“Andiamo avanti in Champions per la terza volta su quattro partecipazioni. Il goal all’ultimo è come un risorgimento per noi”. Antonio Cincotta ha rilasciato una lunga intervista a Radio Toscana. Tanti i temi che hanno toccato il colloquio del tecnico in radio. Inevitabilmente non si poteva che cominciare dal goal vittoria contro lo Slavia Praga all’ultimo secondo: “C’è un immagine che mi rimarrà impressa per sempre. Una delle nostre fisioterapiste è corsa in campo per abbracciare Sabatino, seguita da tutti gli altri. E’ l’immagine di una squadra di 40 persone: non solo giocatori e staff tecnico, ma tutti insieme. In quel goal c’è tutto l’amore di chi lavora per questo gruppo straordinario”.

Il coach prosegue nel suo racconto: “ho urlato a Martina Piemonte di tenersi pronta ad una eventuale ribattuta. Poi Bonetti ha pennellato quel pallone per Sabatino che ha segnato. La palese dimostrazione dei loro grandi talenti. Per Daniela è un periodo d’oro. Ha siglato il doppio dei goal dello scorso anno nell’arco dello stesso periodo. Segnale della sua perfetta integrazione. La società ha fatto un colpo da maestro nel portarla a Firenze”.

Sulla reale dimensione della Fiorentina: “la squadra è stata stravolta in vista del futuro. Ci ha lasciato Guagni che abbiamo rimpiazzato con una giovane diciottenne (Zanoli ndr). Non è un alibi; tutti i gruppi fanno fatica a trovare continuità quando si cambia qualcosa. Siamo partiti bene, poi abbiamo avuto una fase calante. La Fiorentina però si è ricompattata e siamo risaliti fino al goal dell’Eden Arena”.

Sulle prime esperienze e gli inizi: “ho cominciato a tredici anni come allenatore e giocatore di una squadra al torneo dell’aeronautica. Volevo essere io ad allenare la squadra. E’ una cosa che mi sentivo dentro e mi è piaciuto subito. In seguito ho trovato la mia strada. Ho allenato tanti ragazzi giovani, alcuni, come Matteo Pessina e Jacopo Segre, sono arrivati in alto. Sono felicissimo per il loro percorso”. Essendo nato a Milano, non poteva non incrociare uno dei due club locali: “mi sono formato con personalità di spessore. Ex giocatori come Stefano Nava, Maurizio Ganz e Stefano Eranio. Ho rubato a tutti qualcosa per poi trasmetterlo a coloro che allenavo. Purtroppo non ho sfondato da giocatore in Serie A ma non ho rimpianti. Ho avuto la possibilità di studiare e di formarmi arrivando comunque anche io”.

Sul metodo Coever Coaching: “è un modello olandese – sottolinea Cincotta – l’ho imparato in America nella stagione con il Seattle. Aiuta a far crescere le calciatrici da un punto di vista personale. E’ ottimo da usare soprattutto nel settore giovanile. Molte calciatrici hanno iniziato a giocare a 14 anni saltando i primi anni di formazione. Con questo metodo si colma quel gap. Imparo dagli errori, ogni atleta che arriva ha un suo carattere. In un contesto come quello della Fiorentina vigono intercultura e globalità. Alcune di loro parlano lingue diverse. Devi essere bravo a mettere in gioco le tue scelte basandoti sulla rosa che hai a disposizione. Le varie culture occorre farle coesistere, e per farlo serve anche l’aiuto dei dirigenti. E’ questione di equipe”.

Sull’esperienza accumulata allenando i bambini: “non bisogna mai perdere l’entusiasmo che hanno loro. Quel sentimento ci spinge tutti i giorni a fare sempre meglio. Non bisogna lasciarsi trascinare da logiche esterne, come soldi o immagine; che nel femminile sono meno presenti. Non si deve mai perdere il piacere di divertirsi, perché il calcio dopotutto è un gioco”.

Su cosa manca al calcio femminile per essere seguito maggiormente: “si è intrapreso un percorso positivo. Bisogna andare avanti. La Fiorentina è stata la prima società a cambiare la struttura di questo sport. Non si deve pensare che ora che il grosso è stato fatto si debba interrompere qui. Si vada avanti, un passo alla volta, per far sì che il movimento cresca. A trarne vantaggio sarà il Paese, con le bambine di oggi che tra 6-7 anni saranno le nuove campionesse. Sabatino mi racconta spesso che se avesse iniziato in una società come la Fiorentina, il percorso sarebbe stato più facile. Ai suoi tempi era difficile giocare a calcio. Ci vuole costanza”, conclude l’allenatore lombardo.

Credits: Radio Toscana