“Parlando in generale, con l’arrivo dei procuratori nel calcio femminile che hanno messo le mani su diverse calciatrici, mi aspetto un mercato con molti spostamenti tra una squadra e l’altra. Le società dovranno essere brave a pescare atlete che siano confacenti ai rispettivi progetti tecnici. Per quanto riguarda il Pontedera spero di convincere tante giocatrici che il progetto che stiamo sviluppando è un’opportunità per loro”. Esordisce così Sara Colzi alla nostra domanda su che tipo di sessione di mercato si aspetta per la prossima estate. L’ex calciatrice e allenatrice della Fiorentina Femminile Primavera è da poco entrata a far parte del Pontedera divenendone responsabile del settore femminile. Nel suo palmares vanta una promozione in Serie A col Firenze ed una Coppa Italia da calciatrice. In seguito ha vinto due tornei Arco di Trento alla guida delle giovani viola. L’abbiamo raggiunta telefonicamente per farci spiegare cosa vede nel futuro di questo movimento e anche per raccontarci qualcosa di lei. “Offriamo concretezza e l’opportunità vera di crescere, di migliorarsi e trovare le proprie soddisfazioni sotto tutti i punti di vista – ci dice parlando delle sue idee per il settore femminile della sua nuova società –, senza fare promesse che non possiamo mantenere. Trasparenza e lealtà. Sono sicura che restano valori vincenti”.

Da poco lei ha assunto questo incarico al Pontedera. È un ruolo nuovo per lei?
Potrebbe sembrare ma alla fine no, perché già nei miei anni da allenatrice delle squadre Primavera, prima al Castelfranco e poi alla Fiorentina, dovevo gestire gruppi molto eterogenei, perché la categoria Under 17 non c’era ancora e quindi si svariava dalla quattordicenne alla diciannovenne che magari già si era affacciata al gruppo della prima squadra. Gestire tutto tenendo conto delle differenze di età e di attitudini tra le varie giocatrici non è semplice ma è fondamentale. E questo si impara dalla teoria ma anche dalle esperienze sul campo. Mio compito sarà anche quello di selezionare uno staff tecnico all’altezza per le varie squadre che stiamo completando. Io sarò una sorta di Jolly che farà da raccordo tra la prima squadra e le altre squadre, ma sarò all’occorrenza presente in prima persona anche sul campo.

Cosa l’ha spinta ad accettare?
Il Pontedera mi ha dato una buona dose di carta bianca dopo aver verificato che le idee di base collimano. Credo che, per poter crescere, il calcio femminile abbia bisogno non soltanto di buone giocatrici, di allinearsi alle realtà estere più evolute, di ampliare i numeri delle praticanti ma anche e soprattutto di una buona programmazione dell’attività, degli obiettivi e delle strategie. Occorre lavorare in accordo tra la prima squadra e il settore giovanile per dare modo e strumenti a tutte le ragazze di avere un domani la possibilità di fare l’esordio in prima squadra, che rappresenta l’obiettivo di ogni giocatore.

Lei è stata una calciatrice molto rappresentativa per l’entroterra toscano, c’è un ricordo del periodo in cui giocava a cui è particolarmente legata?
I ricordi sono tanti. Di certo la promozione in serie A col Firenze e la relativa festa. In quella stagione segnai anche tanto e quasi esclusivamente in trasferta, diverse doppiette. Poi l’anno dopo in serie A, feci doppietta in casa alla Torres in un 2-2 combattutissimo. Subito dopo arrivò la chiamata in Nazionale, per un o stage a Coverciano. Poi l’avventura non continuò per questioni anagrafiche, almeno così mi fu detto. Ma ho anche bellissimi ricordi dei tre anni alla Reggiana con Milena Bertolini. Per me erano i primi rudimenti veri di tattica. La Coppa Italia vinta, anche se non feci la finale perché ero infortunata. E come non dimenticare la stagione al Castelfranco, col doppio ruolo: giocatrice in prima squadra e allenatrice della squadra Juniores: nella partita decisiva a Lucca dovevamo vincere. C’era un nubifragio, prendemmo gol su una punizione dalla distanza. Poi nei minuti finali ribaltammo la situazione e mi ricordo la gioia dei mie due assist entrambi per giocatrici della Juniores subentrate nel secondo tempo. Fu una gioia quindi doppia. Non possiamo anche non ricordare l’anno fatto alla Scalese subito dopo la gravidanza, con Mister Ulivieri in panchina dove ottenemmo una salvezza in serie B che all’inizio sembrava molto difficile.

Per tanti anni lei è stata alla guida della Primavera Femminile viola, che ricordi ha di quel periodo?
C’era l’orgoglio e la consapevolezza di far parte di una grande realtà. Abbiamo lavorato tanto e in silenzio, lontani dai clamori e dai riflettori che, giustamente, erano tutti sulla prima squadra che si giocava il posto in Europa, scudetti e Coppe Italia. Ma anno dopo anno io col mio staff siamo sempre riusciti a creare dei bei gruppi di lavoro, e le soddisfazioni non sono mancate. Siamo arrivati più volte alle finali nazionali e anche a un passo dal giocarci lo scudetto. Due trofei Arco di Trento vinti a dispetto dei pronostici secondo i quali era difficile anche arrivare a giocarci la finale, e poi le finali vinte, in entrambi i casi contro le campionesse d’Italia della Roma. Autentiche battaglie culminate con il vedere le ragazze alzare il Trofeo. Ma al di la delle vittorie resta l’esperienza di essermi confrontata e aver visto da vicino come operano e come lavorano le grandi realtà italiane, Juventus compresa. E soprattutto quello di aver fatto provare gioie e speranze a tante giovani calciatrici. Ho sempre cercato di dare loro quello che a me, visti anche i tempi diversi, era mancato da giocatrice.

