Quanti giorni servono ad un calciatore per recuperare la forma fisica e mentale adeguata dopo un impegno agonistico? Se ne è discusso a Roma, nell’aula magna del Centro preparazione Olimpica Acqua Acetosa al Convegno “La salute del Calciatore” organizzato da Associazione Italiana Calciatori e Associazione Italiana Allenatori.
L’incontro ha voluto approfondire il tema della “super attività” (partite giocate, tempi di recupero, ecc.) partendo dalle attuali conoscenze scientifiche che affermano che, in
condizioni di “stress ordinario”, andando oltre il “limite” di una partita ogni quattro giorni, l’integrità fisica dell’atleta viene messa concretamente a rischio.
Durante il convegno sono stati presentati i risultati dell’indagine condotta, tra il 15 marzo e il 15 maggio 2023, su tutti i calciatori di Serie A e sugli staff tecnici. Indagine inedita, realizzata tramite l’invio di un questionario per valutare proprio i tempi necessari all’atleta per il recupero fisico e mentale dopo gli impegni agonistici.
Tra i calciatori che hanno partecipato al sondaggio: 19% portieri, 33% difensori, 28%
centrocampisti e 20% attaccanti. Di questi il 33% è di età compresa tra i 18 e i 24 anni, il 35% tra i 25 e i 29 anni, il 24% tra i 30 e i 34 anni e il restante 8% oltre i 35.
A livello di carriera professionistica, il 21% ha giocato da 1 a 4 stagioni, il 39% da 5 a 9, il 27% da 10 a 14 e il 13% più di 15 campionati.
Alla domanda “quanti giorni servono per recuperare la piena efficienza fisica dopo
una partita ufficiale”, il 56% ha risposto 2 giorni mentre il 32% 3 giorni.
Se invece si parla di “voglia di giocare” dopo una partita ufficiale, il 30% ha risposto che occorrono 3 giorni, il 26% 2 e il 25% un giorno solo.
Il 55% ritiene che per recuperare la “piena competitività dopo 2 partite in 7 giorni”
occorrano 3 giorni (il 21% 2 e il 15% 4), e il 30% considera necessari 3 giorni per
recuperare la “piena competitività dopo 3 partite in 7 giorni” (il 26% 5 e il 24% 4).
Infine il 24% dei calciatori ritiene che servano 3 giorni per recuperare la “piena
competitività dopo 4 partite in 12 giorni”.
Tra i relatori del convegno, oltre al Presidente AIAC Renzo Ulivieri e al Presidente AIC
Umberto Calcagno, anche il Prof. Carlo Castagna (laboratorio di biomeccanica del
Settore Tecnico FIGC) che ha trattato il tema dello stress fisico-ambientale, il Prof. Carlo Vercelli (responsabile area psicologica Juventus FC) che ha illustrato la ricerca sullo stress psicologico, e il Prof. Piero Volpi (responsabile medico FC Inter) che ha sviluppato i dati riguardanti lo stress clinico.
Il momento d’incontro che AIAC e AIC hanno inteso promuovere attraverso questa
iniziativa, vuole tracciare un quadro concreto della situazione, approfondendo le
motivazioni che sono alla base dell’attuale modello di funzionamento, con l’obiettivo di avanzare proposte capaci di avviare una approfondita discussione sull’argomento.
Le associazioni di categoria di chi lavora nel calcio e l’intero sistema ritengono la salute un diritto incomprimibile oltre che una doverosa tutela sindacale da garantire a tutti i calciatori e le calciatrici.
La professione del calciatore o della calciatrice è strettamente connessa al sistema di
business ed entertainment che anima il calcio professionistico di vertice a livello nazionale ed internazionale. Le società di calcio, ormai da alcuni decenni, si sono trasformate in aziende che producono un prodotto/servizio che, come tutti i prodotti che si confrontano sul mercato, si propone di raggiungere il maggior numero possibile di utenti.
Il bisogno di “allargare la base” dei consumatori ha portato alla definizione di strategie aziendali sempre più orientate all’incremento delle entrate ed all’accrescimento del valore del brand dell’azienda sportiva. Queste strategie, contestualmente, comportano un crescente aumento del “ciclo produttivo”. Tale aumento, nel calcio, si sostanzia quasi esclusivamente nel maggiore utilizzo delle risorse umane disponibili.
Il saldo generato da questa strategia rischia di essere negativo per l’azienda e per l’atleta.
Perseguire in questo modello, insistendo sul rafforzamento della linea produttiva, è un rischio economico-gestionale che poche aziende sono in grado di correre. Appare
necessario, dunque, cercare alternative capaci di coniugare le imprescindibili esigenze del mercato con gli altrettanto imprescindibili limiti all’utilizzo delle risorse umane che sono al centro di un modello di business chiamato “sport”.
Nel suo intervento, a conclusione del Convegno, poi svolta da Umberto Calcagno, il
presidente dell’Aiac, Renzo Ulivieri ha voluto sottolinearne alcuni aspetti politici:
«Approfondire la questione della salute del calciatore non è una mancanza di sensibilità e di rispetto difronte alla piaga endemica delle centinaia di morti sul lavoro nel nostro Paese. Ma non esiste per noi una salute di serie A e di serie B. Né può essere accettata la logica spiccia: io ti pago, tu corri. Logica seguita dalla Fifa, che in Qatar ha rincorso il miraggio del tempo di gioco effettivo… La verità è che questo incontro deve essere un punto di partenza. Giocare troppo abbassa la qualità dello spettacolo, è un fatto. E gli stadi sono tornati a riempirsi non per la qualità del gioco ma per la voglia di stare di nuovo insieme dopo la pandemia. Confronti come questi sono necessari, per dare spunti, per evitare che un sistema stressato trovi poi scorciatoie illecite».

“Quando si parla di riposo per tutelare la salute dei calciatori il rischio è sempre quello di essere strumentalizzati” – ha detto il Presidente AIC Umberto Calcagno. “La realtà è che non si sta parlando di vacanze, ma di recupero, cioè del periodo necessario nel quale si approfitta per costruire quello che un atleta di alto livello deve fare per potersi rigenerare e ricondizionare. Perché stiamo parlando di calciatori della parte apicale del nostro mondo che necessita di massimo rispetto” – ha proseguito il Presidente AIC – “e dobbiamo parlarne come sistema perché abbiamo gli strumenti per farlo, abbiamo dati sufficienti per analizzare a fondo il problema e abbiamo anche un aspetto non trascurabile che è il controllo di tutte le attività che un calciatore svolge al di fuori del campo e che sono comunque sotto stretto controllo delle società”. “La verità è che la coperta è corta” – ha concluso Calcagno – “forse una delle soluzioni potrebbe essere ridurre il numero di squadre dei nostri tornei, ma in campo internazionale appena si creano dei buchi di calendario ci si inventano nuove competizioni. Non si possono risolvere questi problemi solo all’interno del nostro mondo, nella consapevolezza che una sovraesposizione di tutti questi eventi non è nemmeno la soluzione migliore per valorizzare il prodotto dello spettacolo calcistico”

COMUNICATO AIC e AIAC