche se non sono sicura in che ruolo. Fa un po’ ridere, ma mi piace molto mettere in ordine e non mi dispiacerebbe gestire e organizzare il materiale di un club importante. Chissà, vedremo.

Non serve sapere esattamente cosa si farà. Basta continuare a mettersi in gioco, con la stessa passione di sempre. La redazione di Calcio Femminile Italiano ringrazia Beatrice Rigoni per la disponibilità e le augura un sincero in bocca al lupo per il suo futuro.

Chi vorreste come protagonista di Caffè da Fuoriclasse? Scrivetelo nei commenti, potrebbe essere lei la prossima a raccontare la sua storia.

Roberta Faramondi
Studentessa di Comunicazione, Culture e Tecnologie Digitali all’Università La Sapienza, con un forte interesse per il calcio, in particolare quello femminile, e per il mondo della comunicazione sportiva. Questo interesse si unisce al desiderio di contribuire attivamente alla diffusione e al cambiamento di questo sport, seppur da una posizione esterna al campo da gioco.