Si chiama Jawahir Roble e la sua storia assomiglia a quella di un romanzo. A tratti drammatico. Ma anche con tanti elementi di speranza e di riflessione. Jawahir, per gli amici JJ, è una donna che ormai ha conquistato a tutti gli effetti il suo status di cittadina britannica: ha il passaporto del Regno Unito anche se ha mantenuto la sua radice somala e la sua identità musulmana, ha 26 anni ed è arrivata in Inghilterra scampando agli eccidi di massa: oggi è uno degli arbitri più apprezzati del paese.

Jawanir aveva soltanto 10 anni quando i suoi genitori riuscirono a scappare da un paese sconvolto da guerra civile e pulizie etniche e in modo molto avventuroso riuscirono ad arrivare fino a Londra. Nessuno di loro parlava inglese: ottennero tutti lo status di rifugiati politici. E fu l’inizio di una vita quasi normale. Il luogo dove arrivarono fu in un certo qual modo simbolico: Wembley, la culla del calcio, a poche centinaia di metri di distanza dallo stadio della nazionale dei Lions.

Jawahir oggi è una donna simbolo. La sua storia è diventata estremamente significativa per migliaia di donne che nel rispetto di una religione, per loro non è mai facile da vivere al femminile. Anche per chi cerca la propria affermazione. E lei la deve proprio al calcio: “Amavo profondamente il calcio anche quando ero in Somalia e giocavo con i miei amici in villaggio, ero molto brava ma non credevo che questa potesse diventare una professione, qui a Londra mi sono trovata a giocare a scuola, mi hanno incoraggiata ad andare avanti e c’è stato un momento in cui il mio sogno era addirittura quello di diventare professionista, forse addirittura di giocare per la nazionale inglese.
La palla fu uno dei primi regali che ho ricevuto qui a Londra e ogni volta che uscivo la portavo con me, a scuola e al parco. A poco a poco sono arrivate le amicizie e anche le parole: ricordo di avere iniziato a parlare proprio con i miei compagni di gioco, credo che una delle prime frasi che ho imparato sia stata ‘passa la palla’.”

calcio è diventato il suo linguaggio. É stato attraverso lo sport che Jawahir è riuscita a comunicare e farsi capire, non ha mai abbandonato il sogno di giocare a calcio e di essere impegnata nello sport anche se ha cambiato obiettivo:
“I miei genitori hanno sempre creduto molto in me e non mi hanno mai impedito di fare nulla. Ho sempre giocato a pallone anche quando ho cominciato ad avere i primi risultati importanti negli studi e si stava avvicinando la possibilità di frequentare l’università. A quel punto ho dovuto fare una scelta e ho scelto di continuare a studiare e laurearmi senza tuttavia abbandonare il calcio. Ho seguito un corso d’arbitro e mi sono ritrovata volontaria nella Lega femminile locale”.

Il fatto che si presenti al campo indossando un jihab, il tradizionale abito con copricapo delle donne musulmane, è stato un motivo di sorpresa solo inizialmente. Oggi la conoscono tutti: Jawahir è un direttore di gara stimato e con una grande carriera davanti, anche se ha solo 26 anni. Il suo rapporto sul campo, anche quando dirige gare maschili, è assolutamente paritario:
“Possono esserci discussioni ma non ho mai avuto esperienza di razzismo o sessismo, se mi criticano è perché non sono d’accordo con quello che ho appena fischiato. Di solito a fine partita arrivano e si scusano, e lo apprezzo molto”.

La storia di Jawahir Roble, che ha già diretto gare di una certa importanza del campionato pro giovanile e a breve farà il suo esordio nelle leghe maggiori del paese, è diventato un documentario, prodotto dalla UEFA. Si intitolerà “We Play Strong” e avrà l’incarico di lanciare un messaggio a tutte le potenziali donne arbitro d’Europa di fronte a una mancanza di vocazione di fischietti maschili ormai drammatica un po’ ovunque.

JJ nel frattempo ha ottenuto l’abilitazione della Football Association inglese per arrivare fino alla Premier League e si è laureata. Con il massimo dei voti.

Credit Photo: The Sun