“Ieri (17 novembre ndr) ho fatto il terzo tampone. Sono ancora positiva”, risponde Alice Valgimigli, portiere dell’Arezzo Calcio Femminile, con un evidente velo di tristezza. “L’isolamento è un’esperienza tosta. Sei sola nella tua stanza e parli con te stessa”; proprio dalla sua camera ci parla in videocall. I suoi occhi riflettono un’evidente voglia di tornare in campo. Filtra speranza, coraggio e voglia di indossare i guantoni da portiere per tornare tra i pali delle citte amaranto. “L’Arezzo mi ha fatta innamorare di nuovo del calcio. Prima di questa chiamata avevo pensato al ritiro”, racconta. Non solo il calcio ma soprattutto il Covid; Alice Valgimigli ha messo a nudo la sua esperienza con questa malattia che, purtroppo, non sembra volerla lasciare in pace:

Tu sei una delle ragazze positive dell’Arezzo. Ci racconti della tua esperienza con il virus?
“La società ci aveva messo a disposizione la possibilità di fare un tampone. Lì per lì non pensavo neanche alle conseguenze, stavamo tutte bene, era solo routine. Ho fatto il tempone rapido assieme ad altre cinque compagne. Dopo il test è uscito il dottore che ha chiamato tutte tranne me; mi ha chiesto di andare assieme a lui e mi ha dato la notizia che ero positiva. In quell’istante mi è crollato il mondo addosso; non ci volevo credere. Mi sono sentita nuda, inerme. In seguito ho dovuto confermare il risultato con un tampone molecolare e l’ho fatto subito dopo a Firenze, sempre positivo. Speravo in un falso ma non è stato così. Così mi sono ritrovata in camera mia, senza poter avere contatti con nessuno. E’ stata dura. Chi dice che non lo è deve sperimentare la cosa su se stesso. Nei primi giorni ho assestato il colpo cercando di capire dove possa aver preso il virus, interrogandomi su cosa abbia fatto di sbagliato. Ho sempre indossato la mascherina e rispettato le regole. Alla fine però vai avanti. Sono venti giorni che sono isolata. L’ultimo tampone mi ha scosso ancora di più perché speravo di risultare negativa. Pensavo di esserne uscita dopo quasi un mese e invece… Alla fine hai tanto tempo per trovare un compromesso ed andare d’accordo con te stessa. Almeno per me è stato così”.

Vorresti dire qualcosa a chi pensa che questo virus non esista?
“Io gli augurerei di passare quello che sto passando io, senza cattiveria ovviamente. Però a chi sostiene che non esista dico “aprite gli occhi”. Possiamo protestare sul fatto che la cosa sia stata magari ingigantita, ma esiste. Io sono stata fortunata a non avere mai sintomi gravi. Le terapie intensive sono sempre più piene, questo è un dato di fatto. Il Covid esiste!”

La Serie C è stata sospesa fino al 2/12. Ritieni che sia una scelta giusta?
“Per me avrebbero dovuto sospendere prima. E’ stata una scelta dovuta, non si poteva fare altrimenti. Con la chiusura dei campionati dilettantistici maschili e delle categorie femminili inferiori alla nostra, dovevano fermare tutto. La Serie C non ha un protocollo che ti garantisce tranquillità. Alcune squadre sono monitorate ad alti livelli ma ce ne sono altre che non possono sostenere quella determinata spesa per mantenere alta la guardia. C’era un rischio troppo alto. Ognuno si è gestito come meglio ha potuto. Non avendo risorse elevate però, nelle ultime due giornate di campionato si potrebbe dire che si è giocato con la salute delle calciatrici”.

Come procede la tua avventura nell’Arezzo?
“Molto bene, siamo partite alla grande. Gli obiettivi erano chiari e li stiamo rispettando, la speranza è che possiamo continuare quando riprenderemo il campionato. I presupposti ci sono tutti. Il club quest’anno ha rimescolato le carte in tavola, siamo un gruppo che proviene da tre città diverse Firenze, Arezzo e Perugia. Già dai primi allenamenti ci sentivamo amalgamate. Sin dalle prime settimane non ci è mai mancato nulla. La società è fortemente presente, ci ha messe nelle condizioni di lavorare nel miglior modo possibile”.

