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Pink Bari, la salvezza non è un miraggio

La Pink Bari è ritornata in Serie A grazie al ripescaggio ottenuto a fine luglio da parte del DCF della FIGC, e si è presentata ai nastri di partenza di questa nuova stagione con un semplice obiettivo: la permanenza nella massima serie.

Le baresi sono state in lotta, sin dalle prima battute, col Tavagnacco, Orobica (vicina oramai alla cadetteria) e Hellas Verona, e hanno faticato tanto per arrivare a risultati importanti, basti infatti notare che l’unica vittoria realizzata dalle biancorosse è stata fatta a discapito della formazione orobica. Poi soltanto sette pareggi.

Ma questo non è bastato alla dirigenza barese, che ha proceduto alla sostituzione della guida tecnica, sostituendo Domenico Caricola con la promozione in prima squadra di Cristina Mitola. Il primo risultato con la nuova allenatrice è stato importante, perché alla 16ma giornata le gallette hanno fermato sul pari l’Inter, grazie alla doppietta di Debora Novellino, che ha raggiunto a quota quattro l’attaccante rumena Cristina Carp, che è l’altra top scorer della formazione barese.

Il calendario non aiuta molto, visto che nei prossimi turni affronterà Empoli, Milan, Juventus, Roma e Fiorentina, ma se riuscirà a fare risultato pieno sull’Orobica e fare qualche colpo grosso con le altre cinque squadre, allora la salvezza della Pink Bari non sarà un miraggio, ma una splendida realtà.

POSIZIONE IN CLASSIFICA
10a.

PUNTI ATTUALI
11 (5 in casa e 6 in trasferta).

RISULTATI
1 vittorie, 8 pareggi e 7 sconfitte.

GOL FATTI
17 (5 in casa e 12 in trasferta).

GOL SUBITI
32 (14 in casa e 18 in trasferta).

MIGLIOR TOP SCORER
Cristina Carp e Debora Novellino (4 reti).

GIOCATRICI CON PIU’ PRESENZE
Cristina Carp, Paula Myllyoja (16).

Victor Montagliani, vicepresidente Fifa: “Non vedo nel 2020 partite con il pubblico”

Victor Montagliani, presidente della Concacaf e vicepresidente Fifa, ha parlato ai microfoni di “GR Parlamento” si è espresso ottimista sul fatto che si possa tornare a giocare ma difficilmente lo si potrà fare a porte aperte da qui a dicembre.

“Quando i tifosi potranno tornare allo stadio? Personalmente non vedo nel 2020 partite con pubblico. Per quest’anno credo sia molto difficile ma vale anche per gli altri sport. La ripresa degli allenamenti sarebbe un messaggio importante, piano piano dobbiamo tornare alla vita normale ma se il calcio ha sempre fatto quello che ha voluto, stavolta deve attenersi a quello che diranno le autorità sanitarie e governative.
Anche il presidente Infantino è stato chiarissimo a riguardo: oggi le vite umane contano di più del calcio, nel frattempo lavoriamo per poter tornare alla normalità ma se si deve aspettare di più per giocare, si aspetterà. Un’unica sessione di calciomercato fino a dicembre? No. Abbiamo deciso che era meglio attenersi alle 16 settimane. Confermo invece il via libera della FIFA per prolungare i contratto fino al 30 giugno, ma giocatori e società devono essere d’accordo”.

 

Rachele Baldi, Empoli: “La speranza è di riiniziare e finire il campionato”

Rachele Baldi, portieri dell’dell’Empoli, ha parlato in diretta Instagram della possibile ripresa del campionato, delle sue esperienze passate e del suo futuro:

“In questo periodo mi sto tenendo impegnata con varie attività. Ho iniziato a suonare anche il piano.. e a dipingere. E mi rendo attiva comunque con gli allenamenti in attesa che il campionato riprenda. Ancora non sappiamo se la stagione verrà portata a termine, la speranza è di riiniziare e finire il campionato anche in estate. Magari riprendere anche dal 4 maggio, prendendo però le giuste precauzioni”.

“Il mio primo idolo è Toldo. Da quando ero piccola, sia come portiere che come persona mi è sempre piaciuto. Nel femminile invece ho ammirato Hopo Solo, come penso quasi tutte le giovani calciatrici. E poi Ashlyn Harris, un’altra americana”.

