Mancava poco, pochissimo. La valle della Loira, calata in un glaciale silenzio norvegese ed intercalata sonoramente da intensi sospiri italiani, si preparava al solenne esito… A quel punto il triplice fischio squarciò il celato mutismo transalpino, il rigore di Parisi, che al 71’ era valso il momentaneo 1-0, si concretizzò in un Europeo U19 vinto dall’Italia, con uno stadio di Tours luogo di tripudio tricolore.
Straordinaria ed imponderata si rivelò la cavalcata della formazione del CT Corradini, un undici che vedeva arruolata una numero uno come Sara Penzo, risultata la migliore portiere d’Europa, che, dopo il successo francese, ha spiccato il volo ed è diventata ad oggi una dei miglior estremi difensori d’Italia.

Da Sara fino a diventare “Penzo”. Un carriera calcistica iniziata presto ma fin subito lanciata sui primissimi palcoscenici.
“Essere brevi qui è impossibile, ma la mia storia ha avuto inizio nel campetto di fronte casa, con la squadra del mio paese, la polisportiva “San Giovanni Battista”, all’età circa di cinque anni.
Ho dato i primi calci lì, fino ad arrivare alla formazione giovanissimi, poi si sà: le ragazze devono iniziare a giocare con le altre ragazze, sennò la differenza fisica inizia a farsi sentire… Così,  ad undici anni, cominciai a militare nella compagine del mio paese, disputante il campionato di D.
Già un anno dopo ricevetti le prime convocazioni con la rappresentativa Veneto, Under 14, poi, trascorse due stagioni, mi trasferii al Gordige, dove ho fatto il mio esordio in B.
Da lì a poco le prime chiamate con l’azzurro dell’Under 17. Sfortunatamente, però, due anni più tardi, dovetti affrontare il mio primo stop, per la rottura del legamento crociato, ma non mi abbattetti e  mi operai, riconquistandomi la nazionale con l’U19 e, successivamente, passando tra i diciassette ed  i diciotto anni alla Torres.
Dall’avventura sarda è stato poi tutto un crescendo, tanto è che nel 2008 vinsi l’Europeo U19 in Francia, dove entrai nella “Top 10” della competizione e, grazie a tali successo e riconoscimento, approdai direttamente in maggiore, senza saltare più una convocazione fino all’anno scorso, che mi ruppi l’altro legamento crociato.
Ma tornando un passo indietro, dopo Torres, ho giocato sempre in A: per Venezia, Basilea (l’esperienza più bella della mia vita, nel massimo campionato elvetico), Brescia, fino ad arrivare al Tavagnacco, compagine nella quale difendo i legni attualmente da tre stagioni.
Ad oggi registro più di centoventi presenze in A.”

Come si affrontano chiamate ed opportunità importanti, tra le fila di società di blasone, quando siamo costretti ad andare via da casa poco più che adolescenti?
“Io credo sia una questione di carattere. La mia più grande forza son sempre stati i miei genitori: li ringrazierò sempre, per avermi sostenuta in tutte le scelte che ho sempre preso e che prenderò, perchè è grazie anche a loro se non ho mai avuto paura di mettermi in gioco, pure distante dai miei affetti.
Ad oggi, con qualche anno in più di esperienza, rifarei tutto, perchè uscire di casa da giovane vuol dire crescere, a livello personale oltre che calcistico, e mi ha resa la persona che sono oggi.”

Sara Penzo, una delle poche giocatrici italiane ad essere riuscita a sfondare all’estero, nel pluriscudettato Basilea. Com’è l’impatto con il calcio di altre nazioni? E le differenze con il nostro?
“La mia avventura a Basilea è stata la parentesi sportiva più bella della mia vita. Sono sincera: all’inizio lo volevo fare solo per avere lo svincolo, ma poi mi sono ritrovata come in un’altra dimensione. La considerazione è completamente diversa: sei una professionista e ti trattano da tale, quindi vuol dire  vivere di calcio ed avere tutte le strutture idonee a disposizione ed una società alle spalle, senza problemi di nessun genere.
A livello calcistico, ovviamente, avere il tempo di allenarsi ogni giorno, due volte al giorno, significa risultare costantemente in condizioni ottimali, in ogni momento della stagione, ed i sacrifici che fai sul campo sono quindi valorizzati.
Se parliamo di differenze con il nostro calcio… Beh direi per rendere l’idea: PROFESSIONISMO!”

Numerose le formazioni di cui hai ermeticamente serrato la porta. Un ricordo che porti nel cuore di ognuna?
“Un ricordo per ogni una: della Torres direi l’esordio in A, del Venezia il gruppo stupendo, del Basilea ogni singolo istante, ci ho lasciato il cuore, del Brescia la professionalità di tutti i componenti, di Tavagnacco la Champions.”

E poi, per capire come da promesse si può arrivare a diventare Top Player, non scordiamoci l’azzurro.. Da numero uno Campionessa d’Europa nel 2008 con l’Italia U19.
“La vittoria dell’Europeo è stato un sogno diventato realtà! Tutti da bambini sogniamo di vincere con quella maglia e noi ci riuscimmo.
Partimmo sfavorite, in quanto approdammo alla parte finale di competizione come miglior seconda del girone di qualificazione, ma una volta arrivate lì giocammo la prima partita contro la Norvegia, una squadra contro cui perdevamo sempre, riuscendo a vincere e rendendoci conto che forse avremmo potuto scrivere una storia differente.
E così fu, ritrovandoci poi proprio quella Norvegia, battuta precedentemente nella fase a gironi, in finale.
Ma il momento più emozionante è quando senti quel triplice fischio finale e ti rendi conto di avercela fatta: fare quei gradini della tribuna, che ti portano verso la postazione della coppa ed alzarla… Quelli son momenti che non dimenticherò mai!”

Un tricolore che poi hai onorato anche in Maggiore…
“Le prime convocazioni erano un misto di entusiasmo e d’orgoglio, perchè di fronte avevo Panico, Tuttino, Zorri, Gabbiadini… Gente con più di cento presenze azzurre e che da piccolina andavo con mio papà a vedere nei raduni precampionato in montagna.

Con il passare del tempo e delle convocazioni ho preso sempre più fiducia in me ed ho cercato di rubare e fare miei tutti gli insegnamenti delle più grandi.”

Detto ciò, cosa si prova ad essere ancora giovane ed aver vissuto e vinto quasi tutto sia a livello nazionale che internazionale?
“Il calcio è sempre stato il mio sogno, un gioco dove ho sempre dato tutta me stessa, ed essere considerata oggi un portiere d’esperienza mi rende soddisfatta e mi ripaga di tutti i sacrifici che ho sempre fatto.”

Chiusura da numeri uno, proprio come il numero che ti vorremo vedere nuovamente indossare in azzurro: un consiglio per le “Penzo” emergenti.
“Il consiglio che do a tutte le ragazze, che amano questo sport e questo ruolo, è quello di andare via dall’Italia, se ne hanno possibilità, il prima possibile, perché, purtroppo, per ora non c’è futuro.

Il non essere considerate professioniste è una cosa che penalizza e penalizzerà sempre il nostro calcio, quindi vivere esperienze all’estero diventa la base per una ragazza che vuole fare del calcio una professione.
Ma se una non ne ha la possibilità allora consiglio di non smettere mai di credere nel proprio sogno, che, con divertimento, passione e sacrificio, anche in Italia può dare tante soddisfazioni.”

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