Credit: Freedom Femminile

Veronica Cantoro racchiude in sé lo spirito di sacrificio che accomuna molte ragazze che vogliono giocare a calcio nonostante le ore spese in pullman per poter arrivare al campo (che spesso dista da casa), nonostante i soliti luoghi comuni sul calcio e le donne, le palestre poco attrezzate, i campi improvvisati e le tutele e i diritti ancor meno presenti. Nonostante questo la sua passione e l’amore per questo sport non l’hanno fermata fino a farla arrivare ad alti livelli.
Abbiamo voluto chiacchierare con lei, centrocampista classe ’88 e capitano del Freedom, ripercorrendo quello che è stata la sua carriera finora, volendo anche aprire uno spaccato sulla condizione attuale del calcio femminile in Italia che può servire da esempio per le generazioni future (e anche presenti) per far riflettere su quanto ancora ci sia da fare e su ciò che finora si è conquistato.

Veronica, raccontaci quando e in che modo ti sei appassionata a questo mondo.
“É successo quando ero molto piccola, avrò avuto tra i 5 e i 6 anni. Provengo da Chieri un paese in provincia di Torino , da piccola vivevo in un quartiere con molto verde attorno e appena potevo scendevo sempre a giocare coi miei amici e da lì poi è nato il desiderio di andare a giocare in una squadra.”

Le bambine di oggi vivono una situazione un po’ diversa rispetto a quando eri piccola tu per quanto riguarda il binomio ” femmine- calcio”, forse si potrebbe dire una situazione migliore sotto qualche punto di vista. Tu invece come l’hai vissuta questa cosa? Hai mai avuto problemi o incontrato qualche difficoltà?
“Sicuramente ora le bambine hanno un accesso più semplice, quando io da piccola ho espresso il desiderio di giocare a calcio sono andata in una squadra maschile e a me è piaciuto moltissimo anzi ricordo quegli anni con grande gioia e divertimento, ho anche imparato tanto. Quando si è molto piccoli ci si mette a confronto con gli altri ragazzi e questa cosa ti forgia un po’ anche il carattere perché spesso venivano fuori i soliti commenti tipo “questo è un gioco da maschi”, i soliti luoghi comuni insomma. Ma poco a poco , nella mia squadra, che era l’A.C. Chieri mi sono integrata molto bene e devo dire che sono stata molto fortunata. Ho incontrato un gruppo bellissimo e ho giocato coi ragazzi fino ai 14 anni, dopo di che sono passata nel calcio femminile.”

Come ti ha sostenuto (e ti sostiene) la tua famiglia?
“La mia famiglia non è stata un grandissimo sostegno ma per questioni non inerenti al calcio: non erano affatto contrari al fatto che io giocassi anzi erano contenti che io praticassi uno sport, quello che avevo scelto io. Non mi hanno sostenuto nel senso che per difficoltà proprie non potevano portarmi agli allenamenti o alle partite. In questo fortunatamente sono subentrati gli allenatori che ho avuto e i genitori dei miei compagi che nei primi anni mi hanno sempre supportata. Passando nel femminile ho sempre avuto delle ottime compagne di squadra che magari passavano a prendermi oppure mi facevo ore ed ore di pullman , il passaggio per il ritorno devo dire che era cosa molto gradita poiché l’alternativa erano ore spese sui mezzi di trasporto. Sicuramente questo ha fatto sì che un pochino di sacrificio fosse sempre presente per poter praticare questo tipo di attività perché bisogna tenere in conto che le squadre non erano tante sul territorio e soprattutto per farlo ad un buon livello dovevi spostarti in macchina. Nel mio caso distava quasi ad un’oretta da casa mia in macchina, mentre coi mezzi il viaggio durava molto di più, ricordo interi pomeriggi passati su treni e pullman per andare all’allenamento.”

