Cara Sara,
scrivere di una calciatrice non è facile, in un paese dove il calcio femminile “non è calcio”; scrivere di una calciatrice è davvero complicato, quando si tratta di una campionessa che indossa la fascia da capitana della Juventus Women e l’ha traghettata per tutti gli otto anni della sua storia sia dentro al campo, sia dalla panchina; scrivere di una calciatrice è impossibile, se quella calciatrice sei tu, Sara Gama. Un nome, un cognome, un’identità che traspare dalle lettere accostate le une alle altre sul foglio bianco o pronunciate da chiunque: basta sentirlo, e si riesce subito a risalire a te, al tuo viso, alla tua personalità, alla tua carriera stellare, anche se quest’ultimo aggettivo non è, forse, quello più giusto.
L’avevi sottolineato anche nella conferenza post-partita dopo il match contro il Milan, che ha consegnato lo scudetto alla “tua” Juventus Women: 3 è un numero ricorrente e che ti ha trasmesso tanto, che ti ha portato in alto e che, combinazione, ritorna anche adesso che hai salutato il calcio giocato a 36 anni, dove il tre appare in entrambe le cifre, in un modo o nell’altro, così come nelle tue 153 presenze, che ti fanno classificare al sesto posto (il doppio di tre!) tra le calciatrici che hanno vestito in più match la maglia bianconera.
Hai dedicato una lettera al calcio, parole pregne di commozione e di una gioia infinita, perché sai che la tua presenza nel calcio femminile, un movimento che sta crescendo, è stata più di una semplice meteora, o una stella del firmamento: la tua presenza è stata una costellazione di idee, emozioni, energia e battaglie per ottenere il professionismo al femminile e, da tre anni, le giocatrici possono finalmente ritenersi professioniste. Le stelle, in fondo, dopo aver finito il loro corso si spengono e abbandonano il cielo stellato, ma quelle che calcano l’Allianz Stadium ci sono ancora, proprio lì, nella casa della Juventus, perché tifose e tifosi possano sempre ammirarle. Splendere nel cielo è niente, se si pensa all’opportunità di farlo, per sempre, nella storia di uno sport come il calcio femminile italiano.
Hai dedicato una lettera al calcio, dove hai citato tutte le squadre che hanno avuto l’onore di vederti giocare nella loro retroguardia, partendo da Trieste e girando il mondo, per poi approdare e trovare rifugio in Torino. Trieste e il lungomare di Barcola, dove hai conosciuto la bellezza del calcio, lo Zeule e la Polisportiva San Marco, la prima tutta al femminile, poi Tavagnacco, Chiasiellis, sempre nelle confortevoli mura di casa, del Friuli. Poi, il salto nel vuoto: Los Angeles, dall’altra parte del mondo, e poi Parigi, due campionati difficili, impegnativi e che arricchiscono tutti. Dopo ancora il ritorno in Italia, nelle biancoblù del Brescia e poi… Lei, la Juventus Women, la Bella Signora, di cui sei la Capitana con la C maiuscola. La maglia Azzurra, costante della tua vita, grande onore e immensa responsabilità da custodire con cura e amore e da trasmettere alle nuove arrivate.
Hai dedicato una lettera al calcio, ringraziando la tua famiglia, tutte le persone che ti hanno accompagnato fisicamente in questo viaggio e le tifoserie che ti hanno accolto, sostenuto e spronato nel corso del tempo, anche quando la declinazione al femminile del calcio era ancora embrionale. Doveroso, perciò, fare lo stesso, e concludere questa specie di lettera ringraziando te.
Oscar Wilde, tra tutti gli innumerevoli aforismi, ne ha proposto uno emblematico: «Meglio essere protagonisti della propria tragedia, che spettatori della propria vita», ma la tua presenza nel mondo del calcio non è stata una tragedia, bensì una forma di teatro di narrazione, il racconto di una vita che, con te come protagonista, ha però fatto immedesimare decine e decine di bambine nei tuoi sogni, coinvolgendole nel tuo cammino. Sogni che, finalmente, possono diventare una realtà concreta.
Grazie, Sara. Appendere gli scarpini al chiodo non è solo l’ultima tappa di un percorso pieno di sorprese, non è solo un capitolo che si chiude, non è solo guardare indietro con nostalgia: è soprattutto vincere ancora combattendo per qualcosa in cui si crede, tanto quanto tu credi nel movimento. Hai vinto tanto in campo, ma quei trofei e tutte quelle vittorie sono niente, se confrontati con quelle vittorie che hai donato al tuo sport e alle calciatrici che ci sono e che verranno, proprio come hai scritto tu:
«Da Trieste a Torino, passando per il mondo, il pallone va lontano ma torna sempre e quando lo fa porta con sé ciò che vale davvero: le persone, le emozioni, la vita.
Oggi quel pallone lo calcio e lo lascio andare. Con orgoglio, con gratitudine, con il cuore pieno: è il mio addio al calcio giocato. L’amore per questo sport e per le sue persone resta con me per sempre.»