È da Firenze che parte tutto: dai campetti, dalle scarpe lucidissime messe in fila, dalle ambizioni di bambina. Oggi Elena Linari, con la fascia da capitana della Nazionale italiana e un’esperienza in Inghilterra con la London City Lionesses, racconta non solo la sua storia, ma un pezzo di evoluzione del calcio femminile. In un’intervista rilasciata a Rivista Undici, la calciatrice ha scelto di parlare con trasparenza: delle sue radici, delle difficoltà, delle piccole vittorie quotidiane e del sogno concreto di un movimento che cambia.
Passione, famiglia, radici
“Non ho mai dubitato della mia passione. I miei genitori hanno alimentato il fuoco della mia volontà, quindi non mi sono mai posta il problema di giocare a calcio”.
Racconta delle reticenze del contesto, ma soprattutto di un sostegno che ha fatto la differenza: “Mio babbo era felicissimo. Mia nonna forse era un po’ meno felice del fatto che volessi giocare a calcio, ero la ragazza della famiglia e voler fare la calciatrice ancora non era considerata una scelta da ragazza… D’altronde parliamo anche dei primi anni Duemila. Ma cambiò idea in fretta: bastava che fossi felice. E per Natale mi regalò la tuta da portiere… Sono stata tanto fortunata, la mia famiglia mi ha sempre assecondata”.
Poi la svolta, drastica ma inevitabile, del passaggio da squadra maschile a femminile:
“Quando all’età di dodici anni mi sono dovuta spostare dalla squadra maschile a quella femminile mi sentivo disorientata. Perché volevo stare nell’unico calcio che conoscevo”.
Un disorientamento che però non ha spento la passione: perché, come spiega Linari, la determinazione non è questione di contesti, ma di volontà.
Ambulare tra Europa e sogni: la crescita del calcio femminile
Guardando indietro, Elena riconosce quanto la sua esperienza all’estero e le condizioni professionali abbiano cambiato lo sguardo sul calcio. Racconta che quando tornò a giocare in Italia, e poi si trasferì in Spagna, vide con chiarezza “il primo sviluppo” reale del calcio femminile: strutture, visibilità, trasparenza.
Un salto che le fece capire che il calcio delle donne poteva essere qualcosa di concreto, non un ripiego o un “calcio V2.0” rispetto al maschile. E oggi, con le London City Lionesses, la differenza si misura ogni giorno: “Vedo una volontà di migliorare tutto ciò che circonda il calcio femminile: social, broadcaster, giornali, persone… In Inghilterra le partite sono in diretta su YouTube, possono vederti in chiaro un sacco di persone”.
Per Linari: quel passo fuori dalla comfort-zone non è un salto fine a sé stesso, ma una nuova sfida personale e collettiva.
Visibilità, responsabilità, identità: il presente che pesa e motiva
Linari non è nostalgica, ma consapevole. Parla di un’avventura che ieri sembrava impensabile, oggi invece è concreta. E dichiara:
“Il rilancio è stato sotto gli occhi di tutti… Abbiamo avuto una visibilità unica”.
Quando arrivano messaggi di giovani ragazze che vogliono “diventare come lei”, la sua risposta è netta e onesta: “Quando qualcuno su Instagram mi dice “voglio diventare come te” io gli rispondo dicendo “spero tu diventi più forte!”.
La capitana dell’Italia sa che non basta l’ammirazione: serve volontà, consapevolezza, dedizione. E che il calcio femminile non ha bisogno di eroine statiche, ma di persone che costruiscano passo dopo passo un ambiente diverso. E non ha paura di dirlo, con chiarezza:
“Stiamo finalmente ottenendo un po’ di rispetto e visibilità che per tanti anni le mie colleghe non hanno avuto”.
Futuro, formazione, riflessioni oltre il campo
Il suo è uno sguardo largo, non limitato al presente. Nell’intervista, Elena spiega che sta seguendo il corso UEFA B con la Nazionale e immagina un futuro fatto di ruoli diversi: “Mi piacerebbe fare anche il corso di preparatore dei portieri, di match analyst… oppure la magazziniera, per esempio. Vivere l’essenza quotidiana del calcio. Conoscere in modo globale per poi specializzarmi”.
E quando pensa a una bambina che sogna di calciare un pallone, la domanda che le rivolge è semplice, ma potente: “A una bambina oggi farei una domanda: sei felice?”.
Perché, come lei stessa dice, il calcio non deve essere un obbligo, ma una scelta libera, vissuta con passione e dignità.






