Wembley è un sogno per chiunque inizi a giocare a calcio. Poter giocare sotto l’arco più famoso del mondo calcistico significa aver realizzato i propri sogni di gioventù, esser diventati ciò che si sperava, mentre si rincorrevano il pallone e la speranza nel campetto del quartiere. Carolina Morace, i primi attimi del suo straordinario viaggio non li ricorda, il suo pomeriggio sotto l’arco dei sogni però, non potrà mai dimenticarlo. 4 gol a Wembley, nazionale inglese annichilita e l’esigente pubblico di casa che non può far altro che applaudire ad una prestazione memorabile. Ricordi che seppur dolcissimi, rappresentano una minima parte di tutto ciò che Carolina è riuscita a fare durante la sua straordinaria carriera. Con 105 gol in 153 presenze infatti, è la miglior marcatrice Azzurra di tutti i tempi. Un record che si va ad aggiungere ad altri straordinari traguardi: 12 campionati, 12 volte capocannoniere, 2 Coppe Italia, una Supercoppa italiana che l’hanno fatta entrare di diritto nella Hall of Fame del nostro calcio e tra leggende del calcio mondiale premiate con il Golden Foot. L’esperienza sulla panchina della Viterbesepoi, l’ha consacrata come prima allenatrice a guidare una squadra maschile. Ha poi allenato la Nazionale femminile Azzurra, quella Canadese e quella di Trinidad & Tobago, prima di sedere su quella del Milan. Se dovessimo riassumerla in poche parole la conseguenza logica di tutto ciò sarebbe questa: Carolina Morace è il calcio femminile italiano

La domanda che sorge spontanea leggendo quanto sopra è: perché se abbiamo a disposizione una figura di tale competenza, questa figura non è a capo del movimento? Stanis La Rochelle, per sdrammatizzare, probabilmente ci risponderebbe che è così, perché siamo tutti molto italiani. Per capirne di più allora ho preferito chiedere direttamente a lei, che con la stessa puntualità con cui si faceva trovare in area di rigore ha risposto così:

Quali sono le differenze tra il movimento calcistico femminile italiano e quello degli altri paesi europei? E qual è il percorso da intraprendere per poter raggiungere i vertici?
“Il discorso è molto semplice in Inghilterra, Francia e Spagna le calciatrici sono professioniste, in Italia no. Non sono io a poter dire qual è il percorso da intraprendere perché c’è una divisione calcio femminile in cui non sono stata coinvolta che dovrebbe elaborare un progetto che indichi la strada. Se oggi il calcio femminile ha fatto dei passi in avanti lo dobbiamo al progetto di Michele Uva, quando era direttore generale della Federcalcio. Mi auguro che partendo da quella base stiano portando avanti il lavoro, perché c’è bisogno di muoversi e di farlo in fretta. Se andiamo a vedere quali sono i fondi destinati al calcio femminile nelle altre federazioni ci rendiamo immediatamente conto della differenza. Non credo che ci si debba inventare nulla, basterebbe prendere esempio dagli altri paesi.”

Per la sua storia e le sue competenze lei è l’icona del calcio femminile italiano. Non dovrebbe essere una conseguenza naturale che sia lei ad occuparsi del movimento?
“Questa è una domanda che dovresti fare a chi sta ai vertici della Federazione e ti dirò, sarei curiosa di conoscere la risposta. Alle volte si ha come la sensazione che in un certo senso coloro che hanno una preparazione ed un’intelligenza che li possa portare ad avere un’opinione diversa facciano paura. Per avere un’idea della situazione basta guardare da chi è composta la divisione calcio femminile. C’è una mentalità chiusa, fatta di scelte imposte che io faccio fatica a condividere. Per farti un esempio, sono istruttrice FIFA e UEFA, l’unica tra uomini e donne e tengo corsi per gli allenatori dal 2008. Nei corsi UEFA B in Italia, c’è un determinato numero di ore dedicate al calcio femminile con lezioni tenute da allenatrici italiane, tra cui Milena Bertolini e Betty Bavagnoli ed io sono stata l’unica a cui non è stato chiesto. L’unica cosa che posso fare è andare avanti per la mia strada.”

Alcune voci in Inghilterra la accostano alla panchina della nazionale inglese. Le piacerebbe un’esperienza nel Regno Unito?
“Senza dubbio, io ho allenato 3 nazionali e con il Canada sono riuscita a vincere il CONCACAF Women’s Championship. Essere accostata ad una panchina del genere insieme ad altri grandi nomi non può far che piacere. La realtà inglese è una realtà che mi piace molto. Sono amica molto amica di Hope Powell, quindi sono venuta diverse volte in Inghilterra e ho visto giocare tutte le grandi squadre e seguo molto il calcio inglese. La mia assistente poi è inglese australiana, per cui sì, mi piacerebbe anche poter fare un’esperienza a livello di club.”

Durante il lockdown lei ha analizzato le squadre di Serie A in alcune pillole disponibili su YouTube. Il prossimo weekend ripartirà il campionato. Cosa dobbiamo aspettarci? Lei crede che dopo 4 mesi di stop e giocando in estate le squadre che basano il proprio gioco sul ritmo faranno più fatica delle altre?


“Non solo faticheranno di più, ma rischieranno anche più infortuni. Stare fermo per 3 mesi è tantissimo per un atleta. Anche se ti alleni per tre mesi tutti i giorni, senza gare non si ha il ritmo partita, Quello arriva solo giocando ed è per questo che in fase di preparazione si svolgono le amichevoli. Abbiamo visto che la prima partita giocata è stata abbastanza noiosa, con poco ritmo e poi senza il pubblico. Il pubblico è un fattore importantissimo perché ti regala quella spinta in più e rende inevitabilmente più bello il calcio. Abbiamo visto che in Bundesliga il fattore campo non sta incidendo in nessun modo. I tifosi sono una parte importantissima di questo sport e quella che dovremmo sempre avere in mente. Quindi se penso all’
Atalanta, al Bologna e al Verona di Juric, che fanno dell’organizzazione e della corsa le loro armi, mi viene da dire che potrebbero risentirne maggiormente.”

Le competizioni europee verranno completate disputando una Final 8, una modalità differente rispetto a quella tradizionale. Come si approccia una gara ad eliminazione diretta e quali sono le motivazioni che un allenatore prova a trasmettere al gruppo?
“Ti giochi tutto e non è detto che vinca sempre la squadra più forte, quindi per chi allena una squadra sulla carta inferiore la motivazione sta nel cogliere l’opportunità facendo capire che in quei 90 minuti non conta la lunghezza della rosa. Paradossalmente potrebbero avere più problemi le squadre abituate a vincere e con rose più lunghe, in cui gli allenatori non potranno permettersi di sbagliare la formazione e necessariamente l’11 migliore. Le squadre che prediligono il gioco in verticale potrebbero risentirne di più in quanto si tratta di un gioco più dispendioso, in cui si deve esser bravi a scegliere i tempi.”

Credit Photo: Fabrizio Brioschi