Con al braccio la fascia di capitano dell’Unterland Damen, Federica Turrini è una storica di questa squadra del Trentino. Classe ’93, inizia a giocare prima a pallavolo per poi arrivare all’età di 14 anni a scoprire la passione per il calcio fino agli esordi in Serie B. E’ laureata in psicologia e tra i tirocini, tra cui quello all’Ospedale di Bolzano, in questa stagione partecipa al Campionato di Serie B del Girone C.

Da dove è nata la passione per il calcio?
Fin da piccola a casa mia si sono sempre guardate le partite dell’Inter, dunque in primis è stato mio padre a trasmettermi questa passione. In più, abitando in un paesino con pochi abitanti l’estate o nel tempo libero mi trovavo spesso al campetto con i miei amici a giocare a calcio. Tra i 5 e i 10 anni ho giocato a pallavolo, ma poi la società è fallita e di conseguenza per continuare a praticare questo sport i miei genitori mi avrebbero dovuto portare piu volte durante la settimana a Bolzano, dunque a 30 km da dove abitavamo e non erano disposti a fare questi viaggi quasi ogni giorno. Mio papà dunque mi ha cercato una squadra di calcio e mi ha proposto di provare qualcosa di nuovo: l’amore per questo sport è nato da subito.

Cosa significa portare la fascia al braccio? Implica piu pressioni e responsabilità sia dentro che fuori dal campo?
Mi è stato insegnato che la fascia al braccio implica “oneri” e “onori”. Sicuramente essere capitano implica avere maggiori responsabilità: sai di dover fungere sempre da esempio per le tue compagne e dunque sai che ogni allenamento devi allenarti al 100%, perchè se non lo farai tu nemmeno le tue compagne si sentiranno in dovere di farlo. Essere capitano implica cercare di mediare in qualsiasi momento eventuali problemi all’interno del campo, implica incitare le proprie compagne anche quando le cose non stanno andando per il verso giusto, implica prendersi la squadra tra le braccia e ricordare ad ogni giocatrice quanto sia essenziale la sua presenza. Pressioni maggiori personalmente non ne sento, perchè al di là della fascia ho sempre dato in campo tutto quello che avevo. La differenza che sento portando la fascia al braccio invece, è l’onore e l’orgoglio di rappresentare questa squadra e questa società. Accanto a me ho la fortuna di avere non solo giocatrici speciali, ma proprio persone fantastiche, che condividono con me questa passione e che fortunatamente hanno la mia stessa mentalità: con cuore, gambe, mente e tanto sacrificio si ottengono tutti gli obiettivi che ci si pone. Ho la fortuna di aver trovato ragazze pronte a combattere ogni partita come se fosse l’ultima battaglia della vita e questo mi rende infinitamente orgogliosa di loro e di poterle rappresentare. Allo stesso modo, mi rende infinitamente onorata rappresentare la società che mi ha cresciuta da quando era bambina: il presidente e tutti gli altri membri non svolgono solamente il loro ruolo societario, ma si preoccupano e occupano di noi ragazze anche al di là del semplice campo da gioco, come se fossimo piccole figlie acquisite. E per questo non smetterò mai di ringraziare ognuno di loro.
Quindi se ad oggi dovessi rispondere a questa domanda con una sola frase, direi che per me portare la fascia al braccia è come per un soldato semplice venir messo in prima linea in guerra: per quanto difficile possa essere, sai che per difendere la tua patria ne varrà sempre la pena.

Quale obiettivo stagionale vi siete poste?
Di fare e dare il nostro meglio. Per la società ovviamente la cosa più importante a inizio anno era non retrocedere e magari riuscire a raggiungere la stessa posizione dell’anno scorso. Poi in realtà nel corso del campionato ci siamo rese conto di valere molto di più di quanto ci aspettassimo e ad oggi un po iniziamo a sognare in grande, sentendoci il piccolo Leicester City della situazione. Per scaramanzia però non dico qual è esattamente il nostro sogno: per ora posso affermare però che ci stiamo togliendo grandi soddisfazioni e che non abbiamo intenzione di fermarci qui.

Cosa ne pensi dell’entrata delle società maschili professionistiche nel calcio femminile?
Credo che per il calcio femminile sia un grande traguardo. Il fatto che ogni squadra maschile d’ora in poi dovrà averne anche una femminile consentirà sicuramente a noi donne di farci conoscere maggiormente e anche di crescere professionalmente. Allenarci nelle stesse strutture degli uomini infatti ci consentirà di confrontarci con strumenti più adatti, persone più competenti e professionisti più in linea con quelli  che sono i progetti di ogni donna che gioca a calcio e sogna in grande: fare di questo sport il proprio lavoro. Per questa ragione credo che già questo sia un grande traguardo rispetto al passato.

Come pensi si possa aiutare lo sviluppo del calcio femminile in Italia?
Sicuramente la prima cosa che aiuterebbe il calcio femminile sarebbe pubblicizzare il calcio femminile stesso. Quindi bisognerebbe parlarne di più, porli maggiore attenzione e maggiore risalto, soprattutto quando i risultati di determinate squadre arrivano (come sta accadendo per l’Italia, la Nazionale maggiore). Dunque, così come i telegiornali parlano del calcio maschile ad esempio, bisognerebbe iniziare a parlare anche del calcio femminile. Sui giornali non bisognerebbe più dedicarli solamente il piccolo trafiletto a lato della pagina accanto alle grandi notizie delle squadre maschili, ma meriterebbe di occupare lo stesso spazio di altre notizie della stessa rilevanza. In televisione invece bisognerebbe iniziare a trasmettere le partite, e non in ritardo come successo qualche settimana fa in occasione di una gara di serie A (con cui non si è fatto altro che dimostrare il poco interesse e la poca importanza relegata al calcio femminile rispetto a quello maschile). Aggiungerei poi che il vero sviluppo si attuerà nel momento in cui le calciatrici saranno riconosciute come professioniste e non più come dilettanti: in serie A, pur allenandosi quanto i maschi esse non hanno i loro stessi diritti. Anche le paghe sono incredibilmente differenti e questo gap non fa altro che allontanare il calcio femminile dalla realtà di quello maschile. Ho paura però che tutti questi obiettivi rimarranno solo obiettivi, senza avere mai la possibilità di realizzarsi.

Pensi sia diversa la concezione del calcio femminile in Trentino Alto Adige rispetto alle altre regioni italiane?
Credo che il Trentino Alto Adige ponga ancora meno risalto al calcio femminile di quanto lo facciano altre regioni. Qui gli sport più importanti sono altri, come l’Hockey e lo sci e di conseguenza questi vanno a far ombra al calcio in generale, figurarsi a quello femminile. Mi riferisco sia alla rilevanza che ci viene data, sia al numero di ragazze che si interessano a questo sport: mentre in altri paesi infatti magari il calcio viene prima di tutto, qui non è così e di conseguenza il bacino di giocatrici a cui attingere è decisamente minore. In generale comunque in altre regioni il calcio femminile è molto più sviluppato e di questo ce ne accorgiamo appena affrontiamo una squadra fuori regione, spesso più attrezzata e conosciuta di quanto possiamo essere noi. Tra l’altro da queste parti non abbiamo squadre di serie A che potrebbero “adottarci” e questo per noi non può che rappresentare un limite.

Un grande ringraziamento a capitan Federica Turrini e alla società dell’Unterland Damen a cui auguriamo un grande in bocca al lupo per la stagione!

Credit Photo: Ufficio Stampa (Unterland Damen)