Negli ultimi mesi sono stati pubblicati, in questo e altri siti o giornali, articoli che consideravano la differenza culturale tra l’Italia e gli altri paesi europei come quel fattore, quell’elemento che determina il gap tra il nostro campionato di calcio femminile e quelli degli altri paesi comunitari.
Il confronto più adeguato è necessario proporlo con la Spagna e con la Liga Iberdrola, campionato e paese più simili al nostro anche per l’attuale crisi politica: siamo sicuri che sia proprio la cultura (intesa anche come cultura sportiva) a fare la differenza? siamo sicuri che gli altri paesi siano tanto migliori rispetto all’Italia?

La Spagna infatti non è solo quel paese che permette i matrimoni alle coppie omosessuali, o quel paese in cui si celebra il gay pride o il paese patria degli animalisti (vedi lotta contro le corride).
La Spagna è anche quel paese in cui a livello di calcio femminile esistono ancora le clausole anti-gravidanza. Il problema è talmente grave e attuale che il passato mese di aprile è stata presentata una proposta di legge [1] nel Parlamento spagnolo per abolire tale “abitudine” contrattuale sportiva.
Queste clausole sono quelle che vengono fatte firmare ancora oggi, nel 2018, alle giocatrici e che prevedono la rescissione immediata del contratto non appena comunicato lo stato di gravidanza della giocatrice stessa. Di conseguenza, le calciatrici a causa di queste clausole illegali si vedono obbligate a dover scegliere tra continuare la carriera sportiva o essere madri, un qualcosa che non è proprio conforme a diritto.
Il contratto della giocatrice in caso di gravidanza infatti potrebbe essere sospeso e la stessa giocatrice potrebbe essere reintegrata nel club dopo il congedo di maternità, come qualsiasi altra lavoratrice.

Dal punto di vista del diritto sportivo spagnolo poi, il Real Decreto n. 1835/1991 del 20 di dicembre, all’art. 24 stabilisce: “La denominazione delle leghe professionistiche deve includere l’indicazione della modalità sportiva in questione. Non ci può essere più di una lega professionale per ogni modalità sportiva e sesso a livello statale“.
Questo decreto rappresenta ancora oggi l’ostacolo per la creazione di un campionato professionistico spagnolo femminile: perché venne emanato? perché non può esserci una lega femminile? Parlare poi di miglior cultura sportiva è sbagliato perché se andiamo ad analizzare l’affluenza media alle partite della Liga Iberdrola, è molto bassa: tra i 1000 e i 2000 spettatori.

Bisogna anche considerare che l’affluenza media della stagione appena conclusa è stata alzata da partite come Atletico Madrid-Madrid CFF, con 22.000 spettatori.
Nessuno ha pensato che i tifosi siano andati al Wanda Metropolitano anche per vedere il nuovo stadio dell’Atletico grazie all’ingresso a 5€? Nessuno ha pensato che l’alta affluenza di quella partita è stata determinata anche perché i biglietti per l’Atletico maschile costano 10 volte tanto? Io ero presente a quella partita e il dubbio mi è venuto.
Il dubbio poi si è trasformato in certezza per la partita tra Atletico Madrid e Espanyol, giocata nel centro sportivo di Majadahonda dove gioca normalmente l’Atletico: a quella partita ci saranno state 200 persone. 

Quindi parlare di cultura sportiva migliore negli altri paesi è sbagliato perché sono i clubs, sono gli sponsor, sono gli investimenti economici a fare la differenza: tutti i più importanti clubs spagnoli, escluso il Real Madrid, hanno già la propria squadra femminile.
Quello che è profondamente diverso, è la visione imprenditoriale, la visione commerciale che si ha in Spagna: il campionato femminile prende il nome dall’Iberdrola, la principale azienda distributrice di luce e gas che paga 5 milioni all’anno per il calcio femminile.
Allo stesso modo, la Liga (la lega maschile) aggiorna quotidianamente la sezione del proprio sito web dedicata al campionato femminile e sta cercando di aumentare la visibilità del campionato nelle tv, con l’obiettivo di vendere i diritti televisivi del campionato femminile a cifre molto alte. La cultura infatti è la stessa, anzi, se vogliamo in Spagna ci sono aspetti peggiori rispetto all’Italia: nel paese iberico ci sono norme giuridico sportive, come la legge dello sport del 1990 che non accennava minimamente al calcio femminile. Dall’altro lato, è ancora vigente il Real Decreto 1835/1991 che come abbiamo visto, discrimina il calcio femminile; in Italia purtroppo le norme non ci sono, basti pensare che non è mai stata emanata una legge statale dello sport come quella spagnola del 1990.

La speranza è che in futuro vengano emanate delle norme giuridico sportive italiane fatte nel rispetto delle giocatrici e dei diritti fondamentali: in quel caso si che la cultura sportiva farebbe la differenza.


[1] Agencia EFE, “El parlamento pide eliminar las cláusulas antiembarazo a mujeres deportistas”, en http://www.lavanguardia.com/politica/20180405/442207404999/el-parlamento-pide-eliminar-las-clausulas-antiembarazo-a-mujeres-deportistas.html

Silvio Bogliari
Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Perugia, ha completato la sua formazione giuridica con il master in diritto internazionale presso l’università Complutense e il master in diritto sportivo presso l’Escuela Universitaria Real Madrid. Ex giocatore del Città di Castello Calcio e del A.S. Cerbara.