Nella SheBelieve Cup c’era tanta attesa per scoprire la nuova Inghilterra di Phil Neville, alla sua prima uscita ufficiale sulla panchina delle Leonesse. L’esordio non è stato malvagio, in quanto è arrivato un ottimo secondo posto dietro solo agli USA, vittoriosi nello scontro diretto grazie alla sfortunata autorete della Bardsley. Un bottino reso positivo anche dalla vittoria per 4-1 contro la Francia e dal buon pari per 2-2 contro la Germania. Ad Orlando non sarà arrivato il trofeo ma si è fatto sicuramente un bel passo in avanti nel ridurre il gap con i top team.

«THE LAST STEP OF CLIMBING MOUNT EVEREST
IS ALWAYS THE HARDEST AND THAT’S WHERE WE ARE NOW»
Questa è la metafora usata da Phil Neville per fare il riassunto della sua esperienza statunitense. In questo momento la nazionale inglese è ad un passo dal piantare la propria bandierina sulla cima del Monte Everest, che è sinonimo di successo (o anche del Mondiale in maniera velata).
Dal punto di vista fisico e tattico non manca nulla alle Leonesse, le quali hanno dimostrato ampiamente di potersela giocare a viso aperto praticamente con tutti, ma nonostante ciò non è ancora abbastanza per raggiungere l’Olimpo.
Per compiere quel passo decisivo manca ancora qualcosa, ma cosa esattamente? Forse una prima risposta può arrivare dalla fragilità difensiva che le Inglesi hanno dimostrato in questa edizione della SheBelieves Cup. Nel totale di tre partite hanno concesso quattro reti, una media quasi perfetta di una a partita. In particolare ben tre sono stati degli autogol, tutti con protagonista la povera Bardsley.
Da una parte va detto che c’erano alcune defezioni importanti, come l’assenza di capitan Steph Houghton o quella di Anita Asante (infortunatasi nel corso della prima partita), ma dall’altra va sottolineata una mancanza di comunicazione e un sistema di gioco non ancora assorbito al 100%. Nonostante ciò non sono mancate le liete notizie. Su tutte spicca il buon esordio di Abbie McManus, difensore classe 1993 di proprietà del Manchester City.
Gettata nella mischia già contro la Francia, ha risposto molto bene garantendo ritmo ed intensità. Ed esattamente queste ultime due discriminanti sono state dei punti chiave dell’esperienza statunitense della truppa di Phil Neville.
Infatti le Leonesse hanno avuto l’occasione di confrontarsi con tre delle realtà più importanti a livello mondiale, che, al momento, sembrano andare ad una velocità, sia di gamba che di pensiero, leggermente maggiore.

«DEFEAT HURTS
AND YOU HOPE NEXT TIME IT KICKS THEM ON»
Molte volte si dice che l’arte di vincere si impara dalle sconfitte. Sembra saperlo bene anche Phil Neville, che nel corso della consegna del trofeo agli USA ha fatto rimanere in campo le sue ragazze per assistere alla cerimonia. Un modo, non così banale, per forgiare il carattere della sua squadra, perché quando si esce sconfitti da una sfida si soffre e questo ricordo, seppur doloroso, bisogna scolpirlo nel cuore e nella mente per far sì che, la prossima volta, quel sentimento di delusione possa essere trasformato in rabbia agonistica. Ma da cosa può ripartire Phil Neville?
Quanto di buono è stato fatto dalle Leonesse? Innanzitutto dall’identità dimostrata. Infatti nell’arco di tutto il torneo, le inglesi si sono distinte per un atteggiamento coraggioso ma senza inutili eccessi. L’input dato dal nuovo ct è stato quello di giocare a viso aperto contro tutti, mettendo da parte ogni possibile timore reverenziale. Questo atteggiamento ha prodotto la prova autoritaria contro la Francia e una prestazione di carattere contro la Germania. Contro gli USA, purtroppo, si è pagato dazio per la tensione iniziale, ma è stato comunque apprezzabile il forcing finale culminato con il palo colpito da Ellen White. Il merito di Phil Neville è stato quello di non entrare a gamba tesa sul sistema di gioco, ma ha cercato di moderarlo a sua immagine e somiglianza.
Ha saputo mantenere la stessa impronta creata dal suo predecessore Sampson, concedendo tuttavia maggiore libertà di azione ed espressione alle undici interpreti in campo. Una delle giocatrici che più ha beneficiato di questo sistema è stata Fran Kirby, centravanti del Chelsea, utilizzata nell’inusuale posizione di numero 10. Usata come “Pivotal player”, alcune lacune per l’inesperienza nel ruolo sono state subito colmate dalla sua visione di gioco e dalla sua rapidità nel “decision-making”. Intorno a lei, poi, a fare il resto ci hanno pensato Toni Duggan e Nikita Parris, letali in fase di finalizzazione.

WHAT’S NEXT?
TRA GALLES E SOGNO MONDIALE
 Archiviata questa SheBelieves Cup, adesso è tempo di pensare alla Road to France per Phil Neville, che tra meno di un mese dovrà affrontare uno dei crocevia più importanti dell’annata, ovvero il derby britannico contro il Galles, che andrà in scena il prossimo 6 Aprile in quel di Southampton.
Fondamentale sarà confermare ciò che di buono visto nell’avventura di Orlando, dare continuità a quel processo di crescita e consapevolezza, avendo lo stesso atteggiamento e la stessa grinta visti nel finale della partita contro gli Stati Uniti. Il Galles (35esimo nel ranking FIFA) sarà un avversario ostico (cllcca qui per conoscerlo nel dettaglio), magari non propositivo come USA, Germania e Francia, ma comunque molto pericoloso. Obiettivo vincere a tutti i costi, per continuare la streak vincente di tre partite consecutive e mettere una pietra miliare sulla qualificazione al Mondiale.

Credit Photo: www.sports.yahoo.com

Marco Pantaleo
Classe ’94. Grande appassionato del calcio femminile, si occupa principalmente del settore internazionale. Dalle competizioni UEFA a quelle FIFA, passando per Algarve e Cyprus Cup. Dovunque rotola un pallone, c’è sempre una storia affascinante da raccontare. Aspirante giornalista, il sogno del cassetto è quello di diventare un telecronista, per poter accompagnare le grandi imprese (calcistiche e non) con la mia voce.