Tecnico d’esperienza, con un passato da vice allenatore a Como e sulla panchina del Varese, Michele Ardito ha scelto da due anni di passare al calcio femminile. Dopo una prima esperienza di alto livello con l’Atalanta Mozzanica, con cui ha chiuso la stagione al quinto posto, nella passata stagione si è seduto sulla panchina della Florentia San Gimignano, avventura però terminata anzitempo con l’esonero da parte del club toscano, A La Giovane Italia ha raccontato le sue avventure nella massima serie femminile, dando un giudizio sul finale del campionato di Serie A.

Mister, da due anni hai scelto di passare al calcio femminile. Hai notato differenze con quello maschile?
“Personalmente, non ho trovato difficoltà e differenze. Certo, non bisogna confondere i carichi di lavoro, perché i fisici sono completamente diversi, ma da un punto di vista tattico, di organizzazione e psicologico ho riscontrato le stesse difficoltà. L’unico vero gap è nei numeri, perché ci sono meno calciatrici che calciatori. La vera differenza è nel modo di relazionarsi: ho notato che le donne sono più testarde e più curiose nell’affrontare le sfide che si presentano loro in campo e fuori. Spero che la mia prossima panchina sia femminile. Certo, se ne arrivasse una maschile non mi lamenterei, ma sia a Bergamo che alla Florentia ho sempre trovato organizzazioni e staff di alto livello”.

Qual è secondo te la situazione attuale del calcio femminile italiano?
“Meno chiacchiere e iniziamo a dare la stessa importanza del calcio maschile, almeno da un punto di vista di diritti. Queste giocatrici meritano rispetto. Sono entrato in questo mondo da due anni, ma mi sono reso conto subito dei sacrifici che fanno queste ragazze, con un budget sempre inferiore rispetto a quello stanziato per i colleghi. Spesso, queste donne sono obbligate a lavorare oltre che allenarsi tutti i giorni e dover affrontare le difficoltà dei ritiri e delle lunghe trasferte. Io spero che si arrivi presto al professionismo: il nostro movimento è già in crescita, dobbiamo raggiungere il livello delle altre nazioni europee. Questo aiuterebbe anche la nazionale femminile, che ha tante giovani che spingono per crescere e entrare nel giro. Possiamo iniziare a dire la nostra a livello internazionale”.

Hai già avuto offerte per la prossima stagione?
“Ho fatto solo qualche chiacchierata, niente di concreto. Vorrei rimanere in categoria, accetterei un profilo più basso solo se ci fosse un progetto. Arrivasse una chiamata dal calcio maschile accetterei anche qualcosa di diverso, ma come detto prima mi piacerebbe restare nel calcio femminile”.

Venendo agli uomini, che impressione hai avuto da questa stagione post-Covid?
“È stata una stagione surreale e anomala, speriamo non succeda mai più. Un campionato a due facce in cui, più che la qualità tecnica, è emersa quella atletica, tant’è che si è ridotto un gap tecnico tra una squadra come la Juventus e una come il Sassuolo. I valori sono più alti ma si è visto poco: giocare ogni 72 ore non ha mai permesso di fare qualcosa tatticamente e tecnicamente. È stato fondamentale il lavoro dei preparatori atletici, che troppo spesso sono lasciati ai margini della discussione ma sono stati fondamentali”.

Ci sono stati verdetti inaspettati?
“I valori sono quelli che si erano visti anche all’inizio del campionato. Mi ha sorpreso in negativo la Juventus perché ha grandissimo potenziale, ma non penso che il problema fosse solo Sarri. La Juve non aveva veri rivali e se ci si sofferma solo sulla classifica si commette un errore: i punti tra i bianconeri e l’Inter, secondo me, sono più di quelli che ha mostrato la graduatoria alla fine”.

Quindi non ti ha impressionato nessuno dopo la sospensione.
“L’unica squadra che secondo me ha cambiato totalmente registro in positivo è stato il Milan, che ha fatto quadrato intorno all’allenatore, giocando con la mente libera. Credo che i tanti giovani rossoneri abbiano anche beneficiato di giocare senza un pubblico che ti fischia al primo stop sbagliato. Abbiamo scoperto molti ragazzi interessanti, ma non abbiamo fatto passi avanti come gioco. A parte il Milan si è visto poco: la Lazio non è mai ripartita, l’Inter ha fatto il suo campionato di temperamento, perdendo però entrambi gli scontri diretti abbastanza nettamente, la Juventus ha vinto grazie alle qualità tecniche dei suoi singoli più che per un’idea collettiva di gioco”.

Quindi credi che il giocare senza pubblico abbia favorito l’esplosione di alcuni giovani?
“Proprio su questo argomento sto per tenere un corso sull’aspetto psicologico di non avere un pubblico. Ci stiamo abituando a delle situazioni che non sono normali e che dovremo accantonare per tornare allo status quo. Non è normale vivere con la mascherina, non è normale non avere i tifosi. Il giorno in cui si tornerà a giocare con 60.000 persone che ti fischiano o ti incitano i giocatori dovranno ricominciare a sopportare la pressione”.

E da questo chi ne uscirà più forte?
“Quelli con più mentalità. Magari potrò essere smentito, ma io sono sicuro che squadre come il Milan con il pubblico avrebbero fatto più fatica, sono riusciti a svilupparsi perché non avevano la pressione e le difficoltà di giocare in situazioni di ostilità. Perché squadre come Sassuolo, Fiorentina, Atalanta sono uscite bene alla distanza in questo campionatino estivo? Perché i loro giovani si sono potuti esprimere senza la pressione del pubblico, riuscendo a mostrare le loro qualità. Ora sta a loro mantenere lo stesso livello quando tornerà ad esserci il pubblico”.

Credit Photo: Sergio Piana