“Ora le bambine trovano un percorso meno insidioso del mio e delle mie compagne, c’è meno pregiudizio. Io ho giocato dai 5 ai 12 anni coi maschi e spesso ero presa in giro. Ora questo problema non c’è, anzi c’è più credibilità e gli ostacoli, sebbene ci siano, sono più facilmente superabili”.

“Per me è importante avere fiducia nel mister, ma anche il mister deve ricambiarla questa fiducia. Io parlo di tutto con lui, c’è un bel rapporto. Ci scambiamo opinioni tra fine primo e secondo tempo. La prima convocazione in Nazionale maggiore è arrivata a dicembre del 2017, poi la scorsa estate ho fatto le Universiadi con l’Under 23. E da li in poi ho iniziato tutti i raduni. Ovviamente il calcio internazionale è di un livello e ritmo superiore. All’inizio ti trovi spiazzata perché non sei abituata, ma quando cominci a fare gruppo e ad entrare nel ritmo torni cambiata”.

“Due anni fa mi allenavo con Mauro Marchisio che quell’anno li era responsabile di tutti i portieri a Empoli, quindi mi sono allenata anche coi ragazzi dai 15 ai 17 anni. Poi una volta mi sono allenata al Castellani e ricordo che c’era Provedel che era in ripresa dall’infortunio. Per me è stata una bella esperienza. La differenza fisicamente coi maschi c’è è ovvio, ma a livello tecnico-tattico mi sono sentita all’altezza durante quel periodo”.

“Penso di aver avuto un percorso un po’ sfortunato se si può dire, perché non ho mai avuto richieste valide altrove, sebbene molti giornalisti dicano il contrario. Mi sono sempre messa a disposizione con tutti i mezzi possibili per crescere e migliorare e a Empoli ho trovato sempre una buona e seria realtà. Se mai mi capiterà l’occasione di fare altri tipi di esperienze anche all’estero, e saranno valide, mi piacerebbe mettermi alla prova”.

“Mi sono laureata l’anno scorso in scienze motorie e quest’anno mi sono voluta dedicare solo al calcio. Poi più avanti magari un corso online con orari e corsi flessibili organizzati magari lo farò. Non ho ancora fatto corsi per prendere il patentino da allenatrice di portieri, ma siccome mi è capitato di allenare, in futuro lo prenderò, perché mi piacerebbe molto. Ancora non ho un’idea ben chiara di cosa farei se non fosse nell’ambito sportivo. Magari qualcosa di mio, un B&B o una palestra, ma sicuramente in proprio, una cosa solo mia”.

Credit Photo: Empoli Ladies

Simona Sodini, Torino: “Il Torino è stata la maglia più amata per me”

Simona Sodini, attaccante del Torino, ex Milan e Juventus, con cui ha vinto due scudetti, ha parlato alla pagina Instagram Fotball Moments:

“Diciamo che sono nata con il pallone perché già a 3 anni giocavo mattina e sera, mio padre mi ha tramandato questa passione che sin da piccola ad oggi non è mai calata. Inizio a giocare con i maschietti, all’oratorio e in una squadra locale del mio quartiere, ero l’unica bambina in mezzo ai maschietti, fino a quando poi sono entrata a far parte della squadra femminile della Torres”.

“Al Milan è stato il mio primo anno lontana da casa, ero la più piccola avevo 15 anni ed è stato un anno importantissimo per me. Ho imparato tanto e ho conosciuto tante giocatrici forti. Quell’anno ho realizzato con 9 reti vincendo uno Scudetto e la Supercoppa. Uno Scudetto che ho ritrovato 19 anni dopo, in un mondo calcistico completamente diverso e in forte crescita, grazie alla Juventus. La società bianconera ha dato una svolta al calcio femminile, lo status di “calciatrice” non è più una professione strana ma anzi si conosce sempre di più”.

“Sono sincera ho pensato tante volte a me stessa con dieci anni in meno e con le strutture e i mezzi che ci sono oggi, parlo dei mezzi societari e la visibilità. Credo che per ciò che già dieci anni fa facevo, oggi sarei senza presunzione una delle attaccanti più quotate. Ormai a Torino vivo da più di 15 anni ed è la mia seconda città. Ho giocato 11 anni nel Torino, non può che essere stata la maglia più amata per me, quella con cui ho fatto più di 150 gol ed è anche quella che mi ha dato tanto con tanti ricordi ed emozioni”. 

