Classe 2006, Martina Cocino è un giovane difensore che, in prestito dalla Juventus Women, sta trascorrendo la sua prima stagione lontano da Torino in Serie B, vestendo la maglia del Cesena. I colori della casacca che indossa sono rimasti gli stessi, ma l’esperienza che sta vivendo è tutta nuova, con in serbo per lei una grande crescita personale e calcistica.
La Redazione di Calcio Femminile Italiano ha avuto il piacere di intervistare la calciatrice in esclusiva e di chiacchierare con lei, analizzando a fondo il calcio.
«Gioco alla Juve da quando avevo otto anni. Dopo nove anni di settore giovanile quest’anno prendere la decisione di andare via è stato pesantissimo, perché per me la Juve è sempre stata “casa”: è stato bellissimo crescere al campo dove ci allenavamo fin da quando eravamo piccoline; è stato bellissimo arrivare alla Primavera da quando facevo l’U-10 e poi l’U-12: mi ha fatto crescere tanto come persona, tutti i Mister e lo Staff che abbiamo avuto mi hanno sempre aiutato e mi hanno sempre sostenuto, anche Carola Coppo. Concludere questi nove anni di Juve vincendo Scudetto e Coppa Italia è stato come coronare la fine di questo mio percorso alla Juve, e quindi alla Juve posso veramente dire “grazie”, per me è stato un percorso bellissimo, che spero di continuare», con queste parole la calciatrice ha riassunto il suo cammino con i colori della Juventus, la squadra che l’ha fatta aggregare dapprima alla Prima Squadra lo scorso anno e poi ceduta in prestito alle romagnole, non prima di averle permesso di portare a termine un percorso ricco di soddisfazioni, coronate dall’ultimo anno, strepitoso grazie alla vittoria dello Scudetto e della Coppa Italia.
Cocino ha voluto sottolineare nuovamente come «la mia strada nel settore giovanile ha avuto un ruolo fondamentale, perché non sarei cresciuta in questo modo e non sarei potuta andare in prestito a una squadra di Serie B, avere l’opportunità di andare in prestito da una Società come la Juventus è stato veramente importante.»
«Mio padre fa l’allenatore, mio fratello gioca a calcio in Serie D, abbiamo sempre parlato di calcio e avuto un pallone in casa. Ho iniziato a giocare a calcio perché andavamo tutti i sabati e le domeniche ai tornei di mio fratello. Un giorno sono andata da mia mamma e le ho detto: “Mamma, io voglio provare a giocare a calcio”, e i miei genitori sono rimasti un po’ spiazzati, anche perché mio papà, sapendo dell’ambiente del calcio, non è che fosse molto contento. Mi hanno però fatto provare, con l’idea che mi sarebbe passata la voglia con la pioggia, invece ero contentissima e quando pioveva per me era ancora più bello. I miei genitori mi hanno sempre sostenuto, e devo ringraziare mio fratello: se non avesse iniziato lui a giocare a calcio, credo che anche a casa non avrei mai giocato, e invece mi ricordo benissimo che quando pioveva e si annullava la partita ci mettevamo in salotto, facevamo due porticine e giocavamo. Abbiamo rotto un sacco di cose, ma ci siamo divertiti molto», la passione della classe 2006 nei confronti di questo sport è di famiglia, e lo zampino del fratello le ha dato dapprima l’input per provare, poi le ali per spiccare il volo. Sole, vento, pioggia, neve: qualsiasi momento e qualsiasi posto erano quelli giusti per prendere un pallone e divertirsi a calciarlo. Poi, la frase “Mamma, io voglio provare a giocare a calcio” smentita dal tempo, dalla passione e dagli occhi pieni di gioia di una bambina che adesso quel sogno lo sta vivendo per davvero.
A rendere meno idilliaco il “sogno calcio” sono state alcune persone: «Quando ho cominciato a fare un po’ di assenze perché dovevo andare in Nazionale o mi allenavo al mattino con la Prima Squadra, ho trovato dei professori che dicevano che non aveva senso, perché quella cosa non mi avrebbe portato a nulla, perché il calcio femminile non lo guardava nessuno e perché ci pagavano poco», il pregiudizio e la mancanza di empatia nei confronti del prossimo sono motivo di rammarico, che invece la classe 2006 non ha mai ascoltato, focalizzandosi sul proprio percorso, che per ora sta dando i suoi frutti.
