Il calcio italiano è in crisi, è risaputo.
Le società non hanno fondi, non si investe più sui giovani, i grandi campioni bistrattano il Belpaese. Sempre in Italia, c’è poi un’altra tipologia di calcio, non tanto diversa da quella che siamo abituati a goderci la domenica pomeriggio sul palinsesto, che vorrebbe affermarsi e ritagliarsi uno spazio nel panorama nazionale: il calcio femminile.
Si tratta di un problema italiano, o nel continente ed addirittura oltreoceano il calcio femminile ha più risalto? In Paesi come la Germania, l’Inghilterra e gli USA, il calcio femminile vanta un enorme seguito e soprattutto un gran numero di tesserate. Nel 2012 in Germania il numero delle tesserate aveva superato il milione, in Canada erano 350 mila, in Francia 90 mila, in Inghilterra 80 mila, negli Stati Uniti, anche grazie ad una nazionale che ha conquistato moltissimi trofei, tra cui l’ultima Coppa del Mondo, ad oggi si contano più di 15 milioni di praticanti di questo sport. Questi dati rendono il calcio femminile assai appetibile, anche dal punto di vista commerciale, con conseguenti investimenti nel settore che ne favoriscono il continuo sviluppo. In Italia ci si attesta sulle 20 mila unità.
Se il calcio femminile italiano è indietro dal punto di vista mediatico e commerciale, le cose non vanno meglio sotto il profilo giuridico.
Come è ben noto, la legge 23 marzo 1981 n. 91 conferisce la qualifica di professionisti solo ai calciatori maschi, inquadrandoli come lavoratori subordinati. Le calciatrici sono escluse dal campo di applicazione della predetta legge, con la conseguenza che non sono considerate professioniste e quindi nemmeno lavoratrici. Ciò comporta una grave discriminazione nei confronti delle donne che si vedono private di una ampia gamma di tutele lavoristiche, tra cui per esempio il diritto alla maternità.
Tuttavia, è bene precisare che la legge 91/1981 è una legge italiana. All’estero la realtà è completamente diversa. Recentemente l’Uefa ha redatto un report, relativo la scorsa stagione sportiva, analizzando il numero della atlete considerate professioniste nei rispettivi Paesi.
I dati più significativi ce li fornisce la Svezia che vanta 423 professioniste. Altri Stati estremamente sviluppati sotto questo profilo sono l’Inghilterra e la Russia (rispettivamente con 226 e 217 professioniste). L’Italia è a quota 0, come Gibilterra e Liechtenstein, per intenderci. “E pur si muove” direbbe Galileo. In effetti qualcosa si sta muovendo anche sul suolo italico. L’anno scorso con due distinti comunicati ufficiali, la FIGC ha intrapreso alcune iniziative volte a garantire la presenza di squadre femminili all’interno di club di Serie A ed a favorire l’acquisizione, da parte dei club professionistici, del titolo sportivo o di partecipazioni delle rispettive squadre femminili.
Si tratta di un passo in avanti per il calcio femminile, ma il gap da colmare rispetto ad altre realtà straniere è ancora assai ampio.
Cristiano Novazio
Avvocato in Milano, Esperto di Diritto Sportivo
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