Quando e com’è nasce il trasferimento in Amaranto?
“Il progetto era molto stimolante. A me deve scattare qualcosa dentro quando mi propongono qualcosa. Questa “molla” alla fine è scattata e quindi mi sono detta “rimettiamoci in gioco”. Ho scelto una squadra molto buona e l’ho ritenuta un’occasione da non farsi scappare”.

L’obiettivo quindi è la vittoria del girone, ma c’è una squadra che vedi come possibile concorrente?
“L’obiettivo non lo dico perché sono scaramantica ma si capisce. Delle squadre concorrenti penso alla Torres. Anche Bologna e Filecchio si sono rivelate ottime novità. Le squadre vanno poi affrontate sul campo. A fine girone d’andata potremo capire chi sono le nostre vere rivali. Il pallone è rotondo, puoi andare a vincere contro una formazione nettamente superiore alla tua come puoi perdere con una che giudicavi inferiore”.

Calcisticamente sei cresciuta nel Florentia, che ricordi hai di quelle stagioni?
“Bellissimi ricordi. E’ stata una favola. Avevamo appena iniziato in Serie D e il gruppo storico era rodato. I dirigenti ci permettevano ogni anno di affrontare campionati sempre più blasonati. Tutte le favole però alla fine finiscono. A livello personale è venuto a mancare qualcosa. Abbiamo ottenuto grandi soddisfazioni e grandi riconoscimenti; è stato bello ma brutto allo stesso tempo perché sono rimasta malamente per come è finita”.

Come mai hai scelto proprio il portiere come ruolo? Quando hai indossato i guantoni per la prima volta e che emozioni hai provato?
“Io giocavo terzino nella categoria pulcine. Poi è capitato che il portiere che avevamo a disposizione non rientrava più nei piani. Avevamo due scelte, o rinunciavamo al campionato oppure ci alternavamo in porta. Mi misi in porta sin da subito e vincemmo la prima partita, ne fui entusiasta e comunicai al mister la volontà di rimanere tra i pali. Ho fatto la scelta più giusta per me. Avevo dodici anni quando accadde. Non ho provato particolarmente qualcosa: diciamo che mi ci sono ritrovata. Poi l’istinto mi ha detto che era quello il mio ruolo e da allora sono rimasta portiere”.

Hai disputato anche una stagione nel futsal, come mai questa scelta? E perché il ritorno a undici?
“La scelta nasce in seguito al mio addio al Florentia. Ero molto amareggiata, i campi a undici non li volevo più vedere. Ero vicina alla decisione dolorosa di smettere almeno avrei avuto più tempo per me. Un giorno mi ritrovai a disputare un torneo estivo e mi chiesero di provare questa esperienza. In seguito mi convinsero ed ho accettato. Ho disputato un anno in Serie A2 futsal. Poi è arrivata la chiamata dell’Arezzo; dicevo a me stessa di darmi una seconda possibilità. Forse era proprio la chiamata che aspettavo per reagire”.

Qual è il tuo desiderio più grande come calciatrice?
“Non ho un particolare desiderio per me. Più che altro la mia speranza è rivolta alle generazioni future affinché possano giocare da professioniste. Mi auguro che possa esistere un mondo in cui le donne siano più valorizzate”.

Chi è Alice Valgimigli fuori dal campo?
“Sono una normalissima ragazza con un gruppo di amici che vede quotidianamente, quando possibile. Loro sono il mio punto di riferimento. Sono laureata triennale in scienze motorie all’Università di Firenze e attualmente sto prendendo la specialistica. Nel frattempo lavoro insegnando educazione fisica nelle scuole; attualmente sono ferma a causa della chiusura imposta dal Covid”.