Credit Photo: Facebook Simona Sodini

Cristiana Girelli, Juventus: “Torneremo e sarà ancora più bello di prima”

Cristiana Girelli, attaccante della Juventus e della Nazionale, ha parlato in  diretta Facebook:

“In Nazionale maggiore ho esordito nel 2013. Sono quasi a quota 80 presenze. I gol segnati? Tanti, ho una media alta in Nazionale. Ho superato i 40 gol. I primi anni non giocavo 90 minuti ma segnavo quando entravo”.

“Come vivo questa situazione? Devo ammettere che sono molto tranquilla. A volte mi sveglio con un po’ più di malinconia ma devo dire che spesso sono tranquilla. Sono molto concentrata su quello che vorrei tornare a fare una volta finita questa situazione. Tutto tornerà alla normalità. La mia quotidianità non è cambiata tanto. Ovviamente gli spostamenti sono molto limitati ma se penso alla mia vita prima non era tanto diversa. Mi alzavo, mi allenavo, tornavo a casa, curavo i miei hobby e andavo a dormire. Mi piacerebbe uscire e condividere il mio tempo con le amicizie e non è possibile ma il mio obiettivo è quello quindi ogni giorno mi alleno”.

“Per gli allenamenti si certo invece le mie abitudini sono cambiate. Prima mi allenavo a Vinovo, ora mi alleno in giardino con ciò che ho a disposizione. È un cambiamento di abitudine, devo fare gli allunghi sulla strada… È molto diverso che farlo su un campo da calciomorbido. In questo periodo vado a letto un po’ più tardi, magari mi guardo una puntata in più su Netflix”.

“Una partita che ho rivisto? Il 25 marzo, un anno fa, giocammo allo Juventus Stadium. Mi sono ritrovava a casa, tutti i ricordi mi sono ritornati nella testa e ho rivisto la partita. Ho intenzione di rivedere altre partite sia per una questione mentale, perché voglio vedermi giocare e non voglio perdere nella mia testa almeno alcuni gesti tecnici, e anche perché sono ricordi bellissimi. Mi mette un po’ di malinconia però perchè il calcio giocato mi manca tantissimo”.

“Cerco di pensare in modo positivo, magari prendendo un pallone e iniziando a palleggiare e immaginandomi in un campo da calcio. Immagino la prossima partita, il prossimo difensore che mi capiterà davanti… Mi immagino in un campo da calcio e in allenamento. Fortunatamente siamo in contatto con le mie compagne, ci diamo morale a vicenda”.

“Mi manca la condivisione del tempo con i miei affetti. Mi manca condividere quello che facevo prima, il tempo, i momenti. Però sto vedendo la mia nipotina come non mai, questo ripaga. Inoltre mi manca tanto mangiare sushi (ride ndr). Sto sperimentando la cucina. Mi piace sia mangiare che cucinare. Sto cercando di far la brava. Mi piaceva cucinare anche da prima, però quando non c’era questo periodo quando tornavo a casa dall’allenamento ero un po’ stanca e la sera non sperimentavo più di tanto”.

“Mi ritengo fortunata, in primis perché c’è la salute. Brescia in questo periodo è un disastro, fuori regna il silenzio. Passano poche macchine e le poche che passano sono ambulanze. Le prime settimane soprattutto sono state angoscianti. Poi chiaramente sono grata perché ho una bella casa, il giardino, ho mia nipote… Le giornate mi passano e sono felice, poi chiaramente capitano dei giorni in cui non si può essere totalmente felice. Penso al calcio, come torneremo, se torneremo…”.

“Il lavoro con il Mental Coach? Mi ha aiutato prima, dandomi una base per affrontare questa situazione. Ovviamente negli anni scorsi ho avuto difficoltà, ci sono sempre, però quando ho conosciuto questa persona mi sono aperta. Affrontavamo insieme i malesseri che potevano venirmi fuori, piuttosto che i miei dubbi. È stato uno step importante per la mia carriera, spesso “la mente mente” e ti distoglie dalla realtà”.

