«Allora ho deciso, smetto». Il tono è quasi timido, ma le parole escono chiare e scandite dalla voce nascosta dietro al muro di una carriera lunghissima, che ha fatto spesso da scudo alla sua vita. Patrizia Panico davvero poteva smettere quando voleva, nessuno le ha mai chiesto di farlo, nemmeno l’età. «Ho deciso, smetto», dice mentre semina gol per tornei di calcio a 5 estivi e partite di tre contro tre con le amiche. Era uno scricciolo di bambina quando lei e il pallone si sono guardati e parlati, come fanno due che si amano a prima vista e sanno che sarà per sempre.

Il centravanti, che da vent’anni riempie tabellini e classifiche di marcatori, che voleva essere Maradona ed è finita col numero 9 cucito addosso come una seconda pelle. Serviva per fare i gol, per questo le hanno dato quel numero da bomber e lei li ha fatti contenti tutti. Ne ha segnati più di 600, ha vinto 14 volte la classifica marcatori e 10 campionati italiani. E tanto altro ancora. Ma lei i numeri da record non li considera, non per falsa modestia: «Me li dimentico». Ha iniziato a far gol nel giardino della scuola, per una scommessa, per una contesa. O per strada, sempre con i maschi che provavano a metterla in porta perché una femmina che gioca a calcio non si può sentire. “Patri’ sempre con quel pallone in mano stai!”, sua madre glielo avrà ripetuto mille volte. “A ma’ e mica so’ buoni tutti”, rispondeva lei.

E i numeri dicono che aveva ragione. Verona, Sassari le città dove ha lasciato un segno indelebile, dove ha vinto a ripetizione titoli e coppe. E poi ovviamente la Lazio, la grande Lazio, quella dei colori del cuore. Capitano dell’Italia per definizione, anche se dall’ultima partita nel 2014 di play off ai Mondiali non ha più giocato ma non si è nemmeno ufficialmente ritirata. Però ancora la chiamano il capitano della Nazionale, per il record di presenze, più di 200 e più di 100 gol. L’ultima stagione alla Fiorentina: anche l’anno scorso era combattuta tra smettere e continuare. Stregata dal progetto viola, ci ha creduto. Ha creduto possibile che il calcio femminile, per il quale combatte con tutte le calciatrici da sempre, iniziasse ad assumere le caratteristiche del professionismo. Ci ha creduto e si è dovuta ricredere. Con amarezza ha chiuso la sua esperienza con la squadra toscana, 20 gol a 41 anni. Dopo un anno entusiasmante e impegnativo che l’ha vista anche nel ruolo di Ambasciatrice Uefa in occasione della finale di Champions League che si è giocata a Reggio Emilia. Può fare qualsiasi cosa nel calcio e per il calcio, con il suo bagaglio di esperienza e umanità. Anche la Federazione lo sa e non lascerà che si sprechi una professionalità come la sua. Allora ha deciso, smette e fa sul serio. Ma ricomincia qualcosa, presto sapremo cosa, perché come allora quando bambina su passi ancora incerti chiese al pallone di sostenerla, oggi viceversa il calcio non può, non dovrà fare a meno di Patrizia Panico.