Anche se le cose stanno a poco a poco cambiando, ancora troppi pregiudizi pervadono questo mondo. Di fronte a situazioni simili che consigli ti senti di dare alle bambine (e ai loro genitori) che vogliono iniziare a giocare a calcio per viversela nel migliore dei modi possibili?
“Personalmente non ho avuto pregiudizi, forse la mia famiglia non era felicissima del fatto che giocassi a calcio ma devo dire che non sono stati neanche proibitivi nei miei confronti in più sono sempre stata una che ha sempre fatto di testa sua. Certo i pregiudizi continuano ad esserci purtroppo, magari in modo molto velato in alcune circostanze e molto presenti in altre. Penso che grazie alle mie esperienze posso affermare che lo sport tale deve rimanere, senza alcun pregiudizio: ai genitori potrei dire “lasciate le vostre figlie libere di fare lo sport che più amano”. Non esiste uno sport giusto o sbagliato, lo sbagliato è proibire qualcosa o mettere addosso alle persone troppa pressione affinché si faccia una determinata attività. I figli dovrebbero scegliere in autonomia le proprie passioni.”

Parliamo del tuo percorso finora: hai iniziato con la Chivasso per poi proseguire con l’Alessandria (A2) per poi arrivare in A1. Che ricordi hai di quegli anni?
“Ho iniziato nel Chivasso in serie B, poi ho continuato in A2 nell’Alessandria per poi approdare al Torino che in realtà mi cercava già da qualche anno… Ma ho preferito l’A2 per avere a disposizione più minuti per me, per fare più esperienza perché all’epoca il Torino aveva delle ottime giocatrici di carattere nazionale e temevo di avere poco spazio. Quando poi sono arrivata in questa società, nonostante io abbia giocato solo una stagione, ho giocato molto, ho dato il mio contributo alla realizzazione della migliore stagione per il Torino femminile perché ci siamo classificate seconde e abbiamo perso la Coppa Italia ai rigori. Devo dire che è stata una delle più belle annate, se non forse la più bella, del Torino Femminile.”

Quanto è cambiato il calcio femminile in Italia da allora?
“Se ripenso ai miei anni in serie A  confrontati con la serie A di adesso…Credo che siano cambiate notevolmente le possibilità che ha la giocatrice: come viene seguita, le possibilità che ha di allenarsi, le metodologie, la preparazione tecnica…Tutte le squadre hanno delle componenti importanti con degli staff ampli. Io ricordo che quando sono arrivata in serie B e in serie A 2 l’allenatore era una specie di factotum, erano persone  preparatissime ma facevano di tutto, dalla componente atletica, tattica fino a quella psicologica. Gli staff poi erano ristretti, quindi c’era una persona che doveva fare tutto. Ora invece abbiamo delle realtà sportive dove già nelle giovanili abbiamo delle figure di riferimento per cui le ragazze vengono trattate nel modo corretto ovvero quando si arriva in un ambiente sportivo devi essere circondato da persone dove ognuno ha i propri compiti e questo porta ad avere una gestione migliore che significa avere poi migliori risultati. Da giocatrice penso che arrivare al campo e aver anche solo tutto l’abbigliamento pronto, avere tutto già impostato, iniziare facendo della prevenzione, avere delle palestre, delle strutture tecniche all’avanguardia…Quando giocavo io era un’utopia. Nel Torino avevamo una piccola palestra fatta in casa , con macchinari presi da palestre dismesse, diciamo era molto “home made”(ride)! Altra cosa che è cambiata molto è la parte mediatica che ha portato molto interesse nei confronti delle atlete, chi più chi meno chiaramente… La parte mediatica ha dato una visione positiva allo sport, io credo che purtroppo lo sport femminile in generale venga bistrattato, si cade spesso nei luoghi comuni e questo ne risente. In particolare il calcio femminile è sempre stato un tabù e questo credo sia un comportamento socialmente stupido.”