“Il lockdown? Ero in Nazionale, per tornare dal Portogallo ci sono stati dei problemi. Sono tornata che la situazione era già così. Appena tutto finirà volerò a Torino, ho una casa in disordine per il trasloco. Ho un pensiero fisso, ho le cose della mia vecchia casa negli scatoloni. Sono maniaca dell’ordine. Pensare che sia piena di scatoloni mi fa venire l’ansia. La prima partita da vedere? La mia, la nostra, quella della Juventus. Seguo sempre il calcio maschile. Non ho una partita fissa, direi la Juventus in Champions. O una del Brescia”.

“Non vedo l’ora di tornare alla normalità, tornare a riabbracciare quelle persone davvero importanti con cui hai un rapporto quotidiano, le compagne di squadra, amici. Io sono sicura che questo periodo possa servire come spinta positiva per il futuro, a tutti italiani e non. L’Italia e gli italiani nei momenti difficili hanno sempre tirato fuori qualcosa in più, noi come Nazionale anche ai Mondiali per esempio. Torneremo e sarà ancora più bello di prima”.

Credit Photo: Andrea Amato

Regina Baresi: “Storie e spazio su social per aziende in difficoltà”.

reginabaresi9“Ho letto e ricevuto numerose testimonianze di piccole aziende italiane, che fanno del Made in Italy la loro forza, in grave difficoltà per la situazione in cui l’Italia si trova.
Ho pensato di poter fare una cosa utile mettendo a disposizione i miei profili social per promuovere i prodotti e raccontare, gratuitamente, le storie di queste aziende.
Tutto quello che dovete fare è scrivermi una mail (l’indirizzo lo trovate in Bio) o scrivermi in direct descrivendo la vostra azienda, rigorosamente Made in Italy, e la sua storia.
Cercherò di selezionare il maggior numero di aziende e spero, nel mio piccolo, di poter dare una mano alle piccole imprese italiane a risollevarsi. Siamo forti e ci rialzeremo!”.
#Made4Italy

Credit Photo: Giancarlo Dalla Riva

Shelley Youman, ex Matildas: “L’amichevole in Korea del Nord è stata l’esperienza più scioccante della mia vita”

Era il 1998. Internet era un concetto relativamente nuovo. L’isteria dei social media non esisteva. Tuttavia, per la squadra nazionale di calcio femminile australiana, una sfida diversa ma altrettanto scoraggiante era all’orizzonte.

Per prepararsi alle qualificazioni ai Mondiali del 1999, l’Australia ha avuto il compito piuttosto intrigante di recarsi in Korea del Nord per una serie “amichevole” di tre partite. All’epoca l’Australia faceva parte dell’Oceania, quindi non c’erano motivi specifici per recarsi in Asia, ma i nordcoreani, una nazione forte nel calcio femminile, avevano esteso l’invito all’Australia che è stato debitamente accettato.

Durante il viaggio era presente Shelley Youman, a 27 anni. Il calcio ha quasi fatto un passo indietro, dato che Youman e le sue compagne hanno vissuto un’esperienza che nessuna di loro avrebbe mai dimenticato. Le Matildas sono tornate a casa con due pareggi per 0-0 e una vittoria per 1-0 grazie al gol di Julie Murray al ’72 minuto della terza partita. Le prestazioni sono state impressionanti se si considera l’ambiente circostante.

“I risultati sono stati 0-0, 0-0 e 1-0”, ricorda Youman “Avremmo sempre avuto difficoltà a vincere la serie nel loro paese, l’arbitraggio era piuttosto parziale”.

Tutte e tre le partite sono state giocate allo Stadio Nazionale di Pyongyang, che era pieno di cittadini nordcoreani. Una folla di 58.000 ha partecipato alla prima partita, 15.000 erano alla seconda e 22.000 hanno partecipato alla finale. Durante la competizione c’era anche Kim Jong-il, il famoso leader della Korea del Nord.

Youman, che attualmente lavora nel settore della disabilità come co-fondatrice e direttrice di One Community, ricorda ancora i dettagli del suo viaggio verso l’ignoto circa 22 anni dopo.

“La cosa più memorabile per me è stata vedere il modo in cui queste persone vivevano e ciò in cui credevano. Ogni persona indossava un badge, c‘era molta povertà (anche se lo hanno nascosto bene) e nessuna macchina sulla strada. Il campo è stato tagliato a mano!”