«Con molte persone con cui ho fatto i primi raduni in U-15 e U-16 fino all’U-19 condividevo il sogno di arrivare all’Europeo, di qualificarci. Negli anni non ci siamo mai riuscite, e quest’anno abbiamo concluso il percorso nelle Giovanili arrivando a quest’obiettivo. Indossare la maglia della Nazionale è un onore, credo non ci sia un altro livello massimo da raggiungere, e poi il pensiero di rappresentare una Nazione – anche adesso che ci siamo qualificate per il Mondiale U-20, per cui speriamo di essere convocate e di ritrovarci con la stessa squadra con cui abbiamo fatto l’Europeo – naturalmente è un onore. Rappresentare la tua Nazione agli Europei e arrivare in semifinale è stato bellissimo, un’esperienza che mi porterò dietro per tutta la vita. Anche le persone, le emozioni che abbiamo vissuto tutte insieme, lo Staff che non ci ha mai fatto mancare nulla, i medici, i fisioterapisti, i nutrizionisti, è stato veramente bellissimo», l’Europeo dal retrogusto amaro della semifinale ha dei ricordi ben impressi nella sua mente, legati soprattutto alle persone che hanno intrapreso con Cocino questo viaggio. Il viaggio, partito dalla mente di una ragazzina spinta dal “Sogno Azzurro” e dalle “Notti Magiche”, è arrivato sul rettangolo verde, e le Azzurrine non si sono fatte cogliere impreparate, facendo da antipasto per quello che è poi stato l’Europeo della Nazionale maggiore. In poche parole, le nuove generazioni di calciatrici sognano la maglia azzurra, sognano la Nazionale e sognano di renderle il giusto onore.
«Il nostro percorso è stato molto travagliato, perché negli anni anche l’U-17 spesso avevamo tante sconfitte, non siamo mai riuscite a qualificarci, e la scorsa stagione nessuno ci credeva. In Polonia nel girone nel primo round avevamo l’Inghilterra e la Polonia, tutte e due che si sono qualificate alla fase finale, e noi qualificandoci per prime siamo state agevolate, ma avevamo trovato una Svezia molto forte, ci siamo qualificate e finalmente abbiamo partecipato agli Europei che sognavamo da quando avevamo quindici anni», e oltre alle immagini legate alle compagne di squadra, alla tanto agognata qualificazione raggiunta e ai bei momenti c’è l’aspetto di natura “pratica”, ovvero l’insegnamento del campo, che ti lascia una nuova consapevolezza ed energie tutte nuove: «Giocare in Nazionale ti dà grande esperienza: il livello internazionale è molto alto, giocare certi tipi di partite ti fa cercare di portare quell’esperienza che ti ha insegnato anche in campo con la tua squadra di Club.»
Martina Cocino ha poi raccontato che cosa significhi vivere di giorno in giorno Cesena, la sua squadra e l’ambiente che vi si è creato intorno, pregno di entusiasmo, grinta, spensieratezza e coesione, proprio come in una famiglia che affronta anche i momenti più complessi rimanendo unita, senza comunque perdere il sorriso: «Mi ha convinto l’ambiente: per me era la prima esperienza fuori casa, ne cercavo uno molto familiare, e qua l’ho trovato. Siamo un gruppo bellissimo, credo che la nostra forza sia proprio questa. Mi ha convinto molto il DS, Elvio, che ha formato una squadra tutta giovane e tutta italiana, e siamo un gruppo bellissimo. Ho ritrovato delle giocatrici con cui ci incontravamo in Nazionale, come Paola Fadda, e quindi è un bell’ambiente. A Cesena si sta molto bene, anche con lo Staff c’è sempre un clima sereno, e vittoria dopo vittoria siamo diventate molto squadra; è ovvio che vincere fa bene, quindi porta su il morale e siamo in un gran periodo. Sì, abbiamo perso contro il Como, ma ce la siamo giocata benissimo e abbiamo fatto una bellissima prestazione, nonostante il risultato eravamo tutte contente perché abbiamo capito che ce la possiamo giocare con tutte anche se la nostra età media non supera i vent’anni; dovrebbe servire un po’ da lezione che, sei piccolina, puoi giocare in Prima Squadra, perché si parla troppo di “esperienza”.»
