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La Nazionale femminile afghana è stata per anni il simbolo di lotta, speranza e passione in un Paese dove le donne hanno dovuto lottare a lungo per giocare: storica la campagna che ha portato alla formazione della nazionale nel 2007, nata con il sogno di qualificarsi per la Coppa del Mondo Femminile. Un sogno che, almeno per il momento, non si è ancora realizzato.

Il 15 agosto 2021 i talebani entrarono nella capitale afghana, Kabul, prendendo il controllo della nazione e rendendo una delle loro cause la cancellazione della donna dalla società. Ad esse fu stato vietato praticare sport, frequentare la scuola e persino apparire negli spazi pubblici. Il calcio femminile afghano, che fino a pochi anni prima era un simbolo di emancipazione, si è trovato improvvisamente invisibile e marginalizzato.

La Nazionale afghana, che non giocava una partita ufficiale dal 2018, si è vista dunque privata di ogni possibilità. Le parole di Fatima Yousufi, poritere e capitana della nazionale: “Quel giorno, quando ho saputo di Kabul e ho visto le notizie, nella mia testa pensavo che fosse tutto finito. Soprattutto per me: il calcio, la persona che ero, era tutto finito”.

Molte calciatrici sono scappate e hanno trovato rifugio in altri Paesi, dove hanno iniziato a lottare per ottenere il riconoscimento ufficiale dalla FIFA, per rappresentare il loro Paese nelle competizioni ufficiali.
Un grande paradosso è nato: è la Federazione Calcistica Afghana (AFF) a dover riconoscere la squadra; la Federazione però è controllata dai talebani, che, non facendolo, stanno violando il regolamento FIFA, che proibisce la discriminazione di genere, e che quindi rischia sanzioni (che non sono ancora state prese).

La FIFA però si è mossa per permettere la creazione di una squadra di rifugiate, consentendo alle calciatrici di competere in amichevoli internazionali, seppur non ufficiali. Di recente diverse sono state le iniziative e i camp per identificare e riunire le calciatrici rifugiate.

“Anche se siamo lontane dall’Afghanistan e non siamo sotto il controllo diretto dei talebani, è come se continuassero a controllarci. Non si tratta solo di noi che rappresentiamo l’Afghanistan, di indossare la maglia, di avere la stessa libertà che avevamo, va oltre questo”, dice Yousufi. “Si tratta di tutte quelle ragazze, giovani e adulte, tutte le donne che sono in Afghanistan. La missione più importante per la nostra squadra è dare loro una voce.”

Dal 23 al 29 ottobre la nazionale tornerà in campo partecipando a un torneo a quattro a Dubai, dove affronterà le nazionali femminili di Ciad, Libia ed Emirati Arabi Uniti. Pur non avendo valore ufficiale, le partite rappresentano un’occasione importante per le calciatrici di mettersi in mostra e testimoniare il loro talento.

Un appuntamento dal forte valore simbolico, che va oltre il calcio: queste partite servono a difendere e promuovere i diritti delle donne che non vogliono rinunciare al sogno di giocare.
Queste le parole di Gianni Infantino, presidente della FIFA: “Queste amichevoli rappresentano più di una semplice competizione: sono un simbolo di speranza e progresso per le donne di tutto il mondo.”

La passione delle calciatrici afghane è ciò che rende questa storia straordinaria: nonostante divieti, fughe e silenzi forzati, il loro amore per il calcio non si è mai spento. A Dubai torneranno in campo per dimostrarlo, ricordando a tutti che il calcio, per loro, non è soltanto un gioco, ma un vero e proprio atto di resistenza.

 

 

Roberta Faramondi
Studentessa di Comunicazione, Culture e Tecnologie Digitali all’Università La Sapienza, con un forte interesse per il calcio, in particolare quello femminile, e per il mondo della comunicazione sportiva. Questo interesse si unisce al desiderio di contribuire attivamente alla diffusione e al cambiamento di questo sport, seppur da una posizione esterna al campo da gioco.