Si sa. Nel correre su un campo da calcio per giocare una partita, come nel percorrere le scale di casa per andare a stendere i panni, l’infortunio e la sfortuna sono all’ordine del giorno. L’importante, nello sport come nella vita di tutti i giorni, è “mola mia”, che nel dialetto bergamasco significa non mollare e non arrendersi mai. Oggi proviamo a raccontare le gesta di chi, di fronte agli imprevisti vissuti in carriera, non si è mai arresa: un esempio per molti giovani che, sebbene per responsabilità non loro, tra chiusure forzate causa pandemia e difficoltà nel trovare occupazione, smettono di credere nei veri valori e abbandonano il lungo cammino del sacrificio verso i propri sogni per scegliere percorsi alternativi più semplici, diretti ad un forse più “rassicurante” nulla contraddistinto da autolesionismo o comportamenti lesivi che non porteranno mai la “u” di quei ragazzi e la “d” di quelle ragazze a diventare davvero grandi.
Giulia Ferrandi è una centrocampista nata nel 1992 a Bergamo, città dei suoi albori calcistici: con un passato nel calcio a 5 che le ha permesso di tornare a pieno ritmo sui campi a 11 della nostra serie A in seguito ad un brutto infortunio, giganteggia attualmente nella Lazio Femminile con il numero 30 dopo l’esperienza vissuta al Pomigliano.
L’importanza di Giulia all’interno della squadra, ancor prima che tatticamente o tecnicamente, si denota a livello comportamentale: cerca di fare gruppo e lo sostiene anche fuori dal rettangolo di gioco, dedicandogli parole di conforto, carica e sostegno. 
Interpreta a dovere il ruolo di regista e mediano davanti alla difesa biancoceleste. Nell’impostazione del gioco ha una sviluppata visione periferica (laterale) attraverso la quale può percepire i movimenti delle compagne senza perdere prezioso tempo ad alzare la testa: è una frazione di secondo, ma in quell’attimo si può perdere il possesso del pallone e mandare in fumo la possibilità di realizzare una giocata importante o di sfruttare i movimenti delle compagne. Effettua con precisione i passaggi, azzardando anche giocate lunghe e di prima intenzione verso le attaccanti.
Nella gestione della palla, dove è abile ad usare indistintamente piede destro e sinistro, riesce a creare il giusto connubio tra tecnica e forza fisica: quando è sotto attacco diretto, allarga le braccia e si impone col corpo, riuscendo a tenere le avversarie alle spalle e a mandarle fuori tempo e fuori direzione tramite sterzate improvvise e dribbling, senza mai perdere il dominio del pallone.
Da vera leader si prende la responsabilità di battere i calci di rigore: con decisione e freddezza, angola molto bene il tiro piazzando il pallone dove il portiere difficilmente può arrivare.
Quando la propria squadra costruisce l’azione sulle fasce, avanza sulla trequarti campo e, libera da marcature, chiama palla per provare una conclusione di prima verso la porta.
Durante la fase difensiva, a seconda di dove si sviluppa l’offensiva avversaria, si impadronisce orizzontalmente e verticalmente del campo, spaziando a destra, a sinistra o indietro fino all’interno della propria area di rigore per dare manforte alle esterne o al reparto difensivo, fungendo così da elemento in più, utile a raddoppiare le marcature, chiudere maggiori spazi, recuperare la sfera ed intercettare passaggi o cross. 
Se è vero che, come scrivesti tu un anno fa, 100 volte cadi e 101 ti rialzi, è anche vero che 201 volte vinci. Nel tuo caso si tratta di una somma necessaria, Giulia, perché sai vincere anche quando cadi, facendo emergere quel tuo lato che possiamo definire, senza dovere delle scuse alla grammatica italiana, “gladiatore”: grinta, voglia di rientrare in campo nel più breve tempo possibile e rispetto della maglia che indossi, onorando gli impegni contrattuali assunti con la società, sono valori che in tempi di matrone, imperatori, patrizi e plebei avrebbero fatto del Colosseo il tuo stadio di casa.
 
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