Carli Ellen Lloyd è una campionessa di pallavolo. Palleggiatrice della nazionale USA, in Italia ha vinto un campionato, una Supercoppa italiana e una Champions League con la maglia del Casalmaggiore.

Dopo due stagioni in Brasile e Turchia è tornata a Casalmaggiore e, prima dell’inizio della stagione, con gioia ha appreso di essere incinta. Il suo Club, con un bel comunicato, ha diffuso la notizia, condividendo la felicità dell’atleta.

Il suo caso è salito alla ribalta delle cronache per gli insulti che alcuni tifosi e tifose della squadra le hanno riservato sui social: inviti a non pagarle lo stipendio, a rimandarla a casa, allusioni sessuali e altre frasi indegne.

Il punto della questione non ci sembra possa fermarsi alla maleducazione vigliacca e ignorante che imperversa sui social. Nonostante l’indignazione sia sempre salutare, da sola non basta.

Non esistendo in Italia nessuna forma di professionismo sportivo per le atlete, nonostante il livello stellare di Lloyd e delle sue compagne, non esistono strutturalmente gli anticorpi per avviare una robusta trasformazione culturale, ossia per tracciare una strada nuova per le ragazze e le bambine di oggi e domani.

Non c’è infatti nemmeno bisogno di chiedere di togliere lo stipendio a Lloyd: la maternità non viene coperta dagli accordi economici dilettantistici.

È vero che nel 2017 è stato fatto un passo avanti, istituendo un fondo di maternità ministeriale che fornisce alle atlete che si sono fermate per la gravidanza un sussidio economico, a cui sembra che anche Lloyd abbia i titoli per accedere.

È corretto che sia lo Stato a intervenire, dal momento che gli sport femminili non possiedono ancora la sostenibilità economica per reggere il passaggio al professionismo.
Ma il problema è proprio questo: manca la sostenibilità economica perché fin dall’infanzia sono attivi dei pregiudizi e delle barriere che dissuadono le bambine dall’espressione di sè attraverso certi movimenti considerati inappropriati, o comunque poco degni di essere incoraggiati e sostenuti, perdendo così alcune importanti occasioni di consapevolezza della propria forza.

È una questione che riguarda l’ordine simbolico che regge la nostra società: non basta indignarsi per gli insulti a Lloyd o spiegarsi la cosa con la mancata sostenibilità del professionismo femminile.
Il professionismo femminile è poco sostenibile perché è strutturalmente minato da pregiudizi e oppressioni di genere che accompagnano le bambine, e anche i bambini, fin dai primi giorni di vita.

Per questa ragione, non è possibile promuovere lo sport femminile senza lottare per dei rapporti sociali capaci di liberare le energie e le emozioni di tutte e tutti, e non di opprimerle.

Credit Photo: Florentia Calcio Femminile