Quasi 300 partite tra serie A e Nazionale, 14 trofei vinti tra cui 4 scudetti in terra sarda: Elisabetta Tona in questa intervista esclusiva parla della sua carriera e del calcio femminile italiano.
Nata a Lecco, cresciuta in un paese brianzolo, entri nel settore giovanile del Fiammamonza con cui debutti in B e in A e conquisti la Nazionale.
La mia carriera è iniziata tardi: fino alla seconda media ho praticato molti altri sport, tra cui nuoto, atletica e in particolare pallavolo per 5 anni. Tuttavia sin da piccola ho sempre giocato con mio fratello e i miei cugini, anche se la vera svolta calcistica c’è stata grazie a mio padre, insegnante di educazione fisica alle scuole medie.
Avevo aderito ad un laboratorio di due ore settimanali sul calcio femminile, grazie al quale ho vinto il titolo nazionale ai Giochi della Gioventù in Sicilia. Poi, insieme ad una mia compagna di classe, ho provato al Fiammamonza e sono entrata a far parte della squadra Under 15. Ho esordito a 17 anni in serie B, per poi fare due anni in A col Monza, prima di trasferirmi a Sassari.

Com’è cambiato da allora il calcio femminile?
Le maggiori differenze sono a livello giovanile: oggi le ragazze hanno molte più possibilità, grazie alla nascita di nuove società che formano squadre femminili sin dalla scuola calcio. E probabilmente ora ci sono meno pregiudizi, anche se la nostra cultura rimane molto arretrata rispetto al resto d’Europa: è uno dei motivi per cui il nostro sport non riesce a sfondare definitivamente. Credo anche però, mio parere personale, che da una parte il livello della massima serie italiana sia cresciuto sul piano tecnico tattico, anche se negli ultimi anni si è livellato verso il basso.

A Sassari, in 13 stagioni, vinci 4 scudetti e tanto altro.
Feci gli Europei Under 19 con la Nazionale, proprio nell’estate della maturità. Dopo quell’esperienza ho ricevuto varie proposte da squadre di A e ho scelto la Torres: sia per il progetto, sempre fondamentale nelle mie scelte, che per la località. I momenti più significativi? Ne ricordo due. Il primo: nel campionato 2009/10, dopo due stagioni in cui il Bardolino ci aveva battuto nelle partite decisive di fine stagione, facemmo una partita tosta sul loro campo, che tra l’altro era innevato, vincemmo 4-1 e segnai uno dei gol che ci permisero di passare in testa al campionato che fu il primo dei 4 scudetti consecutivi. Poi una gara di Champions League contro il Lione a Sassari. Il Lione era destinato a diventare campione d’Europa, e in quella stagione perse una sola volta, in casa nostra per 1-0: fu una delle mie migliori prestazioni di sempre, dimostrò che potevamo competere anche a livello internazionale.

Hai assaggiato anche l’America.
Nel 2007 ho avuto la fortuna di giocare per tre mesi nel FC Indiana, vincendo il campionato estivo, ai tempi la massima serie di calcio femminile negli Usa, dato che non c’era il campionato professionistico, in cui però giocavano le migliori giocatrici a livello internazionale. Un avventura difficile, essendo sola in una realtà sconosciuta, ma anche gratificante: ho imparato bene l’inglese e ho aggiunto nuove conoscenze calcistiche, migliorando il mio bagaglio tecnico-tattico grazie alle metodologie innovative che ho trovato.

Poi, la Torres ha chiuso.
È fallita lo scorso settembre. Molte di noi avevano già capito che si era al capolinea e che qualcosa sarebbe andato storto. Io mi ero già liberata in luglio, per poter scegliere al meglio la nuova destinazione. Volevo chiudere la mia carriera lì, la Sardegna era diventata la mia casa, avevo anche dichiarato che non avrei mai vestito una maglia diversa da quella rossoblù: quello che accadde non fu imputabile a noi ragazze, fummo costrette ad andarcene.

Così passi alla Fiorentina insieme a Patrizia Panico.
È stato un anno molto bello, siamo state trattate finalmente come professioniste al pari di una squadra maschile: auguro a tutte le giocatrici italiane di vivere un’esperienza così. Fino a maggio eravamo tutte molto soddisfatte: secondo me, però, la società non è stata in grado di gestire i momenti decisivi a fine anno, in particolare il modo in cui con cui hanno comunicato determinate cose. Sono state fatte delle scelte discutibili, con un progetto ridimensionato nel giro di poche settimane. Molto probabilmente verranno cambiate almeno 10 giocatrici, l’11 iniziale della prossima stagione sarà molto forte, ma secondo la mia esperienza ciò che conta più di tutto è il gruppo. Infatti per vincere è prima fondamentale creare un gruppo forte e coeso, poi i risultati sono una conseguenza.

Cosa si potrebbe fare secondo te per migliorare il movimento calcistico italiano?
Il fatto che i club maschili abbiano anche squadre femminili, come avviene già da anni in tutta Europa, è un punto di partenza fondamentale: l’importante è che le società per prime credano nello sviluppo di tutto il movimento. Inoltre è importantissimo incoraggiare la crescita del vivaio, che si deve basare su persone competenti: l’insegnamento del calcio dev’essere rivolto ai bambini e anche alle bambine, come è stato fatto nelle scuole con pallavolo e rugby. Il movimento italiano non è assolutamente paragonabile alla maggioranza delle altre realtà Europee: bisogna partire dal basso e dalle società unite.

Il tuo futuro?
Sicuramente continuerò a giocare in serie A per un’altra stagione, il fisico me lo permette e la voglia non manca. Ho qualche proposta che sto valutando, anche se la decisione dipenderà per il 70% dalla scelta dell’Università per il corso di Fisioterapia che sto frequentando. Il mio sogno è chiudere la carriera alla Torres e mi piacerebbe anche stabilirmi in Sardegna una volta smesso di giocare, anche se questo non l’ho ancora deciso. Ma al 99,9% non tornerò lì nella prossima stagione.