Recentemente c’è stata la finale Primavera Roma-Juventus. Cosa manca alla viola e alle altre per arrivare a quel livello?
La Fiorentina come società ha tutte le carte in regola per essere competitiva anche nel settore giovanile. Occorre attenzione, confronto, sintesi, far tesoro delle professionalità competenti di cui dispone. In questi anni molte risorse non sono state fatte fruttare come si poteva e come forse si doveva. La società si è illusa forse un po’, dal momento che partecipava alla Champions League, di essere una realtà già consolidata del panorama del calcio femminile italiano. Forse sarebbe stato più utile potenziare la struttura dalle fondamenta.

Chi sarà secondo lei l’anti-Juve della prossima stagione?
Fermo restando quanto detto sopra, e quindi le sorprese e i cambi di gerarchia potrebbero esserci, punterei forte sulla Roma che è in crescita sia a livello giovanile (il titolo Primavera lo dimostra) sia a livello di prima squadra dopo l’arrivo di una giocatrice tutta sostanza come Elena Linari, una che a Firenze hanno conosciuto bene, giocatrice capace di trascinare e dare l’esempio alle compagne. Ma sullo stesso piano metterei anche il Milan che oramai è arrivato a un passo dal centrare un grande traguardo, che sta costruendo una sua identità intorno a un tecnico carismatico e appassionato come Maurizio Ganz, e il Sassuolo, che oltre ad essere una realtà che ha come parola d’ordine organizzazione e basso profilo, ha un tecnico altrettanto umile ma preparato come Piovani; il fatto che siano riusciti a trattenere il fenomeno Bugeja nonostante le sirene che chiamano da ogni dove la dice lunga sulla serietà della società e del progetto più di tante frasi fatte che si potrebbero dire.

Quali sono i suoi piani futuri, partendo ovviamente dal lavoro che farà al Pontedera?
Come ho detto prima, far crescere la società a trecentosessanta gradi, cercare di dare alle atlete gli strumenti tecnici per consentire loro di accrescere il loro bagaglio tecnico complessivo. Ho il patentino da allenatore Uefa A e sto completando anche il corso da osservatore a Coverciano. Non solo solita fare voli con la fantasia, conosco una sola ricetta, che adottavo anche da giocatrice: lavorare tanto per continuare sempre a crescere e cercare di non farmi mai trovare impreparata. È la mentalità che vorrei estendere a tutto l’ambiente. Ma con Mister Ulivieri è come sfondare una porta aperta, e la sintonia è totale su questo. E anche la dirigenza, come ho già detto, ha gli stessi valori come punto di riferimento. Un giorno, in un futuro non imminente, mi piacerebbe allenare una prima squadra importante, ma non ho e non ho mai avuto la smania di sedermi su una panchina a tutti i costi. Per prima cosa devo sposare un progetto, devo verificare la serietà delle persone e mi piace anche costruire dal basso.

Dal prossimo anno arriverà il professionismo in Serie A. Quanto è importante questo passaggio secondo lei?
Il professionismo è quello che abbiamo sempre inseguito quando da giocatrici studiavamo anche, e lavoravamo per mantenerci gli studi, e in aggiunta a tutto ciò la sera eravamo sui campi ad allenarci, il fine settimana eravamo in trasferta in un pullman con i libri al seguito per l’interrogazione o l’esame del giorno dopo. Senza le tutele che, come è successo a me, ti costringevano a rifiutare le proposte di squadroni come Torres o Tavagnacco, che allora erano le realtà principali del movimento, perché, sì la proposta di stipendio era anche buona, c’era l’alloggio compreso, ma come facevi se dovevi lasciare il posto di lavoro? Con tutte le incognite del caso… La questione importante è che il professionismo invece porta una serie di tutele, come i contributi, il sussidio per la maternità, tutele sanitarie e assicurative per cui giocare a calcio è assimilabile a un lavoro. Le giocatrici hanno così la possibilità di crescere sempre di più come atlete.

Attualmente sembra essere messo a rischio per via della crisi. Limitato solo alla Serie A. Cosa ne pensa?
Tutto è ancora in via di definizione, ma mi riesce difficile pensare allo status di una calciatrice che cambia tra professionista e non, solo in base al fatto che magari l’anno prima è retrocessa con la sua squadra o viceversa è stata promossa nella massima serie.

In conclusione le chiedo un commento sulla recente finale di Coppa Italia tra Roma e Milan.
Erano di fronte le due squadre che più hanno cercato di costruire passo dopo passo in questi anni, guidate da due tecnici a cui non si può insegnare molto, pur agli antipodi come esperienze pregresse perché Ganz arriva dall’aver calcato i massimi palcoscenici nel calcio maschile e la Bavagnoli ha visto tutto o quasi quello che c’era da vedere nel calcio femminile. L’equilibrio che c’è stato fino alla fine è stato il segno del grande livello e del rispetto reciproco che le due formazioni nutrivano per l’avversaria. La Roma ha così vinto il primo trofeo di prima squadra della sua storia, il Milan ci è andato vicino e il prossimo anno rappresenterà l’Italia in Champions con una consapevolezza in più.

Credit photo: Ufficio Stampa U.S. Pontedera