Dopo di che è arrivata la chiamata dall’Inghilterra. Come sei arrivata al Doncaster?
“Guarda io mi sono diplomata in luglio nel 2007 e due giorni dopo ero già a fare il primo provino in Inghilterra. Ho deciso di fermarmi a Doncaster, ho fatto il mio primo anno in Premier League, è stato molto bello, particolare direi. Ci si allenava fuori dalle strutture, nei parchi, cosa per noi inconcepibile. Poi la cosa buffa è che giocavamo nello stadio con le tribune ma gli allenamenti li facevamo sparsi nei vari campi dei parchi pubblici. Ma a parte queste cose, per noi decisamente diverse, quello che mi porto dentro o del calcio inglese è il non rimuginare troppo su una partita che magari si è preso: nella nostra cultura sportiva invece spesso si tende a parlare solo degli errori. Loro invece guardano alle cose positive che hanno fatto e con la testa sono già alla partita dopo: anche nella vita bisognerebbe applicare questa filosofia.”

Com’era vissuto il calcio in Inghilterra in quegli anni?
“Allora era un semi professionismo però a livello mediatico c’era un interesse maggiore che in Italia: ricordo dei cartelloni pubblicitari immensi con le foto di Smith, Alex Scott( allora terzino destro dell’Arsenal)…In quegli anni l’Arsenal aveva vinto la Champions League quindi c’era molto fermento, ora poi ce n’è ancora di più. Una mia campagna di squadra ha fatto una grande carriera, in lei ho visto proprio la crescita di questo fenomeno ovvero passare dal semi professionismo al professionismo. Si tratta di una cosa bellissima perché ci sono arrivate con anni di anticipo, possono fare quello di professione ed essere concentrate solo su quello, puntare tutte le loro energie, anche per gli interessi futuri perché poi quando finisce la tua carriera sportiva puoi pensare anche di impostare il tuo futuro nel mondo dello sport.”

In che modo il nostro paese dovrebbe agire, secondo il tuo parere, per migliorare la situazione del calcio femminile qui?
Domanda non facile…Credo che una delle prima cose da fare sia di togliere quel concetto di “calcio uguale gioco da maschi”, questo penso che blocchi moltissimi genitori nel mandare le proprie figlie a giocare a calcio. Bisognerebbe far capire che non esistono sport da uomini o da donne ma solo sport, senza dover etichettare un’attività sportiva. Il problema di fondo risiede anche nel fatto che viviamo in uno Stato in cui, si è visto dalle ultime elezioni, queste visioni di “maschio-femmina” sono molto retrograde. Il messaggio di uno sport libero dovrebbe essere lanciato già nelle scuole. Credo che si tratti di un fattore culturale radicato nella società che va al di là dello sport, dovremmo cambiare gli stereotipi di genere e questo porterebbe ad una visione diversa anche a livello sportivo. Inoltre un altro fattore che forse migliorerebbe la situazione potrebbe anche essere quello di dare risalto allo spettacolo perché, non sarà bello da dire, ma i mass media hanno la loro importanza. Nei primi anni il calcio femminile è stato gestito da Sky che ,essendo molto potente, ha dato un’ottima visione del calcio femminile ovvero una visione dinamica, accogliente ed inclusiva. Ora che il prodotto viene gestito da altri media si è perso quello slancio che aveva perso e il pubblico, seppur ora  in chiaro, ne parla di meno. Come viene venduto il prodotto è molto importante, chiaramente bisognerebbe investire meglio nel come si presenta e poi anche investire sulle strutture, incrementare i numeri delle tesserate… Ma del resto quando vendi una cosa e la sai vendere bene si riesce poi a creare il suo mercato perché viene accolta. Puoi anche avere il migliore prodotto al mondo ma se il marketing non è quello giusto non lo comprerà mai nessuno.”