L’esperienza a cui fa riferimento la calciatrice pare essere ben lontana, osservando l’età media delle giovani che difendono i colori del Cavalluccio, però il gruppo è unito e ha un motto che sta nelle parole “non abbiamo nulla da perdere”, men che meno se a scendere in campo al fianco delle ragazze è il giusto atteggiamento: «Prima di ogni partita e di ogni allenamento ci diciamo sempre la stessa cosa: che noi non abbiamo nulla da perdere. Vedendo i nostri nomi all’inizio dell’anno, tutti pensavano che non avremmo fatto tanta strada, perché veniamo tutte dalla Primavera, da grandi squadre, sì, ma comunque settori giovanili, e quindi c’è poca esperienza. Noi andiamo in campo tranquille, spensierate e felici, perché ci stiamo allenando bene, cerchiamo ogni giorno di migliorarci e pensiamo che non abbiamo nulla da perdere, perché sappiamo che farà parte di un nostro percorso di crescita. Contro la RES non abbiamo fatto la solita prestazione, ma l’atteggiamento non è mai mancato, molte di noi sanno che questo è solo un punto di partenza, siamo piccoline e ci diciamo che siamo qua per migliorare e ci alleniamo con la testa giusta. Una cosa che non manca mai è l’atteggiamento, perché ognuna di noi sa dove vuole arrivare.»
«All’inizio giocavo a centrocampo, poi ricordo che mi hanno spostato difensore per un bisogno, ma io ero molto contenta: mio fratello fa il difensore, e quindi ero contentissima di fare il suo stesso ruolo. Essendo più piccolina di lui, ogni volta mi facevo insegnare, veniva alle mie partite e mi dava dei consigli. Non l’ho vissuto male come cambio di ruolo. I miei punti di forza? Sicuramente sono un difensore molto moderno, mi piace tenere la linea alta, stare il più possibile avanti e giocare la palla. Il punto da migliorare riguarda sicuramente la forza, però qua a Cesena siamo seguite molto bene, c’è il professor Baffoni che ci sta aiutando tantissimo. Col tempo ho visto anche tanti progressi», Cocino è ancora molto giovane, ma si conosce già molto bene e sta portando avanti, oltre a una crescita calcistica, una crescita personale e di consapevolezza che di certo in futuro si rivelerà importante per lei e per le sue compagne di squadra.
La calciatrice ha infine rimarcato che ci sono due aspetti da cui bisogna partire affinché la diffusione del calcio femminile diventi capillare e si consolidi come una realtà. In primo luogo, la classe 2006 pensa che il pregiudizio sia ancora troppo radicato nella società, e che le famiglie e i bambini in primis non siano ancora giunti alla giusta consapevolezza del movimento: «Adesso porti una bambina in una scuola calcio e magari i bambini all’inizio la guardano male, magari pensano che sia più scarsa, e quindi c’è sempre questo pregiudizio. Parte tutto dai bambini, è lì che capisci dov’è il problema. Anche i genitori da fuori a volte intervengono, non sono mai stati abituati a questa cosa qua, magari alcuni suggeriscono di portarla a fare danza.»
L’altro aspetto che dev’essere necessariamente migliorato riguarda la visibilità in termini di stampa, visto che «Se ne parla veramente poco, anche solo la fatica che s’è fatta per trovare chi trasmettesse la Serie A Women’s Cup, nessuno voleva acquistare i titoli, anche da lì si capisce tanto. Adesso le cose si stanno smuovendo, però due anni fa non c’era neanche il pensiero di vederla su DAZN.»
Martina Cocino ha raccontato, in quest’intervista, cosa significa vivere a Cesena, il gruppo squadra che sta creando Mister Rossi e a cui ha dato vita la Società prima che il campionato aprisse i battenti, e ha rimarcato, malgrado la giovane età, quanto sia importante dare spazio alle calciatrici giovani e alle ragazze che sognano di vivere di calcio e di sport.
Si ringraziano Martina Cocino e il Cesena Femminile per il tempo, la disponibilità e la lunga e arricchente intervista.






