Il 6 ottobre 2010, l’icona del calcio statunitense segnò il primo dei suoi 123 gol con la nazionale, entrando dalla panchina in un’amichevole contro la Cina al Subaru Park di Chester, in Pennsylvania, e salvando la partita con un pareggio per 1-1. Fu una rete di grande classe, quella della promettente ventunenne, già protagonista al Mondiale Under 20 femminile di Cile 2008, che si liberò di una difensora cinese per raccogliere di prima un colpo di testa di Kristine Lilly e piazzare con freddezza il pallone nell’angolino alto a sinistra.
Morgan era nata per quei momenti. Solo un mese dopo, divenne subito un’icona segnando al quarto minuto di recupero il gol decisivo che regalò alle Stars and Stripes una preziosa vittoria per 1-0 sull’Italia, nell’andata dello spareggio per la qualificazione al Mondiale femminile di Germania 2011. L’ascesa dell’attaccante proseguì in fretta: ai Mondiali, emerse come la vera rivelazione della nazionale USA, segnando il gol del vantaggio nella finale contro il Giappone (poi persa ai rigori) prima di conquistare due Coppe del Mondo consecutive e consolidare il suo status di una delle più grandi bomber della storia del calcio femminile.
In occasione del quindicesimo anniversario del gol che la lanciò verso l’immortalità calcistica, e a un anno dal suo ritiro, la trentaseienne sarà celebrata con una cerimonia ufficiale di addio organizzata dalla US Soccer, prima dell’amichevole tra le Stars and Stripes e il Portogallo, in programma giovedì. In vista di questo riconoscimento, Morgan ha parlato con la FIFA della sua iconica esultanza “sorseggiando il tè” contro l’Inghilterra ai Mondiali di Francia 2019, del suo centesimo gol con la nazionale e delle riflessioni sulla propria carriera.
FIFA: Ti sei fatta conoscere sulla scena mondiale ai Mondiali femminili del 2011 a soli 22 anni. Perché pensi di essere stata così pronta per quel momento?
Alex Morgan: “Quando ero all’università, fui convocata nella nazionale Under 20 e il mio obiettivo è sempre stato quello di arrivare in prima squadra. Ricordo che l’allora commissaria tecnica della nazionale maggiore, Pia Sundhage, era presente alla finale del Mondiale Under 20 femminile del 2008, in cui segnai, e in quel momento sentii che una chiamata sarebbe arrivata, anche se non sapevo quando. Così iniziai ad allenarmi di più e a pianificare il resto del mio semestre universitario per riuscire a laurearmi in anticipo e poter partire con la nazionale per il Mondiale”.
“Alla fine mi sono laureata in tre anni e mezzo e, quando arrivò la convocazione con la nazionale nel dicembre 2009, Pia, Abby Wambach e alcune altre compagne mi trasmisero la fiducia necessaria per essere semplicemente me stessa, senza cercare di cambiare il mio modo di giocare per adattarmi a un sistema particolare della squadra”.
“Questo mi aiutò moltissimo: così, quando arrivai al Mondiale del 2011, sentivo che anche se avessi giocato solo cinque o quindici minuti entrando dalla panchina, li avrei sfruttati al massimo. Ci volle un po’ per conquistarmi spazio nel torneo: il mio primo gol arrivò solo in semifinale contro la Francia, ma sentivo di aver dato tutto quello che potevo come riserva in quella squadra”.
Come descriveresti l’emozione di segnare in una finale di Coppa del Mondo come quella contro il Giappone?
“È stato uno dei momenti più incredibili della mia carriera… Probabilmente non ne parlo abbastanza, perché subito dopo arrivò una sconfitta devastante per noi. In quell’istante, però, ho davvero sentito che avevamo vinto, che avevo aiutato la mia squadra a conquistare la Coppa del Mondo. Ricordo perfettamente il punto esatto in cui volevo piazzare il pallone, l’ho fatto, e poi la mia esultanza insieme ad Abby: un momento che non dimenticherò mai”.
E com’è stato vincere due Coppe del Mondo consecutive nel 2015 e nel 2019?
“Nel 2015 arrivai al Mondiale reduce da un infortunio, quindi non ero ancora in condizione per giocare novanta minuti pieni. Dovevo ritrovare la forma partita dopo partita, ma ebbi la fortuna di avere un’allenatrice come Jill Ellis, che aveva fiducia in me e mi valorizzò”.
“Poi, nel 2019, fui nominata una delle capitane, e sentivo che era il momento giusto per guidare davvero la squadra. In quel periodo eravamo un gruppo estremamente dominante…”
“Il 2015 fu un momento straordinario, perché non vincevamo da tanto tempo. Nel 2019, invece, la sensazione fu di dominio dall’inizio alla fine: avevamo piena fiducia in noi stesse, sapevamo che, qualunque cosa accadesse, un rigore contro, una rete annullata o una parata decisiva dell’avversaria, saremmo comunque riuscite a vincere.”