“All’epoca avevo tre bambini piccoli di due, tre e sei anni, quindi la mia più grande paura era lasciare la mia famiglia. Siamo stati avvertiti di non andare dal governo australiano in quel momento, quindi c’era molto clamore con i media”.

Youman, ricorda di essere volata in Korea del Nord, in una fragile situazione politica che ha comportato il rischio di finire male: “Penso che il momento più spaventoso sia stato quello in cui sono salita a bordo della compagnia aerea nordcoreana in Cina per raggiungere la Korea del Nord”, ricorda.

“Non c’era aria condizionata a bordo e quando ci siamo imbarcate ci sono stati consegnati dei ventagli portatili. Anche l’aereo sembrava avere difficoltà a scendere da terra. Arrivate in aeroporto è stato un po’ era pieno di militari e persone armate armi che ci circondavano”.

“Avevamo una giovane guida nordcoreana per il tempo in siamo rimaste lì senza sapere cosa succedeva nel mondo esterno”, ricorda Youman “Tutte le nostre guide in quel viaggio erano persone meravigliose e il mio cuore si è spezzato per loro”.

“C’erano solo emittenti televisive nordcoreane e il resto del mondo è stato tagliato fuori dalla competizione. Lì credevano tutti di aver vinto guerre contro gli Stati Uniti e che gli Stati Uniti fossero loro nemici. Non ci era permesso di uscire fuori dall’hotel a meno che non fossimo con il team e le guide ufficiali, poiché ci è stato detto che potrebbero pensare che fossimo state americane e che non sarebbe stato un bene per noi”.

Nel corso degli anni ci sono state storie strazianti di vari giocatori che hanno fatto questo controverso viaggio. Dall’essere bloccati in ascensori circondati dall’oscurità, alla sensazione apparentemente inquietante di essere monitorati in tutto ciò che facevano.

L’esperienza più strana secondo Youman era di essere totalmente ignara del mondo esterno: “Durante il nostro soggiorno è stato sparato un missile nelle acque degli Stati Uniti, ma noi non ne abbiamo saputo nulla fino al nostro ritorno in Australia”.

“Quando stavamo chiamando casa e il loro paese veniva nominato le linee si interrompevano”.

Carolina Morace: “Il rispetto dei ruoli deve essere alla base di ogni attività”

Carolina Morace, leggenda le calcio femminile ed ex allenatrice del Milan, ha parlato a Il Calcio Femminile:

“Se analizzo chi fa parte della commissione calcio femminile, rimango un po’ confusa. Partendo da Renzo Ulivieri, che sebbene sia presidente degli allenatori, col calcio femminile non c’entra niente. Perché deve essere lui a scegliere il secondo della CT Bertolini? Forse Ulivieri ha voce in capitolo sulla scelta dello staff della nazionale maschile? No, sicuramente. Allora perché detta legge in quella femminile? Il calcio femminile, ora che sta avendo successo, sta vivendo l’ingresso di molte persone provenienti dal maschile che pensano di sapere tutto ma che con il nostro mondo c’entrano poco. C’è la tendenza di alcune società di imporre che il secondo allenatore sia un maschio. Io ne sono fuori, perché lo staff me lo scelgo da sola. Come non ci sono interferenze sulla panchine maschili, non ci devono essere interferenze neanche su quelle femminili. Il rispetto dei ruoli deve essere alla base di ogni attività”.

“Una donna che allena nel maschile? Nel calcio vedo ancora tanta ignoranza, vedo ancora tanta gente con la terza media che vuol fare il dirigente e che magari non ha mai lavorato in vita sua. Quindi fino a che il calcio prende queste persone, è difficile che una mentalità possa essere superata. Vedo ancora molti pregiudizi, generati da una ignoranza di fondo. Menomale che sono arrivate le squadre professionistiche. Io non sono tifosa della Juventus, ma la Juve nel femminile ha fatto e sta facendo bene. Non mi riferisco al vincere ed al valore della squadra femminile in se, ma mi riferisco a come venga presentata la squadra. Mi viene il mente il fatto che l’abbiano fatta giocare all’Allianz Stadium e che, per esempio, dopo la vittoria dello scudetto l’abbiano fatta festeggiare insieme a quella maschile. Sono tutti particolari che spingono le persone a rompere il pregiudizio. Poi però penso ad alcuni presidenti di serie A, che non fanno nulla per il femminile”.

