Seguiamo l’esempio della Florentia San Gimignano e oggi vi raccontiamo una delle nostre “più belle storie di calcio femminile”: la storia di Federica Cafferata.

Quindici secondi quindici. Cosa rappresentano per voi, cosa erano per noi? Per Caffe, numero 77 – nella Smorfia, guarda caso, le gambe delle donne – il tempo sufficiente per esprimere non uno ma mille concetti. Il tempo necessario per ultimare le sue sgroppate sulla fascia che mettono in difficoltà i terzini che si trova di fronte. Lei parte, tu provi a starle dietro ma non la prendi più. Caffe raccontava tutto di lei ad una velocità “moderna”, come se stesse arrivando sul fondo a cento allora per mettere il pallone in mezzo ed essere pronta, se le cose non fossero andate come si augurava, a tornare indietro sprintando ancor più forte.

Per noi “matusa” 15 secondi erano quelli che occorrevano ad una stella cadente per andare giù nella notte di San Lorenzo mentre esprimevi un desiderio infantile, magari steso su un prato con la faccia rivolta al cielo ed abbracciato ad una ragazzina della tua stessa età. Invece, 15 secondi bastavano a Caffe per raccontarsi, fare una storia su Instagram e passare avanti. Troppo “smart” o forse no, semplicemente un’ala che vola via sulla fascia e cui devi provare a stare dietro. “Se sei in grado di metterti in scia allora vuol dire che se mi giro ti vedo e che, se ci sei ancora, forse mi posso fidare”, aveva detto un giorno al suo amico “Matusa”. Quindici secondi per lei erano un tempo sufficiente per mettere il pallone al centro o per raccontarti chissà quali segreti. Quindici secondi, il tempo di una stella cadente o di una stories su Instagram.

Photo Credit: @fede_caffe