Chiusa la parentesi inglese sei tornata in Italia: che esperienza è stata quella con la Reggiana in serie A?
“Si dopo l’Inghilterra sono andata a giocare un anno a Reggio Emilia dove ho avuto Milena Bertolini come allenatrice: grandissima allenatrice e lo ha dimostrato. L’ho conosciuta nei primi anni della sua carriera ma purtroppo non sono stata molto fortunata poiché in quell’ anno non aveva visto in me particolari caratteristiche…Anni più tardi mi ha poi ricercata ma io avevo poi scelto altre società. Di quell’anno porto dentro  una grande esperienza, e delle grandi amicizie nate in quella squadra che ancora adesso sento, a volte andiamo anche in vacanza insieme. Spesso le amicizie nel calcio, non per cattiveria ovviamente, ma si perdono perché la vita semplicemente ci separa. Dal punto di vista calcistico invece non è stato il mio migliore anno calcistico anche a causa di un grave infortunio ma mi porto dentro quello che lo sport regala oltre al campo di gioco ovvero i contatti, le amicizie il mettersi alla prova. Inoltre restare disponibili sempre, sia da titolari che non, è una crescita perché se si ha sempre la possibilità di giocare non ci si rende conto di quanto sia difficile essere a disposizione della squadra, pur sapendo di non essere tra le prime scelte dell’allenatore. I cambi ora sono 5 (all’epoca erano 3 e non si facevano neanche tutti molto spesso), c’è più spazio per tutti…Sicuramente quell’anno mi ha fatto crescere tanto.”

Facciamo un salto nel presente: oggi giochi al Freedom dopo una stagione passata con l’Independiente Ivrea. Che cosa ti ha spinto in questa società?
“Devo fare una premessa: io sono abbastanza una testona perché ho smesso di giocare quando ero in serie A per una scelta mia, ero stufa delle grandi promesse, non vedevo cambiamenti, degli effimeri rimborsi spese che si, ci permettevano di vivere però non c’erano gestioni appropriate, non si aveva una vita, dovevi spesso cambiare perché non c’erano stabilità date dalle società in cui giocavi (e io ho giocato in società di alto livello!). Questo mi ha fatto lasciare per poi riprendere ma ahimè poi è cambiato tutto. Un mio allenatore poi mi ha convinto a giocare in categorie “basse”, ma basse nel senso di  “prime categorie”. Sono passata dall’Ivrea ad accogliere una sfida( cosa che a me piacciono molto) e la Freedom mi ha dato la voglia di rimettermi in gioco nonostante io non sia più giovanissima (ride)! Ma loro mi hanno mostrato il progetto e tutto lo staff ha voluto costruire qualcosa di positivo che mancava nella zona cuneese (soprattutto dopo la vendita del titolo alla Juve anni prima), hanno voluto riportare una realtà importante in una zona così ampia di cui aveva bisogno creando una squadra costruita con lo scopo di fare meglio di anno in anno, senza dover acquistare un titolo, partendo dal principio e  dai propri sacrifici.”

Come ti trovi con le tue compagne? E con il Mister?
“Quest’anno il gruppo è un pochino cambiato, ma è normale. Nei nuovi arrivi ho riscontrato ottime persone con le quali ho un’ottima alchimia nonostante giochiamo insieme da qualche mese e questo porta ad avere un buon gruppo. Avere un buon gruppo credo sia uno dei fattori per avere buoni risultatati. Mi trovo bene e spero si continui a crescere sotto questo aspetto. Col Mister bene, già ci conoscevamo dall’anno scorso, è molto preparato , attento ai dettagli perché cura la partita in ogni suo aspetto che è un elemento fondamentale per migliorare sempre. Avere un Mister preparato è fondamentale per ottenere grandi risultati.”

Questa domenica affronterai proprio le tue ex compagne. Che sensazioni ti dà?
“Sono contenta è una gara importante ma come tutte le gare lo sono. Non mi spaventano le altre squadre, me la vivo bene, anzi sono contenta di rivedere le mie ex compagne: quando giochi con qualcuno che già conosci sai bene quali sono i punti di forza e quelli deboli. Sicuramente darò tutto quello che posso per fare bene e portare a casa il risultato. Giocare contro delle ex compagne non è sinonimo di ansia, anzi.”