Caratterialmente come sei in campo?
“Mi giudicherei insopportabile (ride). Sono molto istintiva. Quando in partita entro in trans agonistica tendo a parlare tantissimo. Mi definisco una tipa dal carattere molto impegnativo sul terreno di gioco”.

Il talento non è tutto, servono anche passione, dedizione e sacrificio. Come affronti la tua vita calcistica nel quotidiano?
“Spirito di sacrificio è la parola d’ordine per me. La giornata è scandita dai ritmi. Quando insegnavo a scuola mi alzavo prestissimo, poi fino a ora di pranzo ero a scuola e alle 18.30 andavo ad allenarmi. Tornavo a casa attorno alle 22 e alle 5 del giorno dopo si ricominciava. Quando dicono che il calcio femminile si basa sulla passione è la verità. Il talento poi fa la differenza solo negli sport individuali non in questo. Puoi essere la calciatrice più forte del mondo, ma senza una squadra che ti supporta non arrivi lontano”.

Qual è la giocatrice più forte con cui hai giocato o con o contro?
“Chiara Marchitelli, quando ho avuto la possibilità di giocarci insieme mi ha insegnato tanto. Mi ha preso molto in giro ma alla fine abbiamo costruito un rapporto duraturo. Ancora oggi se sbaglio o faccio qualche cappellata lei si “incazza” molto; mi chiama ed evidenzia quali sono gli errori che ho commesso”.

Come hai vissuto il primo lockdown?
“Male. Per noi ragazzi stare chiusi in casa e non avere la possibilità di giocare neanche in strada o in giardino è difficile. Per me è stato come privarmi dell’aria che respiro. Esiste la tecnologia certo, ma ha dei limiti. Sono un’amante dei rapporti umani, li ritengo importanti e mi piace coltivarli”.

Cosa comporterà l’avvento del professionismo per voi e per il movimento?
“Io penso che la crescita del movimento sia finalmente cominciata. Il livello dei campionati si sta alzando, sia in Serie A sia in Serie C. E’ un movimento che ormai va avanti da solo. Mi auguro che il professionismo avvenga e che non sia una cosa solo annunciata. Me lo auguro per le donne, per il calcio femminile e per gli altri sportivi non ancora professionisti. Sarebbe bello se, come Cristiano Ronaldo, anche le donne potessero vivere solo con il calcio. La maggior parte delle ragazze si allena la sera avendo un impiego; sono pochissime quelle che possono vivere solo di questo calcio. Il professionismo ci garantirebbe una maggiore concentrazione sulla competizione sportiva con il risultato di un notevole innalzamento del livello delle atlete. Siamo però davanti ad un processo molto lungo; non penso che la prossima stagione sia quella dell’avvento come tutti dicono. Per attuarlo bisogna cambiare parte di una legge e sappiamo bene che non è una cosa immediata. Secondo me il prossimo anno arriverà un neo-professionismo; servono fondi per attuarlo e ce ne sono pochi da mettere nel pallone, specialmente in questo periodo”.

Tutto questo sviluppo perché solo ora?
“Quando la Nazionale femminile è andata al mondiale e i maschi non ce l’hanno fatta, gli italiani si sono concentrati solo sulla squadra femminile. Essendo una nazione che vive molto il calcio sarebbe stato assurdo ignorare totalmente la rassegna femminile. Tutto ciò si è rivelato un big bang a livello mediatico che ha consentito al calcio in rosa di entrare nella cronaca sportiva”.

Dove ti vedi da qui ad un paio d’anni?
“Sempre in campo, nella speranza di tornaci presto e di vincere ancora. Più in là non saprei; vedremo. Ad un certo punto penso che ogni calciatrice debba prendere la sua strada. Se le esigenze che arriveranno mi consentiranno di proseguire l’attività calcistica io andrò avanti. Quando però arriverà il momento di mettere le cose da parte allora dirò addio al calcio giocato. Attualmente comunque non ci sto pensando minimamente”.

Credit Photo: Andrea Lisa Papini – Fotografa ufficiale Arezzo Calcio Femminile