Un allenatore empatico, con grandi doti di gestione del gruppo, chiamato spesso a prendere in mano situazioni difficili e abituato a dover prendere decisioni importanti per ribaltare i risultati in breve tempo e centrare l’obiettivo: così si può definire in estrema sintesi Fiorenzo Roncari, cresciuto sin da ragazzo nelle fila del Varese, prima di approdare in diverse squadre di nome e di arrivare a frequentare anche importanti stadi svizzeri.

Mister, come è iniziata la sua avventura calcistica?
«Sono nato a Besozzo e da ragazzino ho iniziato a giocare nelle file del Varese, e a fare il raccatapalle la domenica pomeriggio al Franco Ossola, dove i biancorossi giocavano in quel periodo in serie A. Erano i primi anni Settanta, nel Varese giocavano Libera, Calloni, Marini, Gentile ed io a bordo campo studiavo le loro mosse. Poi sono arrivato nella Primavera, dove i miei punti di riferimento erano Salvadè, Ramella, De Lorentiis, Giovanelli, De Giovanni, Ferrario. In questo periodo ebbi una grande fortuna, ovvero conoscere una grande figura di un esperto in motoria e alimentazione come il professor Enrico Arcelli, che rivoluzionò  completamente la preparazione dei calciatori e nel tempo i suoi metodi furono imitati da diverse squadre italiane, sino al punto che le società introdussero proprio la figura professionale del preparatore atletico. Chiusa la parentesi nel Varese, andai a giocare nel campionato svizzero con il Mendrisio, Lugano e Chiasso».

Come arrivò al Lugano?
«Ci fu una imboccata dell’amico Silvio Papini, che ci giocò qualche anno prima. Lugano è stata una esperienza straordinaria ed unica. In quel periodo ricevetti  richieste di andare a giocare in altre società svizzere, rinunciai sempre, sposando in pieno il progetto della società luganese. In quel periodo giocai con Pietro Anastasi, ed imparai tantissimo. Era un campione, un uomo straordinario, un compagno di squadra eccellente, un amico, il riferimento dello spogliatoio».

Come ha intrapreso la carriera di allenatore?
«Finito di giocare intrapresi con un socio l’attività imprenditoriale, ma il pallone mi mancava. Ne parlai con il mio mentore Silvio Papini, che mi consigliò di fare il corso per il patentino prima per i campionati minori, poi i vari master a Coverciano, sino all’abilitazione di allenatore per categorie semiprofessionistiche e professionistiche. Frequentando questi corsi ebbi modo di conoscere tanti calciatori italiani che hanno fatto la storia del calcio e anche l’attuale allenatrice della Juventus Femminile Rita Guarino, con la quale tuttora sono in contatto».

Cosa ne pensa del calcio femminile?
«E’ bellissimo, c’è molta voglia di fare, entusiasmo, ed il livello tecnico si è alzato. Anzi aggiungo che non mi dispiacerebbe fare un’esperienza in una squadra femminile. Ho allenato tante società in diverse categorie ed attualmente nelle squadre dove sono stato – Castellanzese, Pro Sesto, Sestese – ho sempre condiviso il progetto che la società mi ha affidato. Con le squadre e con gli atleti ci siamo sempre messi in gioco condividendo scelte molte volte non facili, era il gruppo che insieme vinceva. Credo che questa sia la mission per ottenere una buona soddisfazione allenando le “ragazze del pallone”».

Ha dei rimpianti mister?
«Tanti, ma preferisco guardare avanti, prendo la vita con la filosofia spiccia dell’ amico Giuseppe Sannino che ripete spesso “non tormentarti è tutto scritto”, ho qualche nostalgia e tanti ricordi bellissimi legati al pallone che ha segnato oltre cinquant’anni della mia vita. Un pensiero nostalgico ricorrente? I miei allenamenti e le corse sulla pista di Masnago con il professor Arcelli, vedendo i tramonti e i giochi di luce del Sacro Monte, emozioni uniche condivise con compagni che ricordo con affetto e simpatia».

Esprima un desiderio calcistico.
«Allenare un team di ragazze del pallone e magari, ma questo è un sogno irrealizzabile, dirigere un allenamento al Franco Ossola, così chiudo il cerchio, ma questo lasciamelo come un desiderio da scrivere in segreto».

Credit Photo: Varese Noi