Photo Credit: Joanna Borella

Nelle corse settimane abbiamo parlato di un libro che, attraverso il calcio, si narra la storia di amicizia e di unione di culture, ovvero Le Ragazze di Mister Jo, volume pubblicato da Mondadori nel 2022 e scritto dalla giornalista Stefania Carini e da Joanna Borella.
Quest’ultima, nata nel 1966 e che nel 1967 divenne la prima bambina di origine indiana ad essere adottata in Italia, è un’allenatrice di calcio, nonché Presidente della Scuola Calcio Femminile Bimbe nel Pallone.
La nostra Redazione ha raggiunto Joanna per risponderci ad alcune domande.

Chi è Joanna Borella?
«Sono un’allenatrice di calcio che nel 2015 ha fondato la Scuola Calcio Femminile Bimbe Nel Pallone. Sono nata nel 1966 in India, dove i miei genitori naturali non potevano più mantenermi, all’età di qualche mese mi hanno lasciata in un orfanotrofio vicino a Bombay. Poi ho avuto la fortuna che il 12 novembre del 1967 di è essere stata adottata da una famiglia italiana e nonché essere la prima adozione internazionale in Italia, perché ai tempi c’erano le adozioni, ma erano solamente nazionali. Sono entrata a far parte della famiglia Borella, ove erano già presenti due figli naturali, due maschi, Sebastiano e Giacomo, mia sorella Cristiana, anch’essa adottata, mia mamma Raffaella e papà, che io chiamo babbo, Francesco».

Chi ti ha dato la passione per il calcio?
«Quando sono arrivata avevo la fortuna di avere due fratelli in casa che si muovevano e giocavano col pallone, una cosa strana che non avevo mai visto, ma mi è piaciuto molto. Ho iniziato ad inseguire i miei fratelli col pallone e poi col tempo erano loro che seguivano me e pallone. E poi stato proprio un mezzo per me di comunicare con la mia nuova famiglia».

Da nove anni presiede la Scuola Calcio Femminile Bimbe Nel Pallone. Cosa le ha portato a creare questa società riservata alle bambine che vogliono avvicinarsi al mondo del calcio?
«L’ho pensata perché io ho sempre avuto questa passione. Come dicevo prima è stato per me è un mezzo di comunicazione non solo con la mia famiglia, ma con i miei compagni e con gli amici. Tuttavia, quello che manca ancora al giorno d’oggi e di cui io sto cercando di occuparmi almeno nella mia zona, è che l’attività di calcio è vista ancora come un tabù e non viene inserita nelle scuole come attività sportiva. L’altro motivo è che io ho giocato con soli maschi fino all’età di quarant’anni: bellissima esperienza, ma ho trovato giusto creare una Scuola calcio a Cinque tutta al femminile a partire dal Presidente, mister e allenatore».

Per tutti sei Mister Jo. Com’è nato questo appellativo?
«Una volta eravamo arrivate al campo, e vedevo che a bordocampo c’erano gli allenatori dell’altra squadra che venivano chiamati mister: da lì è nato l’appellativo Mister Jo e, per identificarmi, ho iniziata a metterlo anche sulle magliette e sulle felpe, in modo che la gente capisse il mio ruolo».

Tu e la giornalista Stefania Carini avete scritto due anni fa il libro “Le Ragazze di Mister Jo”. In che modo si è sviluppato questo progetto narrativo?
«Durante il periodo del lockdown facevo gli allenamenti a distanza con le bambine della Scuola Calcio, e la giornalista Stefania Carini m’ha contattato, scrivendo insieme un libro che poi lei l’ha pubblicato sul “Effetti personali”. Da lì è stato visto d a diversi giornalisti, in particolar modo da Mario Calabresi (giornalista de “La Gazzetta dello Sport”, ndr) che ci ha proposto di scrivere un libro su questa storia: da lì è arrivata la chiamata della Mondadori,  permettendoci di creare “Le Ragazze di Mister Jo”, dove si alterna la mia autobiografia con alcune storie inventate che riguardano però la nostra Scuola Calcio».

Quanto è importante che avere un libro può essere un viatico per l’inclusione e per l’integrazione?
«Secondo me è molto importante. Lo scopo è quello mandare un messaggio di positività che, nonostante viviamo in un mondo assurdo, strano, fetente, si può ancora trovare degli spazi per sé stessi, e io ho visto nella risposta delle bambine».

L’Italia, su questi punti, che passi ha fatto?
«Penso che ci sia più apertura. Per esempio, io vivo in Via Padova/Nolo, che è una zona di Milano multietnica e molto integrativa, ma, come giusto che sia, ha anche le sue difficoltà».

Cosa manca al calcio femminile italiano per diventare sempre più importante?
«Manca ancora nel nostro Paese la cultura. Certo, l’apertura femminile è arrivata tantissimo, ma dobbiamo farlo davvero, come tutte le società, le scuole europee intorno a noi, senza andare in America, che sono stati tra i primi, ma guardiamo la Francia, guardiamo la Spagna, hanno tutti i college per gli studenti, per le donne, le bambine, le ragazzine, giocare a calcio».

Quali sono gli obiettivi che vorresti centrare nel 2024?
«Cercare di diffondere il più possibile questo messaggio: non devi trovare nessuno che ti deve dire che tu sei troppo vecchia per fare una cosa che a te piace».

La Redazione di Calcio Femminile Italiano ringrazia Joanna Borella per la disponibilità.

Elia Soregaroli
Nato il 12 luglio del 1988 a Cremona, Elia ha sempre avuto una grande passione per il mondo del giornalismo, in particolar modo a quello sportivo. Ha tre esperienze lavorative in questo settore, IamCalcio, ManerbioWeek e BresciaOggi, un workshop con l'emittente televisiva Sportitalia, e uno stage curricolare con il Giornale di Brescia. Si avvicina al calcio femminile nel 2013 grazie ai risultati e al percorso del Brescia CF e da allora ha cominciato ad occuparsi anche del movimento in rosa.