“Ricordo, per esempio, la partita contro la Francia a Parigi nei quarti di finale: lo stadio era assordante, il pubblico tutto per loro e contro di noi, ma noi sentivamo che, alla fine, saremmo comunque uscite vittoriose”.
Il tuo momento più iconico è stata l’esultanza della tazzina di tè contro l’Inghilterra. Che storia c’è dietro quel momento?
“Non ci avevo pensato troppo prima della partita. Come sempre, avevo bevuto il mio caffè nel pre-gara e, mentre lo sorseggiavo, ho alzato il mignolo, proprio mentre la telecamera era su di me, e ho pensato che sarebbe stata un’esultanza divertente, visto che giocavamo contro l’Inghilterra e il loro amore per il tè. L’ho messa da parte mentalmente, ma quando ho segnato mi è venuto naturale farlo.”
“Per quanto sia un’attaccante abituata a segnare, non sono una che fa grandi esultanze o che le prepara in anticipo. Non è nel mio stile, quindi quel gesto spontaneo fu davvero inaspettato, e finì per diventare molto controverso, soprattutto tra i tifosi britannici.”
“È comunque uno dei miei momenti preferiti, perché se ne è parlato tantissimo e quell’esultanza è stata ripresa nel tempo in tantissimi altri sport, sia maschili che femminili.”
Cosa ne pensi della reazione che c’è stata sui social media?
“Mi sorprese davvero quanto la gente avesse da dire su un’esultanza. Ma quel Mondiale, dall’inizio alla fine, sembrava un torneo in cui tutti volevano commentare e avere un’opinione su tutto. Già dalla prima partita contro la Thailandia, vinta 13-0, molti dicevano: “Come possono segnare così tanti gol contro una squadra? Non dovrebbero farlo.” Ma era pur sempre una Coppa del Mondo, e il nostro obiettivo era segnare il più possibile”.
“Poi arrivarono l’esultanza del tè e tutte le opinioni su Megan Rapinoe, un altro strato di discussioni. Per noi era fondamentale restare concentrate durante il torneo, mantenere la calma. Quando sei sicura di te e ti stai preparando per una finale, c’è sempre chi cerca di trovarti un punto debole o di buttarti giù. Per questo fu un po’ sorprendente sentire tutte quelle reazioni”.
“Ma, sinceramente, non cambierei nulla di quello che ho fatto”.
Ora che ti sei ritirata, come consideri la tua carriera nel complesso?
“Sono davvero orgogliosa di tutta la mia carriera e di ciò che sono riuscita a realizzare. Molti pensano che sia sempre stata al top, anno dopo anno, ma non è affatto così. Ci sono stati molti periodi in cui ero infortunata, o lontana dai campi per la gravidanza, o non venivo convocata dall’allenatore, oppure avevo perso il posto da titolare. Ma sotto sotto lavoravo duramente, cercando in ogni modo di riconquistare il mio spazio”.
“Mi sono sempre impegnata al massimo, sia per recuperare dagli infortuni sia per tornare in forma dopo la maternità. Il mio percorso non è stato affatto lineare”.
“Sono molto orgogliosa della mia capacità di rialzarmi ogni volta, di lottare per rientrare e restare parte della squadra, che per la maggior parte del tempo è riuscita a mantenere il primo posto nel Ranking FIFA/Coca-Cola”.
“Non cambierei nulla: sono davvero felice di come tutto è andato. Quando ho deciso di ritirarmi, ho potuto farlo con serenità, sapendo di aver dato tutto quello che avevo al calcio, senza aver lasciato nulla in sospeso”.
C’è stata una partita, un momento o un gol in particolare che ti è rimasto più impresso?
“Il mio centesimo gol, segnato con la nazionale a Denver davanti alla mia famiglia, è stato un traguardo che ho atteso a lungo. Ci sono giocatrici che passano tutta la carriera senza arrivare a 100 gol, soprattutto con la maglia della propria nazionale”.
“Per questo poter festeggiare quel momento insieme alla mia famiglia è stato davvero speciale. Vedere il pallone entrare in rete per la centesima volta rappresentando il mio Paese… sono cose che la maggior parte delle persone può solo sognare, e poterle vivere in prima persona è stato qualcosa di straordinario”.
Infine, in che modo intendi rimanere coinvolta nel calcio?
“Voglio rimanere sempre coinvolta, soprattutto con i San Diego Wave della NWSL: faccio parte del gruppo di proprietà e intendo avere un ruolo attivo nella squadra. Continuo anche a mantenermi attiva in altri modi, ad esempio con la mia media company, Togethxr, che si concentra sullo sport femminile e mette in luce le atlete in generale. Ci sono sempre progetti che mi tengono occupata e connessa al mondo del calcio”.
“Inoltre, ho una fondazione che offre alle ragazze opportunità per sviluppare autostima e fiducia in se stesse, attraverso camp di empowerment femminile”.






