“Ciao Chiara, ti chiamo per proporti un nuovo progetto, una cosa nuova, hai voglia di rimetterti in gioco?”
Così è iniziata la mia avventura nella Florentia, con una telefonata di Mister Mario Nicoli nell’estate del 2015. Non sapevo di cosa si potesse trattare, ma sapevo che non mi sarei potuta tirare indietro, non potevo rinunciare, sarebbe stata per me un’occasione per rimettermi in gioco. Nel mio piccolo sapevo che avevo ancora qualcosa da dire e dimostrare, che volevo ancora vincere, perdere, esultare ma anche piangere, faticare e sorridere, volevo provare ancora qualcosa di indescrivibile.
Sì, perché fin da piccola sapevo che quella sfera mi avrebbe fatto provare qualcosa di indescrivibile.


Sono sempre stata una bambina molto attiva, non mi piaceva stare in casa a giocare con mia sorella (più grande 5 anni) e le altre bambine della stessa età ma passavo giornate intere sull’aia del borgo con i miei amici maschi a giocare a pallone, con loro che mi incitavano o mi festeggiavano tutte le volte che segnavo un gol.
La sera tornavo a casa ed esprimevo la mia volontà di voler iniziare a giocare a calcio con la mia famiglia che inconsciamente non recepiva il messaggio; ma io lo sentivo, desideravo di giocare in una vera squadra, l’aia con il cemento e le porte disegnate con il gesso mi era stretta, ma ogni volta mi sentivo rispondere “dai Chiara, vai a giocare a pallavolo con tua sorella”, oppure “ci sono così tanti altri sport”. E così ho fatto, ho provato pallavolo, basket,
nuoto, perfino atletica leggera ma ogni volta che tornavo a casa dagli allenamenti mi cambiavo, pallone in mano e correvo dai miei amici per giocare a calcio.
Non ho mollato e dopo tante lotte e discussioni con mia mamma, dopo aver comprato il mio primo paia di scarpe da calcio, all’età di 14 anni sono entrata a far parte di una vera e propria squadra femminile.


Arrivai nel Casellina (Scandicci) nel Febbraio del 2007, e alla prima partita contro una squadra di maschi mi presentai facendo una tripletta. Il mio amore per il calcio cresceva, mi entusiasmava il poter condividere questa passione con le mie compagne.
Mia mamma e mio babbo iniziarono ad essere i miei primi tifosi ed a innamorarsi di questo bellissimo sport.
L’anno dopo la squadra venne sciolta: la società non aveva alcun interesse nel
mantenere una squadra femminile e quindi passai nella primavera dell’Acf Firenze.
Il mio obiettivo era quello di poter esordire in prima squadra, poter giocare insieme a Giulia Orlandi, Alia Guagni, Serena Patu, vere e proprie paladine di Firenze. E così dopo aver esordito e dopo essere entrata a far parte della prima squadra, nel 2010 siamo riuscite a vincere il campionato e ad essere promosse nella massima serie, ma di questa storia conoscete già quasi tutto.
Nonostante avessi raggiunto un qualcosa di importante decisi di scendere di categoria, di avere un impegno “minore”, passai prima nel Giglio e l’anno dopo nel Ponte a Greve, dove in seguito alla rottura del crociato durante una partita, decisi di smettere.
Mi promisi che non avrei ricominciato una volta finita l’estenuante riabilitazione, ma mentivo a me stessa e a ciò che mi aveva reso felice. Mi presi un anno di stacco totale, un anno in cui guardavo indietro e pensavo a cosa ero riuscita a fare, di cosa avevo lasciato e del perché, e pensavo a come sarebbe stato se avessi ripreso, se avessi provato le stesse emozioni.
La mia mente continuava a pensare a quello che mi stava capitando, doveva essere un segno del destino, mi ritenevo fortunata, potevo provarci di nuovo.