“Se Gaucci avesse chiamato me nel 2003 come fece con Ljungberg, Svensson e Prinz? Non avrei accettato. Ti parlo comunque dopo aver fatto alcune partite con atleti di spicco del maschile. Mi viene in mente la partita con Totti all’Olimpico per esempio. Posso farti un paragone nel tennis: è come se Novak Djokovic affrontasse Serena Williams. Il gap è molto. Però ti posso dire che giocando a calcetto con loro, ho giocato con Chinaglia per esempio, la differenza in un campo 20×40 non si avvertiva. Stiamo parlando però di un campo dove non c’è l’espressione della potenza, e la forza fisica si fa sentire meno. Le qualità tecniche però sono le stesse tra uomo e donna. Qualità come la scelta di tempo, il saper dove andare a prendere la palla, il saper leggere una situazione sono universali. Sono qualità che non risentono del genere e che fanno la differenza. Quello che caratterizza il campione dal non campione è la capacità di percepire con anticipo quello che sta per accadere”.

Credit Photo: Facebook Carolina Morace

Sara Becchimanzi, Bologna: “Il mio obiettivo è di migliorarmi in continuazione”

Sara Becchimanzi, giocatrice del Bologna FC, ha parlato a Il Bello del Calcio Femminile:

“Ho cominciato a giocare a calcio a sei anni, all’interno della squadra maschile del mio quartiere, l’Anzolavino. Inizialmente mia mamma era titubante nel farmi giocare, mentre mio padre ha appoggiato fin da subito con entusiasmo la mia scelta. Ho giocato per tre anni nell’Anzolavino, società che durante il mio ultimo anno di permanenza aveva anche deciso di avviare un settore femminile. In quella stagione, durante un torneo, sono stata contattata dal Bologna che mi ha proposto di giocare con loro nella stagione successiva e, da allora, sono nove anni che gioco in rossoblu”.

“In questa società mi trovo molto bene, siamo un gruppo molto giovane e coeso, con ampi margini di miglioramento e grande prospettiva futura. Il mio obiettivo personale, che cerco di trasmettere anche alle mie compagne, è quello di migliorarmi in continuazione ogni anno. E ovviamente voglio portare il Bologna nelle categorie superiori”.

“Il movimento femminile è cresciuto molto e sono felice di questo, ma al contempo c’è ancora tanto da lavorare. Mi auguro che il nostro calcio possa un giorno raggiungere il maschile a livello di notorietà. Un giocatore al quale mi ispiro? Nessuno in particolare. Ma mi piace molto come gioca Pjanic. Ad una ragazza che si avvicina a questo sport dico di divertirsi e di trovarsi bene con la squadra. Inoltre le direi di lavorare con costanza e non arrendersi al primo ostacolo, con sacrificio e lavoro si possono ottenere grandi risultati.”

Credit Photo: ASD Bologna FC 1909

Storie di calcio: those who didn’t leave the “Sinking ship”

Ho così tanti ricordi legati a questo sport, alcuni di questi mi fanno davvero emozionare.
Quando avevo 10 anni scrissi una lettera alle Sara del futuro, le dissi che il mio sogno sarebbe stato quello di giocare in Serie A e fino a quell’anno, al 2018, tutto ciò era ancora solo un sogno. Per questo quella stagione con la maglia del Kungsbacka DFF è uno dei miei ricordi più belli e sono orgogliosa di aver fatto parte di questa storia.
Ho giocato 3 anni per il Kungsbacka DFF e non ricordo un giorno in cui i media non scrivessero cose negative sulla situazione economica della società. In più, in quei 3 anni abbiamo avuto ben 6 allenatori diversi. Insomma, la società era tristemente famosa per i suoi problemi economici e nessuno credeva che potesse puntare alle zone alte della classifica di Elitettan (la Serie B svedese).
Non è semplice spiegare a chi non era lì, dentro quel gruppo, cosa realmente è successo e le sensazioni che avevamo dopo il fischio finale del 13 ottobre 2018.
Facciamo, quindi, un passo indietro, all’inizio di quella stagione quando noi giocatrici, insieme al mister e alla società ci siamo posti l’obiettivo di vincere quel campionato. Il pre-season, durato 3 mesi e mezzo, è iniziato nella costa occidentale della Svezia e l’erba verde dei campi era solo un miraggio. Credo che tutte quelle volte che il secondo allenatore, “Proddan”, pronunciò la frase “on the line!”, con la pioggia mista a neve che ci cadeva negli occhi, credo che quello abbia aiutato a creare un senso di invincibilità nella squadra. Grazie a un capitano forte come Nellie Persson e giocatrici di esperienza come Lina “Gerra” Gerhardsson e Emma Kullberg, nel nostro gruppo cresceva un sentimento di fiducia nei nostri mezzi.

