Simone Bragantini è stato il trascinatore della squadra verso l’impresa. Ha guidato, insieme al suo staff, le ragazze verso l’obbiettivo. Alla sua prima esperienza in gialloblù con la Fortitudo Mozzecane e nel calcio femminile, ha dato un contributo fondamentale per scrivere una pagina importante della storia della società.

Primo anno alla Fortitudo e missione compiuta: se ci sono state delle critiche durante la stagione, le ha messe a tacere con i risultati.
«Tutti dicono che abbiamo iniziato male. Innanzitutto abbiamo tenuto testa in Coppa Italia al Verona Women AGSM, una squadra che mancava delle straniere ma che ha ragazze che giocano in Nazionale under 17 e under 19. Noi eravamo una squadra nuova ma, nonostante questo, ci siamo giocati il passaggio del turno fino alla fine. Secondo me già in quella situazione c’è stato un cambio di mentalità importante. Se poi analizziamo le prime quattro gare di andata e le prime quattro di ritorno vi è una differenza di soli tre punti. Più che partiti male direi che c’era un calendario che ci ha messo di fronte da subito squadre forti, squadre che poi si sono rivelate le migliori del campionato insieme a noi. Nel girone di andata abbiamo fatto 31 punti e al ritorno 34, quindi ci siamo migliorati. Non si può certo dire che siamo partiti male. Ci sono state alcune situazioni in cui non avevamo la partita in mano, in cui non eravamo veramente noi. Ad esempio la sconfitta con la Pro San Bonifacio e i pareggi con il Pordenone e il Riccione; sono stati punti persi che ci hanno impedito di arrivare più in alto in classifica. Queste tre partite mi hanno fatto dire peccato,  perchè era nelle nostre corde far qualcosa in più, ma il nostro obbiettivo principale l’abbiamo raggiunto.  Per quanto riguarda le critiche dico solamente che le persone devono essere consapevoli del proprio ruolo e rispettare quello degli altri. La cosa che conta è che tutta la squadra ha dimostrato che la Fortitudo merita di essere in un girone nazionale di serie B. Tutto quello che abbiamo fatto fino ad ora va archiviato, perché bisogna ripartire per il futuro: il futuro va costruito con la consapevolezza dei propri mezzi ma senza specchiarsi su quello che abbiamo fatto fino ad ora».

Alla sua prima intervista da allenatore della Fortitudo aveva detto che il suo stile di gioco è un possesso palla non fine a sé stesso, ma volto all’attacco e all’aggredire l’avversario: la squadra è riuscita a esprimere la sua filosofia di calcio e a regalare uno dei giochi più belli del girone?
«Hanno rispettato la mia filosofia di gioco. Io propongo alcune idee e alcuni principi, poi le ragazze li sviluppano e magari li migliorano. L’allenatore deve portare idee, e poi queste idee mutano in base alle caratteristiche delle varie giocatrici; magari si creano perfino dinamiche di gioco alle quali l’allenatore non aveva nemmeno pensato, quindi il concetto di gioco in realtà è in costante evoluzione.  Il bel gioco è soggettivo: per me ci sono partite che terminano 0-0 e con pochi tiri, che però ritengo essere belle, perché dietro ci sono dinamiche e principi particolari. Ovvio, se ci sono tanti tiri e tante azioni c’è anche più spettacolo. Noi abbiamo espresso un bel gioco, ma quel che più mi interessa è che durante le varie partite sono emerse le competenze di gioco di tutti gli elementi della rosa. In tanti hanno detto che il nostro calcio è stato il più divertente del girone da vedere. La cosa che conta è che la Fortitudo è una squadra che gioca; intendo dire che è una squadra sempre viva, una squadra con personalità e ricca di idee, indipendentemente dal risultato. La nostra filosofia è aggredire e attaccare, questo è l’emblema del nostro gioco, e credo sia stato rispettato. Forse una delle azioni che più simboleggia questo modo di vedere il calcio è il gol che ha segnato Martani contro il Clarentia Trento: gestendo sempre palla a terra, Venturini, il nostro portiere, passa al capitano Salaorni e dà avvio all’azione, Salaorni passa a Martani e la nostra attaccante segna. Con due passaggi siamo andati in rete, un’azione perfetta. Quello è il principio che seguiamo. Ricercare sempre l’azione più efficace che ci consenta di arrivare a realizzare una rete».

Ci sono stati momenti in cui ha pensato di non farcela o in cui ha comunque capito che c’erano cose da correggere per arrivare al traguardo?
«Il pareggio in casa col Riccione è stato un campanello d’allarme: c’era bisogno di intervenire e di conseguenza abbiamo lavorato su una determinata situazione di gioco, ovvero la fase di finalizzazione. Ci siamo concentrati sugli ultimi trenta metri e sui palloni che arrivavano nella parte finale del campo. Si doveva migliorare la qualità del gioco in fase offensiva. Eravamo consapevoli che c’era il materiale con cui lavorare e quindi ci sarebbe stato un grande miglioramento. A Villa Baietta ho sostenuto che questa squadra aveva le credenziali per guardare dall’alto tutte le altre e, a parte con la Pro San Bonifacio, è stato così. Il mister deve essere sempre consapevole di quello che ha a disposizione, deve capirlo nel primo mese di lavoro».

