La legge n. 91 del 23 marzo 1981 vieta alle donne sportive italiane di diventare professioniste. Una vergogna che i governi (di ogni colore) si tramandono e la modifica di legge proposta dall’On. Valeria Fedeli dopo oltre 1 anno dalla presentazione non è stata ancora esaminata.
Con il debito pubblico che sale inesorabile sotto la disattenzione attiva dei nostri governanti, che si battono con la legge elettorale che a poco serve per ridare dignità ai governati, brilla vergognosamente l’impegno passivo del 30% di donne presenti al Senato e alla Camera verso i pari diritti del genere umano e soprattutto delle donne. Una vergogna per tutta la maggioranza di sinistra divisa tra il SI e il NO che continua ad ignorare una realtà da terzo mondo, a differenza di altri Stati membri UE, dove le donne dello sport possono conquistare, se capaci, il professionismo.

Consapevole che i problemi che toccano le donne sono ben altri e ai quali si sta facendo ben poco, mi chiedo come sia possibile che la maggioranza di governo con l’apporto di tutte le donne (si diceva che della politica maschilista e adesso che ci sono el donne?) facenti parte dell’opposizione non siano in grado di far passare una modifica di legge, giusta e doverosa, che non vuole il professionismo obbligatorio ma vuol implementare i principi di parità tra uomini e donne introdotti nella Costituzione.

Mi sorgono alcune riflessioni che ci tengo a sottoporvi e alla quali non riesco a darmi una risposta:
La Giustizia non dovrebbe essere uguali per tutti?
Quali interessi bloccano questa giusta modifica di legge?

Ecco perchè ritengo che la politica abbia terminato il suo corso, anzi abbia proprio fallito la sua missione…, proprio perchè troppo spesso non vengono apportate modifiche di legge giuste per tutti ma di interesse politico dettate dal sistema.
Questa mia protesta non è indirizzata al CONI o alle FEDERAZIONI ma allo Stato Italiano perchè è in primis una discriminazione di genere.
Le donne parlamentari ivi comprese le sindacaliste sportive e di categoria invece di fare la nazionale di calcio dovrebbero prendersi a cuore queste vicende in maniera ferma e decisa e opporsi al sistema ma non lo fanno o almeno io non ho mai visto in tv una parlamentare ch si prende a cuore queste problematiche.

Alcuni anni fa una squadra di basket femminile aprì una petizione per sollecitare i governanti verso questo problema ma si è fermata a circa 30.000 firme e nulla ha portato alla causa.
Un cittadino che è nato in una famiglia dove le donne sono sempre state innalzate per i loro meriti, come può accettare questa discriminazione di genere? e tutti gli sportivi uomini professionisti e le loro associazioni di categoria perchè non si fanno sentire bloccando i loro campionati e gare? Forse perchè “#chissenefrega”?

Facciamo un approfondimento.

Il disegno di legge presentato dall’Onorevole Valeria Fedeli al Senato in data 1 luglio 2015 con lo scopo di modificare la legge 23 marzo 1981, n. 91, per la promozione dell’equilibrio di genere nei rapporti tra società e sportivi professionisti, annunciata nella seduta ant. n. 477 del 2 luglio 2015, per poi lanciarla a conoscenza dei media con la conferenza stampa del 30 settembre 2015 presso la Camera dei Deputati e assegnata alla 7ª Commissione permanente che non ha ancora iniziato l’esame.

Ma cosa ha chiesto nel dettaglio l’ON. Fedeli?
L’iniziativa dei senatori FEDELI, IDEM, RANUCCI, DE PETRIS, BIGNAMI, AMATI, ANGIONI, BATTISTA, BERGER, BOCCHINO, CANTINI, D’ADDA, GUERRIERI PALEOTTI, Elena FERRARA, LO GIUDICE, MATTESINI, ORRÙ, PAGLIARI, FABBRI, PEGORER, PEZZOPANE, DI GIORGI, RICCHIUTI, LAI e VALDINOSI ha chiesto che…

1. Alla legge 23 marzo 1981, n. 91, vengano apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 2, primo comma, le parole: «sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici» sono sostituite dalle seguenti: «sono sportivi professionisti gli atleti e le atlete, gli allenatori e le allenatrici, i direttori e le direttrici tecnico-sportivi ed i preparatori e le preparatrici atletici»;
b) all’articolo 2, dopo il primo comma, è aggiunto il seguente: «Qualunque sia la disciplina sportiva regolamentata dal CONI, è vietata qualsiasi discriminazione da parte delle federazioni sportive nazionali per quanto riguarda la qualificazione del professionismo sportivo in ambito femminile e maschile.»;
c) all’articolo 10 è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Quando elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle qualificazioni degli sportivi professionisti, alla costituzione e alla affiliazione delle società sportive, siano idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta alle federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione.».

Una modifica che chiede al nostro Stato di concedere pari diritti e opportunità alle donne che praticano lo sport e venga concessa loro la possibilità di diventare professioniste.
Una legge non fa il professionismo ma porta la speranza alle donne che il loro sacrificio non serva solo ad arricchire il medagliere ma le permetta di fare sport come professione con tutti i diritti che ne conseguono.
Negli sport individuali le atlete più capaci possono diventare dipendenti delle forze di Stato (ottima iniziativa) mentre negli sport di squadra le nostre donne sono costrette a fare le dilettanti, studiando, lavorando e allenandosi con cadenza regolare, svolgendo in realtà una vita sportiva da professioniste ma senza diritti come per esempio l’assistenza sanitaria, contributi previdenziali e la maternità.

Di sicuro seguirò il consiglio del grande Einstein: “Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare.”