Arianna Tricomi (Bolzano, 1 agosto 1992) è il volto del freeski italiano. Dopo gli esordi nel telemark ha trovato nel freeride la sua vera dimensione. A 23 anni è salita sul podio del Freeride World Tour 2016 e nel 2018 è diventata la prima italiana a vincerlo, confermando il titolo con successi come il Verbier Xtreme e Fieberbrunn.
In questa intervista per Caffè da Fuoriclasse racconta la sua carriera, le sfide affrontate e l’amore per la montagna e la natura che da sempre la accompagnano.
In una famiglia dove lo sport era quotidianità, come ha plasmato il suo modo di vivere rischio e disciplina?
Sono felice di essere cresciuta a Corvara, nelle Dolomiti. Da bambina a volte mi sembrava una valle chiusa, ma col tempo ho capito quanto fosse preziosa. Mia mamma mi ha messo sugli sci a tre anni e lo sport è sempre stato parte della mia vita: mi ha insegnato a gestire delusioni e rivalità, a vivere le emozioni e a rialzarmi dopo una caduta.
La neve mi fa sentire bambina, mi dà gioia. Ma è negli ultimi dieci anni che la montagna è diventata davvero il mio spazio di espressione: dalle prime vittorie fino ai titoli mondiali ho capito che la mia passione poteva diventare lavoro. Per me sciare è arte: disegnare la propria linea su una tela bianca è un modo libero e personale di esprimersi. Sono sempre stata attratta dalla libertà, un po’ ribelle e fuori dagli schemi. Seguire l’istinto non è facile, ma è ciò che mi ha portata fin qui.

Ha vinto tre volte di fila il Freeride World Tour. Quali emozioni ha provato e che significato hanno avuto per lei queste vittorie?
La prima vittoria è stata una sorpresa, la seconda una conferma, forse la più bella perché c’era più pressione. La terza è arrivata durante il Covid, senza finale, e con una caviglia rotta, un mix di emozioni intensissime.
Queste vittorie hanno coronato tanti sacrifici, ma hanno avuto anche un impatto sulla vita privata. Dopo ogni successo ho provato un senso di vuoto: sei al centro di tutto per pochi giorni, poi sembra che non interessi più a nessuno. Gli alti sono altissimi, ma i bassi diventano profondi.
In quei momenti ho riscoperto la libertà di sciare senza pressione, con gli amici, ma ho dovuto anche imparare a gestire emozioni negative e solitudine. Sono felicissima di aver vinto tre anni consecutivi, ma chiudere il capitolo delle gare non è stato facile: vedere la nuova generazione arrivare con lo stesso fuoco di dieci anni fa e rendermi conto che sto crescendo è un processo complesso.
Affrontare il Monte Bianco è il sogno di molti freerider. Cosa l’ha spinta a provarci e cosa le ha insegnato quell’esperienza?
L’esperienza mi ha insegnato a credere di più in me stessa e mi ha mostrato quanto conti la testa. Gli ultimi 300 metri sono stati i più duri: non erano le gambe a portarmi in cima, ma la forza mentale. Ho ricevuto molti complimenti anche dal mondo dell’alpinismo, che mi conosce soprattutto come freerider, e questo mi ha fatto piacere. Il mio consiglio a chi sogna un’avventura simile è di avere grande rispetto per la montagna: gli ambienti sono severi e ci sono molti fattori che possono complicare le cose.
Con il Van Life Diary mostra la sua vita in montagna in modo autentico. Da dove nasce questa scelta e quale messaggio vuole trasmettere a chi la segue?
L’idea del Van Life Diary era nata anni fa, ma solo di recente ha trovato spazio. Viaggiando con il mio van ricevevo molte domande, soprattutto su come fosse vivere così d’inverno, e visto l’interesse abbiamo ripreso il progetto con il supporto di Red Bull Italia. È stato un successo perché mostrava aspetti intimi e reali della mia vita.
Il van ti dà libertà e con questa serie ho voluto raccontare diversi momenti: dall’inverno nella neve fresca, a un episodio più culturale nelle Dolomiti con i ricordi della guerra, fino alla primavera-estate, mostrando la versatilità delle discipline. Il messaggio è semplice: a volte basta partire e crederci, con le persone giuste accanto. Ma anche essere sinceri: vivere in van d’inverno non è facile, tra acqua che si ghiaccia e pannelli coperti dalla neve. Credo che il progetto abbia avuto successo proprio per questa autenticità, e spero di continuarlo con nuovi episodi.
Quali sono i suoi prossimi obiettivi? E se domani non ci fossero neve o competizioni, dove la vedremmo?
Mi piacerebbe diventare guida alpina: è un sogno grande che richiede anni di preparazione, ma mi permetterebbe di vivere la montagna tutto l’anno. Se un giorno non ci fossero più neve o gare, non sarei felice perché lo sci è la mia vita, ma ho altre passioni come surf, bici, volo, parakite e parapendio che vorrei coltivare.
Il focus ora resta quello di rimanere sana durante l’inverno e vivere una bella stagione. In generale, il mio obiettivo di vita è non smettere mai di divertirmi, fare le cose con amore e passione. La redazione di Calcio Femminile Italiano ringrazia Arianna per la collaborazione e le fa un enorme in bocca al lupo per tutti i suoi progetti futuri, con e oltre il mondo sportivo.
Il racconto di Arianna racconta come tutto quello che si fa, quando fatto con passione sincera, può trasformarsi in qualcosa di magico. Qual è la storia che vorreste leggere attraverso i nostri canali? Fatecelo sapere nei commenti.