Cosa sarebbe servito per vincere il girone?
«Innanzitutto trovare un’ avversaria che perdesse qualche punto per strada e poi l’esperienza e l’abitudine di essere al vertice della classifica per giocarsi il primo posto. La Pro San Bonifacio ha fatto un cammino impressionante, quindi bisogna complimentarsi. Forse un pizzico di cattiveria e umiltà in più in certe occasioni sarebbe servito. Ad esempio mi ha dato fastidio il pareggio all’ultima giornata di campionato; non importa se è stato raggiunto l’obbiettivo, ciò che conta è capire che se si sta vincendo la partita 3-1 non è possibile permettere alle avversarie di arrivare al pareggio per un black – out. Pensare di aver già conquistato il traguardo finale è concettualmente e moralmente sbagliato. Questo è un salto di mentalità da fare in futuro, perché in serie B nazionale queste leggerezze non sono permesse. Fino all’ultima giornata, che sia abbia vinto il campionato o si sia retrocesse, bisogna dare tutto. Ci sono state, in alcuni momenti, delle ingenuità da parte di tutti, staff e ragazze, nessuno escluso. Se avessimo evitato di pareggiare alcune partite sarebbe stata un’altra storia probabilmente. In ogni caso abbiamo fatto un cammino stupendo».

Se pretendeva di più è perché pensa che sarebbe stato possibile fare ancora meglio?
«Assolutamente sì. È difficile trovare le parole per descrivere il cuore delle ragazze, perché hanno un cuore incredibile.  Lo si è visto nelle vittorie arrivate all’ultimo minuto o nei pareggi strappati con grinta e sudore. Certe partite non le ribalti se non hai un gran cuore. Quello che mi dispiace è che avremmo potuto chiudere dei match prima, magari con un po’ più di cattiveria, anche perché le qualità per farlo c’erano eccome. La fame e la costanza devono esserci sempre, e noi quest’anno le abbiamo avute al 95%. Io purtroppo sono un perfezionista, lo riconosco, ma un allenatore deve ricordare alle sue giocatrici che le cose possono essere fatte sempre meglio. Quando noto che la squadra si metta in difficoltà da sola per un calo d’attenzione mi arrabbio. In ogni caso ho avuto la certezza che avremmo raggiunto il terzo posto dopo la vittoria in casa contro la Jesina: il campo era impraticabile, ed ero agitato perché sarebbe stato uno svantaggio per noi, ma le ragazze erano pronte a scendere in campo e mi hanno tranquillizzato; non volevano solo giocarla quella partita, la volevano vincere. Dopo aver visto quella grinta ho creduto che nessuno ci avrebbe impedito di arrivare tra le prime tre».

Quali sono state le calciatrici che hanno segnato questo successo?
«Ogni ragazza ha dato qualcosa di importante alla squadra, in ogni partita. Anche le giocatrici che hanno messo piede in campo per pochi minuti hanno fornito un contributo per il team. Se qualcuna calava d’intensità allora un’altra aumentava. Ognuna ha saputo crescere nel momento del bisogno e nelle situazioni più difficili. Ci sono più elementi in grado di caricarsi la squadra sulle spalle. Questo è successo perché vi era, da parte di tutte, la volontà di creare un gruppo forte e unito e di mettere questo gruppo davanti alla singola persona. La barriera dell’io si è rotta ed è nato il gruppo, è nata la squadra. Ci sono stati momenti in cui le ragazze hanno voluto dare messaggi significativi. È stato un susseguirsi di eventi che hanno portato alla nascita di un gruppo che voleva la stessa cosa: vincere. Dobbiamo, in futuro, continuare su questa strada».

Quanto è stato importante il mix giocatrici d’esperienza – giocatrici più giovani e quanto le veterane hanno contribuito alla loro crescita?
«È stato fondamentale. Le giocatrici con più esperienza sono state di grande aiuto per le più piccole. Le hanno aiutate, sono state disponibili e sempre a braccia aperte per loro. Quando è stato necessario le hanno anche riprese e criticate, ma sono sempre state critiche costruttive e volte a far migliorare e crescere le giocatrici con meno esperienza. Vi è stata gentilezza e disponibilità da parte delle più grandi e, al tempo stesso, maturità da parte delle più giovani nel saper accettare ogni consiglio. Le più giovani devono capire che per giocare a certi livelli bisogna essere costanti nella concentrazione e nella dedizione con cui ci si allena, altrimenti è un attimo ritrovarsi fuori dai giochi. Vale per tutti, staff e calciatrici: solo la costanza e la voglia di migliorare le proprie competenze ti porta ad un livello superiore».

Questa stagione rimarrà uno dei ricordi più belli della sua carriera?
«Certo. È stato un anno decisamente formativo ed entusiasmante. Anche per questo ho voluto rimanere con la Fortitudo. Era da tempo che ne parlavo con la società, e quando abbiamo trovato i punti di incontro abbiamo deciso di continuare insieme questo cammino. Questa stagione è stata la prima nel mondo del calcio femminile e mi ha formato, oltre che come allenatore, come persone. Le ragazze mi hanno dato tanto, sono convinto che la prossima stagione possiamo scrivere un altro capitolo importante della storia della società gialloblù».

Credit Photo: Graziano Zanetti Photographer