Ma torniamo alla telefonata: “L’unica cosa, essendo una società nuova dobbiamo partire dalla serie D, faremo 3 allenamenti e ci saranno ragazze “scartate” da altre società, ragazze che non hanno mai giocato a calcio, ragazze più grandi ma anche più piccole ma il presidente non vede L’ora di conoscerti e di iniziare questa nuova avventura, in 4 anni vuole essere in serie A.
Incontrai Tommaso, e le sue parole accrescevano in me la voglia di ricominciare “Florentia: un libro bianco tutto da scrivere, e ad ognuno è stata consegnata una penna in mano…”
Volevo far parte di questo progetto, volevo essere la penna che un domani potesse scrivere un qualcosa di indelebile nella storia del calcio femminile.
La curiosità cresceva e non vedevo l’ora di iniziare.
I primi allenamenti, le prime amichevoli per poi iniziare la Coppa Toscana e il campionato di serie D.
Essendo una società nuova, una vera e proprio scommessa, erano poche le persone che credevano in noi. “Fai parte di una società come tutte le altre, che nasce, dura un anno e poi chiude”; ma a me e alle mie compagne questo non importava, queste voci aumentavano solo la nostra voglia di vincere, ci rafforzavano facendoci diventare una vera e propria famiglia.
Noi giocatrici pensavamo a portare a casa il risultato mentre i nostri genitori pensavano ad allestire un vero e proprio terzo tempo pieno di dolci, pizzette e bevande; e questo succedeva ad ogni partita, sia in casa che in trasferta.
Ad ogni partita, anche quella sulla carta più semplice, l’adrenalina e l’ansia era tanta ma ogni volta che indossavo la maglia rossobianca tutto spariva e non potevo far altro che dare il massimo e cercare di trasmettere anche in una piccolissima parte di ciò che provavo con la palla tra i piedi.
Vincevamo per tante reti a zero, ma la cosa più bella era che anche se si trattava del secondo, dell’undicesimo o ventiduesimo gol, tutte esultavamo come se fosse il più importante, come se quel gol ci valesse l’accesso ad una finale.
Così con tre giornate d’anticipo avevamo conquistato la promozione in serie C e dopo aver ribaltato il risultato contro il Lucca riuscimmo a conquistare la finale della Coppa Toscana contro il Pisa.
Una partita indimenticabile ma allo stesso tempo incredibile.
L’emozione era alle stelle, per me era la prima vera e propria finale da protagonista. Era brutto tempo, a Certaldo, poco distante da casa mia, sapevo che mi sarebbero venuti a vedere i miei amici, quelli che mi hanno sempre supportato, la mia famiglia e sapevo anche che sarebbe stata più una “guerra”, viste le condizioni del campo, che una partita.
Nello spogliatoio il mister continuava a parlare, la pioggia che scendeva ininterrottamente e la paura che potessero rimandare la partita. Il riscaldamento pre-partita fu imbarazzante, sbagliavamo ogni passaggio, i piedi non erano collegati alla testa, ci incoraggiavamo tra di noi ma volevamo solo iniziare la partita e quel fischio d’inizio non arrivava mai.
Così l’arbitro fischia ed inizia la battaglia; il Pisa passa in vantaggio con un pallonetto dal limite di Serena Ceci, proprio lei. Poche occasioni, era solo la pioggia la protagonista. Rientriamo negli spogliatoi, ci sentivamo già sconfitte, tutte eravamo scoraggiate perché l’ansia e la paura verso un avversario di categoria superiore aveva avuto il sopravvento su ciò che ognuna di
noi sapeva fare, divertirsi giocando a calcio. Sapevamo che potevamo farcela, che poteva essere il coronamento di un anno straordinario e che potevamo essere un esempio per tanti.
Rientriamo in campo e dopo pochi minuti portiamo il risultato sull’1 a 1.
Il risultato rimane invariato fino al ‘90 e allora iniziano i supplementari dove un minuto più tardi passiamo in vantaggio. 2 a 1. Abbassiamo un po la guardia, per la stanchezza e per la pesantezza del campo che era diventato una pozza con qualche ciuffo d’erba qua e là e il Pisa riesce a pareggiare.
Andiamo ai rigori, ci credevamo, volevamo regalare al nostro presidente il primo trofeo. Il Pisa sbaglia, noi no. Anche la Coppa Toscana è nostra.


Sarebbero ancora tante cose da poter raccontare e da ricordare ma ad oggi la storia della Florentia la conoscono tutti.
È bello però ricordare il come e con chi è partito tutto questo, chi come me ha voluto rimettersi in gioco sebbene nemmeno io ci credessi fino in fondo.
Nonostante i numerosi infortuni, nonostante le rinunce alle vacanze estive per iniziare la preparazione i primi di agosto, nonostante il poco tempo per i miei amici e per me, nonostante tutte le difficoltà che ci sono per una ragazza che gioca a calcio e che divide questa passione con il lavoro io non ho mollato e quello che per me poteva essere una scommessa, un sogno è diventato realtà: in 4 anni sono arrivata in serie A.

Chiara Abati
Credit Photo: Florentia Calcio Femminile