credit photo: Francesco Passaretta - photo agency calcio Femminile italiano

Il calcio femminile, nella sua diffusione, permette di conoscere le atlete non solo nei novanta minuti delle partite settimanali ma, attraverso i loro racconti, regala anche le loro storie di vita che per certi versi un po’ si somigliano tutte.
Sono storie in cui coesistono l’amore per lo sport e l’impegno per raggiungere i propri obiettivi, in cui ogni calcio tirato alla sfera sul manto verde rappresenta un piccolo passo in più verso il coronamento del proprio sogno.

Irene Santi, centrocampista classe 1998 dell’Inter (e che è cresciuta tra le nerazzurre), intervistata da Casawi, si è raccontata a tutto tondo partendo dai suoi primi calci al pallone quando era piccola sino agli anni della scuola calcio. Come successo anche a tante altre bambine, non c’era una squadra di calcio femminile ma questo non è mai stato, per lei, un problema anzi! E’ così che il direttore sportivo dell’Inter si è accorto del suo talento:

“Ho iniziato a giocare a calcio da bambino perché tutta la mia famiglia ne è appassionata, sia da parte di mia madre che di mio padre. Passavamo le domeniche giocando a calcio insieme e ho ancora delle foto di me con un pallone tra i piedi all’asilo. Ogni volta che i miei genitori partivano per un viaggio, chiedevo loro di portarmi una maglia da calcio delle città che visitavano. Ho ancora delle magliette del Liverpool e persino quella di Cannavaro dei tempi del Real Madrid. Fino all’età di 12 anni ho giocato con i ragazzi perché all’epoca non c’erano squadre di calcio femminili e, onestamente, non mi ha mai dato fastidio. Giocare con i ragazzi da ragazzina ti forma davvero. Un giorno, il direttore sportivo dell’Inter è venuto a vedere uno dei miei allenamenti. Poco dopo, sono andata a fare una partita di prova in Svizzera, non ricordo molto, tranne che ho segnato un gol. A quella prova c’erano anche giocatrici come Merlo, Brustia, Pandini, che in seguito sarebbero diventate mie compagne di squadra all’Inter per molti anni”. 

Milanese di nascita, giocare nell’Inter non ha stravolto più di tanto la vita di Irene, al contrario di quella di altre ragazze che per inseguire la propria passione hanno dovuto lasciare casa e affetti e che anche per questo hanno incontrato delle difficoltà che la hanno portate un po’ a perdersi.

“Onestamente, ho sempre vissuto il calcio come una grande passione senza pensare troppo al futuro. Volevo solo giocare, tutto qui. Crescere e vivere nella mia città natale, con la mia famiglia e i miei amici vicini, mi ha dato un certo equilibrio. A differenza di molte ragazze che hanno dovuto trasferirsi per giocare a calcio, sono cresciuta al mio ritmo senza dover stravolgere la mia vita. Credo che questo particolare modo di pensare mi abbia aiutato perché, dopo tutto questo tempo all’Inter, ho visto tante giocatrici provenire dalle squadre giovanili, ragazze che sembravano destinate a grandi cose, ma che alla fine hanno perso la strada”. Restare con i piedi per terra aiuta in questo, è giusto cogliere le occasioni quando queste si presentano ma bisogna trovare un equilibrio:Puoi avere tutto il talento che vuoi, ma se non riesci a rimanere con i piedi per terra, è difficile. La chiave è non pensare troppo alle cose. Devi sfruttare al massimo ogni occasione che ti si presenta ed essere determinato. Vedi, non sono mai stata ossessionata dall’idea di diventare una calciatrice professionista, ma non ho mai nemmeno pensato di smettere di giocare. Quando ero al liceo e vedevo i miei amici vivere la vita tipica dei sedicenni, non mi preoccupavo di fare sacrifici o di tornare a casa presto il sabato sera perché la mattina dopo c’era una partita. Dopo tutto, penso che sia questo che fa la differenza: rimanere umili e con i piedi per terra”.

Il club del Biscione rappresenta casa ma non per questo Irene sente di potersi cullarsi sugli allori, al contrario cerca di mettersi alla prova per dare sempre il meglio di sé coerentemente ai valori nerazzurri d’altronde la squadra non ha ancora raggiunto il suo obiettivo ultimo. Nell’Inter, nonostante la giovane età Irene è rappresenta un punto di riferimento che faccia da collante in uno spogliatoio composito ed internazionale, in cui compaiono anche volti e nomi blasonati con grande esperienza all’estero (si può a ragione pensare a Magull ma anche a Wullaert e ad Ivana Andres). L’armonia del gruppo è fondamentale ed è uno dei capisaldi a cui chiunque faccia parte della squadra tiene parecchio.