Così cominciò la stagione.
Durante le prime partite, nella nostra squadra continuò a crescere quel senso di fiducia e di forza. Potevamo anche essere sotto di due reti, ma eravamo in grado di ribaltare il risultato in pochi minuti e vincere 3 a 2. Anche se mancavano solo 5 minuti alla fine della gara ed eravamo in svantaggio, tra noi in campo regnava la tranquillità. Sapevamo che avremmo segnato.
Io giocavo come ala sinistra e sapevo che Klara Andrup avrebbe macinato come me chilometri correndo su e giù sull’altra fascia.
La prima parte del campionato si concluse con una sola sconfitta. Ma durante questi primi mesi non dovevamo pensare solo a vincere al sabato, i problemi erano soprattutto fuori dal campo. La società non poteva più mantenere le promesse fatte alle giocatrici e allo staff, e tutti noi, oltre a giocare, avevamo un lavoro, o studiavamo. Questo significava fare enormi sacrifici, allenarsi dopo una giornata di lavoro o di studio e tornare a casa alle 10 di sera.
Durante la pausa estiva la situazione divenne ancora più complicata e sui giornali scrissero: “…i problemi economici sono così grandi che i salari non saranno pagati. L’allenatore e il preparatore dei portieri hanno abbandonato la nave prima del naufragio…”

In sostanza, finita l’estate, non avevamo più un allenatore, non avevamo stipendio e avevamo perso la nostra miglior attaccante Karin Lundin, passata al Kopparberg Göteborgs FC. Ma una cosa ci era rimasta: la voglia di lottare e la nostra mentalità vincente. La squadra si rifiutò di mollare e “Aja” e “Robban” portarono avanti il gruppo per iniziare al meglio la seconda parte di stagione. Senza il nostro miglior attaccante, tutte le altre giocatrici avrebbero dovuto fare dei miglioramenti, e così fu. Saga Ollerstam, “Gerra” and Ida Petterson diventarono le nostre goleador. Tenevamo il possesso palla grazie alla calma e alla qualità di Klara Rybrink, Rebecca Cameras e Andrea Thoresson Diaz. Le giovani, come Melissa “Messi” Davin migliorarono molto e Karro Búcaro Stenman chiuse la porta a chiave. Anche l’idolo locale, Mimmi Asperot, nata e cresciuta a Kungsbacka e finalmente in campo dopo tantissimi infortuni, ci mostrò cosa voleva dire difendere quei colori e dare sempre il 100%.

Il momento più importante per noi in quel periodo era vincere un gioco, il “three zones” che facevamo in allenamento ogni venerdì. Se vincevamo, le sensazioni positive le portavamo in campo per la partita, se perdevamo invece, ci portavamo in campo il giorno dopo la voglia di rivincita.
Eravamo concentrate sempre al massimo, avevamo un compito da portare a termine, nonostante tutti intorno a noi non aspettassero altro che il naufragio della nave arancione.

Arrivò sabato 13 ottobre 2018.
Avevamo la possibilità di conquistare matematicamente la promozione e l’atmosfera era piena di tensione e speranza. Mia madre prese il treno (4 ore andare e 4 a tornare) solo per vedere quella partita. Sapeva quanto fosse importante per me e per la mia squadra. Non ci fu partita, con tutta la calma e la fiducia in noi stesse che avevamo acquistato in quei mesi, vincemmo 6 a 2 contro il Västerås BK. Avevamo raggiunto il nostro obiettivo grazie al sacrificio, al lavoro duro e prendendoci sempre la responsabilità per ciò che potevamo controllare direttamente. Non dimenticherò mai quelle emozioni. Contro tutto e tutti, siamo rimaste imbattute nella seconda parte di stagione e il mio sogno di bambina di giocare in Damallsvenskan stava diventando realtà.

