Intervistato da Tuttosport, Joe Montemurro ha parlato così dei suoi primi mesi alla Juventus Women.

PRIMI MESI IN ITALIA
«È una domanda con tante emozioni. Io, innanzitutto, sono stato tifoso della Juve e per chi è come me, figlio di italiani emigrati in Australia, il bianconero è stato un simbolo che unisce una comunità. Quest’avventura è nata da un discorso nato nel tempo con Braghin. È stata una scelta facile: c’erano delle basi, si sapeva dove voler arrivare. La cosa più difficile è stata lasciare l’Arsenal, per come mi avevano trattato bene. Alle ragazze ho spiegato che possiamo fare un certo tipo di calcio, in cui viene prima lo spettacolo. Vero che parte subito il paragone con i maschi, ma le donne possiedono le doti per un calcio piacevole, di classe e di stile. Poi ho voluto far capire loro l’importanza individuale all’interno di un gruppo, per questo ho subito scelto per le rotazioni. E devono avere la responsabilità di quello che fanno: tante persone le guardano e vogliono essere come loro».

LIVELLO IN ITALIA
«Prima di venire ho visto tante partite. Avete una grande cultura tattica, fin da giovani e a ogni livello: anche le piccole squadre trovano soluzioni e ti mettono in difficoltà. Non puoi sottovalutare nessuno, è importante per la crescita del calcio femminile. Giocano contro la Juve e vogliono fare una certa partita, noi dobbiamo essere sempre al top. Mi fa piacere giocare contro squadra come l’Empoli, che ha idee importanti».

COSA SI ASPETTA DALL’EUROPA
«Sarà molto importante ora che ci sono finalmente i gironi: nello scontro diretto incidevano troppi fattori. La Champions, con una serie di sei partite contro avversarie come Chelsea, Wolfsburg e Servette, sarà importante per vedere dove crescere. Come dice il direttore Braghin, siamo entrati nell’Università: cerchiamo di imparare e andare avanti».

IL SUO CALCIO
«Conta la palla: se tu la tieni più dell’altra squadra, puoi controllare il destino della partita. Non devi perdere l’equilibrio e, quando non hai la palla, riconquistarla subito. Voglio le verticalizzazioni, non palleggiamo per palleggiare. Muoversi per creare il più possibile».

IDOLI
«Scirea su tutti e quello degli anni ’80 come Cabrini, Tardelli, Platini, Boniek. Poi Del Piero, Zidane. In panchina? Forse Trap, per l’atteggiamento. Ma non so fischiare…».

Credit Photo: Fabio Vanzi