Il problema è la quantità. “Se la battuta fosse stata su centomila lesbiche anziché su quattro sarei stato più contento: avrebbe voluto dire che riguardava tante atlete. Mi piacerebbe che l’Italia smettesse di essere la briciola che è adesso nel mondo del calcio femminile: abbiamo dodicimila tesserate, la Germania più di un milione, già questo spiega tutto a livello sportivo. Quanto al resto, inutile discuterne. È un problema culturale profondissimo e non è neppure l’unico”. Antonio Cabrini, il bell’Antonio di una volta, il fidanzato d’Italia, si è portato addosso tante etichette sciocche con nonchalance.
La gaffe di qualche mese fa riguardo alle ragazze che giocano a pallone non lo lascia indifferente, ma trova più utile occuparsi di progetti. “La federcalcio sta investendo, d’ora in avanti i club dovranno avere nel vivaio anche una squadra femminile. Tutti si stanno adeguando e c’è qualcuno, come la Fiorentina, ma non è l’unico club, che ha inglobato anche la prima squadra. Per il salto di qualità bisognerà aspettare la crescita delle calciatrici che adesso hanno 12 anni, ma abbiamo imboccato il percorso giusto”. Oggi a Cesena alle 14,30 (diretta su RaiSport1) le ragazze affrontano la Svizzera, l’avversario più duro del girone di qualificazione europea. La delusione del Mondiale sfuggito ormai è passata e il c.t. guarda oltre.

Poche reclute: colpa anche di quelle resistenze culturali delle quali si parlava?
“Senza dubbio sì. Molti genitori considerano il calcio inadatto alle figlie, ma adesso l’atteggiamento sta cambiando. Gli Stati Uniti sono avanti anni luce, tanti paesi europei hanno una grande organizzazione e danno spazio al calcio femminile. La federazione è soltanto un anello di una catena che deve mettersi in moto: sponsor, media, quello che serve per creare un sistema nel quale le ragazze possano crescere e lavorare a livello più alto”.

Quando l’Italia femminile potrà vincere qualcosa?
“Quando avremo delle atlete prima che delle calciatrici. Tecnicamente queste ragazze sono già brave, ma servono metodologie di allenamento diverso, servono staff adatti. Senza una programmazione adeguata il calcio femminile in Italia non potrà decollare. Serve una crescita sul piano fisico e atletico”.

Per quanto riguarda il movimento però il problema culturale resta.
“Speriamo possa essere superato. A me personalmente di quello che ciascuno fa a casa propria non interessa nulla. I gusti sessuali e tutte le altre abitudini sono questioni personali”.

Per questo si era dissociato tempo fa dall’appello all’outing fatto da Prandelli ai calciatori?
“Guardi, quello è un problema ancora diverso. Se uno vuole farsi massacrare nel calcio, può dichiararsi gay. In altri Paesi magari non ci farebbero caso, qui sarebbe un disastro. Esistono barriere culturali non da poco in Italia. Speriamo che fra vent’anni non ci siano più”.

A proposito di barriere, questa volta geografiche, lei era andato a lavorare in Siria, ora la Morace va in Iran. Esperienze da fare?
“Guerre permettendo, sono da fare senza dubbio. In tante parti del mondo c’è voglia di crescere nel calcio e nello sport in generale. Bisogna aprirsi al mondo, attaccarsi a un calcio eurocentrico allargato al Sudamerica e poco altro non ha senso”.

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