Vorrei poter dire che la storia, per il club finì bene, vorrei poter dire che la società esiste ancora, ma non è così. Il Kungsbacka DFF è fallito, la nave arancione è affondata.
Mi resta, comunque, la consapevolezza, la felicità e l’orgoglio di aver fatto parte di quella meravigliosa stagione del 2018 e di aver giocato in Serie A l’anno successivo, come sognavo da piccola, e so che tutte le persone con cui ho condiviso quei mesi provano le stesse emozioni.


There are so many memories connected to this sport, and few things in my life can trigger so many emotions. When I was 10 years old I wrote a letter to the future me saying that I wish I am playing in Damallsvenskan, and since then it was always a dream. The season of 2018 with Kungsbacka DFF is still one of the best football memories and something I am proud to be a part of.

During the three years I played for Kungsbacka DFF, I don’t think three months passed without the media writing any negative about the economy of the club. Notable is also that during these three years, we had six different head coaches. With that said, the club was known for struggling with the economy and no one believed that the team could be in the top of Elitettan (Sweden’s second division) in 2018. It is difficult to explain to someone outside that group, what really happened that season and the feeling we had after the referee blew the whistle the 13th of October 2018. But before the season started, the players together with the coaches and the club set the goal of winning Elitettan. The 3,5 month long pre-season started on Sweden’s West Coast and the green grass in April felt far away. I believe that all those times the assisting coach “Proddan”, pronounced the words “on the line” during this period, when the rain mixed with snow blew into our eyes, created a feeling of invincibility in the squad. With our strong captain Nellie Persson, and players with a lot of experience like Lina “Gerra” Gerhardsson and Emma Kullberg, a feeling of confidence was growing in the group.

During the first games, our team started to build up a confidence on the pitch like no other. We could be down 0-2 but we still managed to win 3-2 in the last minute. Even if we knew we had to score with only 5 minutes left, there was still a calm among us on the pitch. We knew we were going to score. I found my place on the left wing, and I knew Klara Andrup was going to run mile after mile every game on the other wing. The first half of the season went pass and we had only lost one game. But during this time, we did not only have teams to beat every Saturday. There were other battles going on the outside of the pitch. The club couldn’t keep the promises made to the players nor the staff, and the whole team had to work or study on 100% while playing. This means coming to training after a work day and coming home at 22 pm. In the summer break, the situation for the club got even worse and to quote a local paper it said:

“..the economical struggles are to big that the salaries cannot be paid. The head coach and the goalkeeper coach are leaving the sinking ship”.

After the summer we had no coach, no salaries and we had also lost our best scorer Karin Lundin to Kopparbergs Göteborgs FC. But if there was something that we had, it was fighting spirit and winning mentality. The team refused to give up, and “Aja” and “Robban” took the team on, going into the second half of the season. Without our best scorer, the other players had to step forward, and we did. Players such as Saga Ollerstam, “Gerra” and Ida Pettersson scored on set pieces. We kept the possession and played calm through players like Klara Rybrink, Rebecca Cameras and Andrea Thoresson Diaz. Young players such as Melissa “Messi” Davin came in with confidence and Karro Búcaro Stenman kept the goal closed. The local Kungsbacka-profile Mimmi Asperot came back after one of her many injuries, and weather it was training or game, she always showed the team how to give 100%.

The most important of the training week was to win the Friday session’s game called “three zones”. If you won, the good feeling stayed until the game day, and if you loss, you were eager for a comeback. At this point, the team knew what we could accomplish, however, people in the surroundings still waited for the orange ship to sink. On Saturday the 13th of October, we got the chance to secure our place in the first league and the atmosphere was filled with nerves and hopes. My mum took the train (four hours one-way), for this one game. She knew how much it meant for me and for the team. With as strong confidence as before, we won this game with 6-2 away against Västerås BK. We had reached our common goal by working hard together and taking responsibility for what we could control. This feeling is something I will never forget. Against all odds, we stayed undefeated on the second half of the season and the dream I had as a 10 years old girl to play in Damallsvenskan was about to come true. I wish I could say that the story for this club ended happily, and that I didn’t have to write that the club doesn’t exist anymore. However, as much as this is a part of the truth, the truth is also that I couldn’t be more proud for being a part of the season 2018 with Kungsbacka DFF and I know that the people I played with feel the same.

Sara Nilsson
Credit Photo: Florentia

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