“I pro sono evidenti: sei in un ambiente familiare, circondato da persone che conosci e ti senti davvero a casa. Mi identifico profondamente con questo club e con l’ambiente che lo circonda, mi sento come a casa. Nel corso degli anni ho imparato cosa significa non solo giocare per l’Inter, ma essere l’Inter. Sono consapevole di tutti i sacrifici che abbiamo fatto per arrivare dove siamo ora, dalla Serie B ai vertici della Serie A.
Il lato negativo è che è troppo facile sentirsi a proprio agio nella propria bolla. Ecco perché cerco sempre di alzare l’asticella. Non mi sono mai sentito “intoccabile” e questo mi motiva, senza contare il fatto che non abbiamo ancora vinto ciò che sogniamo di vincere. Il club mi fa sentire una persona di riferimento. Ovviamente è una grande responsabilità. Ci sono giocatrici più anziane e più esperte di me, alcune delle quali hanno anche vinto trofei all’estero. Allo stesso tempo mi fanno capire quanto sia importante avere qualcuno che è all’Inter da anni e conosce il club alla perfezione. In uno spogliatoio così internazionale, è fondamentale anche avere qualcuno che aiuti a superare le barriere linguistiche. Credo sia importante che i compagni di squadra si aprano, parlino e restino uniti. Senza questo, è difficile crescere come squadra. La dinamica di gruppo è sempre stata speciale all’Inter. Per darvi un’idea, spesso gli ex compagni di squadra che sono andati all’estero tornano in Italia solo per vederci perché qui si sono trovati bene. È come se riuscissimo sempre a creare una famiglia”.

Il suo carattere, che Santi definisce ‘esigente con se stessa in maniera equilibrata’, l’ha aiutata a superare le difficoltà dovute agli infortuni al menisco e al crociato anteriore: si tratta di infortuni davvero frequenti nel mondo del calcio femminile, e che hanno un’incidenza maggiore rispetto a quanto accade nel corrispettivo maschile. Per loro caratteristiche i tempi di recupero (soprattutto per quanto riguarda il crociato) non sono brevi e richiedono tanta forza mentale e di volontà.

“Sì, lo sono. E sono molto esigente con me stessa, non in modo ossessivo, penso di essere equilibrata, ma so che nel calcio, come nella vita, ci sono cose che puoi controllare e cose che non puoi controllare. Quello che puoi controllare è come reagisci.
Dopo l’infortunio al menisco, sono tornata, ho giocato tre partite e poi mi sono strappata il legamento crociato anteriore. All’inizio non mi ero nemmeno resa conto di cosa fosse successo ma quando ho ricevuto i risultati della risonanza magnetica, è stato allora che ho capito la situazione. Mi sono sottoposta immediatamente all’intervento chirurgico, ma ciò che le persone non comprendono è quanto la tua vita cambi così improvvisamente. Un giorno, la tua routine ruota attorno agli allenamenti, alle partite e alle competizioni. Il giorno successivo, non riesci a camminare e ti ritrovi da solo in una palestra, faccia a faccia con te stesso. All’inizio cerchi di rimanere ottimista, pensando che supererai facilmente la situazione. Poi la realtà ti colpisce: impari a concentrarti su piccoli obiettivi, giorno dopo giorno. La pazienza e la lucidità diventano tutto. Il ritorno è stata la parte più difficile. Quando ti alleni per recuperare, ci sei solo tu e il tuo corpo. In una partita, ci sono ventidue giocatori, con tempi e spazi a cui non sei più abituata. La paura si insinua, la paura di farti male di nuovo, di andare in contrasto.
Per un po’ non sono nemmeno riuscita a fare i tackle scivolati. Ho dovuto allenarmi per settimane solo per ritrovare quell’istinto. Gli infortuni cambiano tutto: il modo in cui percepisci il tuo corpo, i tuoi limiti. Impari ad ascoltare te stessa, a gestire il dolore e il carico di lavoro. Non è un percorso lineare. E sicuramente non è veloce”.

 

Federica Pistis
Sono nata in provincia di Cagliari il 29/08/1992. Mi sono laureata in scienze dell'educazione e della formazione primaria e ora frequento la magistrale di pedagogia presso l'Unimarconi di Roma. La mia passione per il calcio è nata quando ho iniziato a seguire questo sport perchè mio fratello è un grande tifoso del Milan e io cercavo un punto d'incontro con lui. Ho iniziato a guardare le partite, e a comprenderne i meccanismi poi è arrivato quello femminile che mi ha conquistata al punto da sentire un po' mie anche le loro imprese.

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