Sabato scorso avete giocato contro al Real Meda: una partita che inizialmente sembrava vi stesse mettendo in difficoltà per le 3 reti segnate dalle avversarie già nel primo tempo. Voi avete risposto con un goal sempre nel primo tempo e siete poi riuscite a portare a casa la partita grazie a 3 reti nel secondo tempo. Che cosa vi siete dette tra voi? Il Mister che cambiamenti ha preso per ribaltare un match che pareva quasi concluso?
“Potrei dire che la partita col Meda sia stata rocambolesca! Penso che il pubblico si sia divertito a vedere una partita con un totale di 7 reti…Una partita in cui nel primo tempo abbiamo commesso degli errori e questo ci ha portato ad un passivo di 3-1 e non era ciò che ci aspettavamo. Abbiamo quindi pensato che come puoi incassare 3 goal li puoi anche fare nel secondo tempo, inoltre abbiamo cambiato il modulo e siamo tornate sui nostri punti di forza e siamo riuscite a mettere in difficoltà il Meda. Nonostante tutto, sportivamente parlando, è stata una bella gara, le avversarie sono state rispettose e corrette, non é stata una gara nervosa , per me è stata una bella prestazione soprattutto a livello di carattere: non mollare mai fino all’ultimo minuto è una nostra caratteristica.”

Aprendo una piccola parentesi sul professionalismo: ci puoi dire i tuoi pensieri a riguardo? Sinceramente, pensavi che in Italia prima o poi sarebbe successo o avevi perso le speranze?
“Ci ho sperato tanti anni… Sono contenta perché il professionismo darà la possibilità a tante ragazze di concentrarsi solo su quello e dar loro un futuro migliore. Crescerà e sono contenta per chi potrà beneficiare di questo passaggio ma sicuramente non sarà una cosa semplice da attuare perché le risorse soprattutto a livello sportivo femminile non sono mai così floride. Vedremo come il professionismo riuscirà a svilupparsi.”

Una curiosità: se potessi prendere in prestito per la tua squadra una giocatrice della serie A italiana e una giocatrice che milita in un campionato estero, chi prenderesti?
“Sarebbe molto bello poter rubare le giocatrici delle altre squadre! Mi piacerebbe giocare con più giocatrici, se dovessi proprio sceglierne una mi piacerebbe giocare in difesa con Alice Tortelli, il capitano della Fiorentina, è una giocatrice molto tenace. Per quanto riguarda la giocatrice straniera potrei farti un elenco infinito…Dalla Bacha, il terzino del Lione, a Megan Rapinoe al massimo dei suoi splendori …Ma forse punterei soprattutto su Rose Lavelle al centrocampo: all’ultimo mondiale aveva fatto una prestazione bellissima, magari ora non è al massimo della sua forma, ma come giocatrice è cresciuta tanto, è davvero molto forte. Alcune straniere hanno delle marce in più ma perché sono delle professioniste da anni…Io spero che il professionismo per le nostre future giocatrici avrà lo stesso effetto per poter poi avere una Nazionale che possa effettivamente giocarsela a viso aperto con tutti.”

Infine, che cosa ti piace fare fuori dal campo?
“Io non mi annoio mai, trovo sempre qualcosa da fare… Mi piace partecipare ad attività, ad  eventi, andare a mostre d’arte, musei, cinema, concerti come anche mi piace guardare video su YouTube con indiani che mi spiegano algoritmi o tool particolari perché per professione sono un data scientist quindi mi piace analizzare le cose, mi piace guardare cosa accade nel mondo. Lo sport mi piace ma mi piacciono anche tante altre cose! Ogni cosa ha la sua importanza e credo che nella vita bisogna arricchirsi di più esperienze possibili.”

La Redazione di Calcio Femminile Italiano ringrazia il Freedom F.C. e Veronica Cantoro per la disponibilità.